La storia

Il Risorgimento italiano nasce a Civitacampomarano con Vincenzo Cuoco

Sabato 9 dicembre, Civitacampomarano onora Vincenzo Cuoco a 200 anni dalla sua morte e ricorda che l’evento risorgimentale nazionale non nacque tra Lombardia e Piemonte quanto piuttosto nel Regno delle due Sicilie dove l’onda lunga della Rivoluzione francese aveva dato origine alla Repubblica napoletana. Qui, dopo l’esperienza murattiana e la fioritura della Carboneria, i Borboni dovettero concedere la nuova costituzione. Ma, nel marzo 1821, Re Ferdinando si era rimangiato quanto aveva promulgato.

Da allora, al Sud, il Risorgimento restò l’aspirazione di una sparuta minoranza borghese, laica e liberale, in gran parte massonica. Faceva ancora male la duplice ferita nata con la rivoluzione napoletana: prima delle repressioni borboniche, migliaia di popolani e religiosi, legati al Trono ed all’Altare e contrari alla Repubblica atea e “forestiera”, furono massacrati dai Francesi e dai giacobini. ‘Élite’ contro popolo, e cittadine messe a ferro ed a fuoco. Il Sud, spaventato e provato dalle stragi e dai conflitti, si appartò dalla Storia e se ne restò passivo mentre il processo unitario si spostava a Nord, arrivando sin nel Meridione d’Italia solo alcuni decenni dopo, con la conquista piemontese e garibaldina. Ma il primo impulso unitario era venuto tra i futuri ‘terroni’ grazie a quel pensatore dimenticato che ne era stato il precursore: il molisano Vincenzo Cuoco.

Le costituzioni “si debbono fare per gli uomini, quali sono e quali eternamente saranno, coi loro vizi e coi loro errori; un attacco rivoluzionario alle solennità antiche sarebbe solo imbecillità”. Il civitese fu il primo a capire che i moti, calati dall’alto e dall’esterno (prescindendo, cioè, dai popoli, dalla loro storia, da indole e tradizioni), sono sempre destinati a fallire. “Le idee della rivoluzione di Napoli avrebbero potuto essere popolari ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della Nazione. Assunte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra e fondate sopra massime troppo astratte”. Molisano di nascita (ma napoletano di formazione), Cuoco fu storico, politico e promotore del Risorgimento. Attraversò i tempi delle Rivoluzioni di Francia e di Napoli; vide il ritorno dei Borboni, auspicando di conciliare il nuovo con l’antico e di vedere sorgere governi conformi alla natura ed ai costumi dei popoli. La mania di voler cambiare tutto – avvertiva – porta con sé la controrivoluzione e l’avvento di Napoleone, il regno bonapartista di Murat ed i primi moti risorgimentali.

Nato nel 1770, morì nel 1823 e divenne lo storico più lucido dei suoi tempi. Cugino del generale Pepe, autore di saggi politici e pedagogici, ed anche di un romanzo filosofico (“Platone in Italia”), si vide conferire incarichi importanti durante i periodi napoleonico e murattiano. Il suo lavoro sui moti di Napoli somiglia, per certi versi, alle “Riflessioni sulla Rivoluzione francese” di Edmund Burke. Cuoco era un patriota, liberale e conservatore; difendeva le tradizioni popolari e si era formato alla scuola di Machiavelli e di Vico.

Fu proprio il pensatore civitese a rielaborare, criticamente, l’esperienza rivoluzionaria sino a volgerla in chiave nazionale e popolare al fine di traghettarla verso lo spirito risorgimentale, concepito poi come rivoluzione conservatrice. Da storico aveva rivalutato la centralità della religione rispetto all’illuminismo dei filosofi, indicando l’esempio della romanità come modello per l’Italia moderna. Fu così che, nel suo pensiero, la libertà s’incontra con la storia e con la tradizione, la cultura con la dignità del lavoro. Dopo la fallita rivoluzione a Napoli, di cui patì le conseguenze, Cuoco si trasferì a Milano dove, nel 1803, fondò “Il giornale italiano”, dedicandone le pagine all’amor patrio ed alla formazione di una coscienza nazionale. Diventò un punto di riferimento per i primi patrioti, al punto che Alessandro Manzoni, avanti negli anni, aveva a ricordare il fascino delle conversazioni avute con lui mentre Giuseppe Mazzini si abbeverava ai suoi ‘pezzi’, rielaborandoli e facendoli circolare tra i patrioti.

Giovanni Gentile, nel dedicargli taluni scritti, ebbe a definirlo anello tra la cultura meridionale e pensiero risorgimentale, tra esperienza rivoluzionaria napoletana e movimento liberale e romantico. Carlo Alberto, allora reggente per conto di Carlo Felice, non varcò più il Ticino, nel 1821, per liberare dagli Austriaci il Lombardo-Veneto. Eppure questo suo tentativo, ove attuato, avrebbe rappresentato il primo sforzo dei Savoia di mutare gli equilibri della Penisola dettati dal Congresso di Vienna. L’opera sarà ripresa con successo dal figlio Vittorio Emanuele, che diverrà il primo Re d’Italia.

Alessandro Manzoni, nel 1848, diede fiato all’ode ‘Marzo 1821’; e, immaginando che questo fosse accaduto per davvero, descrisse il preciso stato d’animo di coloro che avrebbero dovuto apprestarsi a liberare il Nord e poi l’Italia intera. Purtroppo, di seguito, il Sud cattolico, contadino e popolare, si separò dai sentieri tracciati per l’unità. E solo dopo le guerre d’indipendenza nacque lo Stato unitario, trascinando il Meridione ed altre aree d’Italia in un ‘risorgimento passivo’, proprio quella che Cuoco aveva definito la rivoluzione napoletana.

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