La testimonianza

Ebree recluse a Vinchiaturo. Dina, vicina di casa da bambina: “Piangevano e mi chiedevano di cantare”

Palazzo Nonno è diventato nel 1940 un campo di internamento. E accanto allo stabile abitava la signora Pistilli, che oggi ha 84 anni e racconta: "Erano disperate: non capivano perchè erano state rinchiuse qui. E mi dicevano: 'Non abbiamo fatto niente'".

La signora Dina Pistilli era solo una bambina ma ricorda perfettamente le ragazze che vennero rinchiuse a Palazzo Nonno, il campo di internamento di Vinchiaturo. E lo ricorda perchè è stata una testimone oculare: la sua abitazione in viale della Libertà sorge proprio accanto all’antico edificio in cui fino al 1943 sono state portate 57 giovani donne, poco più che ventenni: erano ebree, polacche, slave, russe, ungheresi, jugoslave. Ragazze che hanno sofferto il freddo e la fame, che vivevano in condizioni terribili nella palazzina che al massimo poteva ospitare 35 persone. Alcune di queste, dopo la reclusione a Vinchiaturo, vennero deportate e morirono nei campi di concentramento.

Ricordo che erano tutte laureate, per me erano brave ragazze”, racconta l’anziana che oggi ha 84 anni e, nonostante le temperature molto rigide di oggi, ha seguito davanti alla porta di casa la cerimonia organizzata dal Comune in occasione del Giorno della Memoria.

Palazzo Nonno e accanto l'abitazione della signora Dina

(in foto: palazzo Nonno e l’abitazione in cui abita la signora Dina)

 

Alle giovani recluse era vietato parlare con la gente del paese, ma quando vedevano quella bambina affacciata alla finestra o davanti casa le facevano un’unica richiesta. “Una di loro parlava in italiano e mi chiedeva di cantare per loro. All’epoca non c’era il televisore e noi non avevamo nemmeno la radio. Allora io cantavo loro le canzoni popolari di Vinchiaturo e loro mi regalavano la cioccolata o degli zoccoli”, dice Dina. Così lei alleviava le loro sofferenze. “Non capivano perchè erano state portate qui, mi dicevano sempre: ‘Noi non abbiamo fatto niente’. Una volta una ragazza ha cercato di scappare, ha legato le lenzuola al letto per calarsi giù. Ma non le aveva legate bene ed è caduta. Si è rotta una gamba ed è stata portata in ospedale. Non abbiamo saputo più nulla”.

Anche se la comunità di Vinchiaturo non poteva avere contatti con le donne (che potevano uscire solo di sera, accompagnate dai Carabinieri o dalla direttrice del campo di internamento), alcuni ragazzi del paese si innamorarono di loro. “Una sera due giovani vennero sorpresi dalla ronda a Palazzo Nonno e furono portati una notte in caserma. Uno di loro – racconta ancora Dina – poi è diventato mio cognato”.

 

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