La videointervista

Il carcere di Larino, da modello a “luogo di morte”. L’appello di Don Antonio, cappellano volontario mandato via senza spiegazioni

Cosa sta succedendo nella struttura penitenziaria di Monte Arcano, a Larino? Dopo la denuncia di 11 detenuti della Sezione Z, che lamentano la chiusura dei luoghi di lavoro per il reinserimento, abbiamo intervistato don Antonio Di Lalla, parroco a Larino e cappellano volontario della struttura fino a qualche settimana fa, quando di colpo gli è stata preclusa la possibilità di entrare.

Il carcere di Larino, l’unico con una sezione di alta sicurezza tra le tre strutture penitenziarie molisane, che ospita circa 150 detenuti, ha cambiato direzione dopo il blitz con 250 agenti – una cosa mai vista prima – e le ipotesi di reato a carico di 18 persone per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Tra loro la direttrice Rosa La Ginestra. In alcune delle 50 celle perquisite a metà dicembre scorso sono stati trovati stupefacenti e cellulari. Per la cronaca va precisato che droga e cellulari sono stati rinvenuti anche di recente, quando la gestione del carcere era già passata nelle mani della attuale direttrice facente funzione Antonella De Paola, anche se in questo caso l’episodio è passato sotto silenzio e senza alcun clamore mediatico.

Nella struttura penitenziaria di Monte Arcano sta cambiando tutto. Anzi, è già cambiato tutto, come hanno raccontato nella lettera inviata alla nostra redazione 11 detenuti della Sezione Z (sezione detentiva per congiunti collaboratori media e alta sicurezza) che dopo la visita della garante per i diritti dei detenuti hanno messo in evidenza come a Larino manchi del tutto, al momento, la possibilità di lavorare nel caseificio, nella pasticceria, nella sartoria, denunciando come i detenuti vivano in uno stato di povertà assoluta con due soli educatori per l’intero istituto, senza poter usufruire come prima dell’articolo 21, e con seri problemi a livello sanitario e limitazioni di istruzione.

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Cosa sta accadendo? Perché un carcere modello, un esempio di applicazione della carta Costituzionale, rischia di trasformarsi in un luogo di morte, come racconta don Antonio di Lalla, parroco di Larino, che fino a pochi giorni fa era Cappellano volontario?

Antonio di Lalla

Don Antonio, che per tre anni ha frequentato come confessore e sostegno dei detenuti il carcere (senza gravare di un euro sulle casse dello Stato, visto che ha scelto di non essere retribuito e di operare da volontario puro, a differenza dei cappellani militari), si è visto improvvisamente preclusa la possibilità di entrare, senza alcuna spiegazione.

In questa intervista le sue riflessioni e i suoi interrogativi, ma anche un appello a intervenire, a fare qualcosa prima che sia troppo tardi e che il carcere di Larino perda un patrimonio di umanità e risorse (anche economiche) in linea con l’articolo 27 della Costituzione, che recita testualmente: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.

 

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