La fabbrica di termoli

Maxi licenziamenti Vibac caso nazionale. Tre anni fa in Toscana la stessa operazione

Sindacati decisi a portare la vertenza al Ministero dello sviluppo economico mentre l'azienda non parla ma sembra irremovibile

L’obiettivo è arrivare al Ministero dello Sviluppo economico per tentare di trovare una soluzione. Le lettere di licenziamento per 126 dei 142 dipendenti aprono diversi interrogativi e rimandano a problemi che durano da oltre un decennio, crisi più recenti e un rapporto deteriorato fra l’azienda e i sindacati.

Sembra di rivivere quanto successo esattamente dieci anni fa, nel 2013, quando l’azienda aveva annunciato 153 licenziamenti. Poi, dopo una difficile contrattazione coi sindacati e coi dipendenti che erano scesi a compromessi per salvare il posto di lavoro, la Vibac aveva ripreso la produzione.

A Termoli questa società che produce nastri adesivi non ha risentito nemmeno delle chiusure legate alla pandemia. “Mentre gli altri stavano chiusi, la Vibac produceva a ciclo continuo” ricorda l’esponente sindacale della Femca Cisl Massimiliano Recinella. Al contrario, nella fabbrica di Vinci, comune della provincia di Firenze, i guai risalgono al periodo precedente il lockdown. Nel gennaio 2020 l’annuncio di 120 esuberi, quattro mesi dopo l’accordo sindacale ma con un taglio deciso del numero di operai, due terzi dei quali vennero lasciati a casa.

Il timore di molti è che possa accadere lo stesso a Termoli, dove 16 dipendenti su 142 non sono interessati dalle lettere di licenziamento, ma evidentemente si tratta soltanto di impiegati. In fabbrica non rimarrebbe nessuno, per ora.

Protesta vibac presidio

“Non siamo stati informati della procedura in anticipo, né potremo essere al tavolo delle trattative dove evidentemente deve esserci la Regione” commenta il presidente del Cosib, Roberto Di Pardo. Il numero uno del Consorzio ricorda che già un anno e mezzo fa c’erano stati dei problemi. “In quell’occasione riuscimmo a portare al Ministero un problema fiscale che la Vibac ci aveva rappresentato e che a Roma riuscirono a risolvere portando grandi benefici all’azienda grazie a un risparmio di alcuni milioni di euro”.

La Vibac infatti lamenta oggi di essere stretta fra la crisi dovuta all’aumento delle materie prime, principale fattore di difficoltà, e quella dell’energia. Per questo l’anno scorso l’azienda aveva chiesto la Cassa integrazione straordinaria, fermando la produzione. “L’azienda è ferma da 14 mesi. Abbiamo provato come sindacato a essere estremamente disponibili per non dare loro nessun alibi – dice Recinella -. Tramite la Regione abbiamo cercato di trovare finanziamenti europei o del Pnrr. La Regione ha proposto soluzioni formative da intraprendere durante la Cigs ma l’azienda non ha voluto”.

I sindacati accusano l’azienda di “grande scorrettezza. La procedura di licenziamento è venuta fuori dopo una nostra richiesta di incontro, non prima”. Inoltre le sigle sindacali Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil e Failc Confail lamentano le promesse non mantenute dalla proprietà. “Aveva garantito investimenti per migliorare e rendere più sicure le linee produttive. Dice di averlo fatto ma non ci consente nemmeno di entrare in fabbrica per verificare”.

Se le relazioni fra la società fondata dall’imprenditore Piero Battista e i sindacati sembravano essere tornate serene dopo la Cigs firmata a febbraio 2022, ad agosto dell’anno scorso c’è stato l’episodio che potrebbe aver compromesso i rapporti. Infatti la fabbrica ha riaperto per un brevissimo periodo, ma i sindacati hanno protestato per il mancato rispetto della contrattazione di secondo livello. In pratica una decurtazione di premi e bonus pari a circa 4500 euro a lavoratore. Da lì un nuovo sciopero dopo il quale la Vibac ha chiuso nuovamente la fabbrica e da allora non ha più riaperto.

I vertici aziendali intanto continuano a negare qualsiasi dichiarazione pubblica senza fare chiarezza sul futuro dello stabilimento di Termoli che come detto non è l’unico: altri sono presenti in Toscana, Abruzzo e Basilicata, oltre che Canada e Serbia. Proprio nel Paese balcanico ogni tanto vengono inviati dei lavoratori per brevi periodi così da portare le loro competenze a beneficio dello stabilimento serbo. Il timore di molti lavoratori è che sia in atto un processo di delocalizzazione della produzione. “Ma in questo caso il Ministero dello Sviluppo economico potrebbe intervenire” precisa Recinella, garantendo che i sindacati hanno già inviato la richiesta di esame congiunto della vertenza. Il caso quindi diventa nazionale.

Nel frattempo il vero dramma è quello delle famiglie dei lavoratori che da 14 mesi vivono con circa 900 euro mensili di Cassa integrazione. Molte di quelle famiglie sono monoreddito e già oggi fanno fatica ad andare avanti. La prospettiva del licenziamento rappresenta per loro un incubo.

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