Mantenere alta la guardia

Il cittadino si rivolge al boss e non al Comune: quel “consenso sociale” che rafforza la criminalità organizzata

Soprattutto nell’area della costa c’è una minore propensione alla denuncia. Un cambiamento culturale che desta allarme: non è raro che ci si rivolga ad un pregiudicato piuttosto che alle istituzioni per risolvere problematiche familiari e sociali

Dalle carte giudiziarie che riguardano il Molise emerge un retroterra culturale preoccupante. L’ultimo fascicolo della Procura (ma non l’unico) – che racconta di un insediamento pugliese fra Campomarino, Termoli, Portocannone, Guglionesi e Sant’Elia a Pianisi per lo spaccio di cocaina – consolida un aspetto: che soprattutto nei centri bassomolisani che si trovano a ridosso dei confini con la Puglia c’è una minore propensione alla denuncia.

Ma il dato che allarma prende vigore in un accadimento, registrato proprio in fase di inchiesta e riguarda un cittadino che per un marciapiede rotto piuttosto che rivolgersi agli uffici comunali del suo paese per far presente la problematica ha scelto di rivolgersi ad un noto pregiudicato perché si facesse “messaggero convincente” per una “rapida soluzione del problema”.

A parlarne – con un’amarezza che traspare nitida dalle sue parole – è il Capo della Procura di Campobasso, Nicola D’Angelo. Che precisa come “probabilmente nel caso specifico non c’è alcun reato perseguibile penalmente, lo vedremo. Ma capirete che c’è un chiaro cambiamento culturale molto preoccupante. E che non possiamo permettere. O meglio, che dovremmo fermare e dovremmo farlo tutti insieme perché l’avanzata della criminalità pugliese verso le zone del Molise è un dato ormai certificato”.

Comuni che vivono in osmosi con le realtà più pericolose che dei “nostri territori stanno cambiando il modo di rapportarsi anche con le istituzioni” continua il dottore D’Angelo. Come se, improvvisamente, anche in Molise si iniziasse a pensare che l’illegalità sia più conveniente.

Dalle intercettazioni video e telefoniche raccolte nell’ambito di operazione “White beach” emerge che quasi tutti gli arrestati (e indagati a piede libero compresi) sono pugliesi ma residenti nei paesi fra Termoli e Campomarino. E che da San Severo – seppure fortemente colpiti dall’azione repressiva delle forze di polizia e della magistratura – non solo non hanno mai smesso di insinuarsi sul territorio molisano ma continuano anche a svolgere il loro operato fra droga, furti, estorsioni, per citare i reati più comuni.

Ed è in questo contesto che viene fuori anche che c’è chi preferisce rivolgersi al pluripregiudicato di turno per chiedere un aiuto che “in qualunque altro paese, un cittadino chiederebbe direttamente alle istituzioni di competenza”. Questo è lo stravolgimento del pensiero culturale causato dal modus operandi dei clan malavitosi. Azione che induce il cittadino a credere che siano magari solo i clan o le organizzazioni criminali capaci di “agire in tempi brevi garantendo risultati sicuri”. Ma, ovviamente, non è così che accade.

Una pericolosa e sbagliata mentalità che si è trasferita anche in Molise con il rischio che pure i normali cittadini, assecondando tali condotte, diventino complici e conniventi delle organizzazioni che nel frattempo “proseguono la loro avanzata sul nostro territorio”.

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