L'Ospite

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Le 4 perseveranze e la speranza della Chiesa

di don Mario Colavita

 

“Ciò che mi sorprende, dice Dio, è la speranza […]. Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da  Sola […]. È lei, questa piccola, che spinge avanti ogni cosa […]. La Speranza vede ciò che sarà. Nel tempo e per l’eternità”.

Ho riletto tutto d’un fiato questo passo del francese C.P. Péguy (1873-1914), il Portico della seconda virtù, è un’esaltazione della seconda virtù teologale: la speranza.

Péguy la immagina come una bambina, una piccola che cammina accompagnata dalle due sorelle maggiori: la fede e la carità. Nel camminare insieme, però, è la speranza che fa muovere le due sorelle, dando il passo.

Mi piace questa immagine, soprattutto in questo momento in cui abbiamo bisogno di sperare e di tenere il passo.

Un mondo cristiano disperato non ha capito la risurrezione di Cristo. Sperare, oggi, è veramente difficile. Sperare è saltare il fosso di una situazione strana e pesante, in cui la forza per andare avanti ci viene da questa piccola bambina che ha voglia di camminare, di gioire perché è fatta così. Ad un bambino non gli puoi proibire di ridere, di camminare di muoversi è la sua natura, così la speranza.

Nella lettera di Pietro la speranza è legata alla Misericordia del Padre, è chiamata viva, vivente, a significare che è la fonte della vita e la fonte della vita è e rimane il Cristo Risorto. Quindi la speranza vivente è il Risorto.

Nel clima della speranza la comunità cristiana cresce e si edifica.

Gli Atti degli Apostoli ci dicono come la comunità stava crescendo e nonostante le inziali difficoltà si stava diffondendo.

Per gli Atti degli Apostoli la comunità è chiamata crescere su quattro perseveranze. All’interno di quest’area vi è la vitalità della gioia dei beni pasquali.

La vita della Chiesa non si gioca sulla “resilienza” (contrario di fragilità, termine divenuto di moda) ma sulla perseveranza.

L’immagine di un metallo che si piega ma non si spezza (resilienza) non è una bella immagine della vita cristiana. Essa si gioca sull’obbedienza. La forza della comunità non è resistere a Dio a esserne fedele.

La prima perseveranza è l’insegnamento degli apostoli. È la testimonianza più che la dottrina che aiuta la comunità cristiana a vivere il rapporto con il Risorto.

La seconda perseveranza è comunione. Qui si tratta di comunione ecclesiale che  nega e rifiuta ogni forma di corsa solitaria.

La terza perseveranza è l’eucaristia, la frazione del pane. Nella eucaristia domenicale, luogo privilegiato dell’ascolto della Parola e della edificazione della comunione, si manifesta in modo unico la vita della Chiesa nell’incontro con il Risorto.

Infine, la quarta perseveranza è la preghiera.

La Chiesa, obbediente all’invito di Gesù, riconosce nella preghiera uno dei luoghi nei quali la sua vita si rafforza. Nella preghiera è la vita stessa del Risorto che si manifesta nella Chiesa.

Queste quattro perseveranze sono per la vita e l’agire della Chiesa, in esse scopriamo la forza vivente del crocifisso-risorto che continua la sua opera nei discepoli perseveranti.

Gesù per primo ha vissuto queste perseveranze: egli è l’obbediente al Padre, suo cibo è fare la volontà del Dio; egli è colui che vive la piena solidarietà-comunione con Dio e con l’umanità; egli è colui che si rivela nell’eucaristia; egli è colui che vive una profonda relazione con il Padre.

La scena del vangelo di Giovanni ci propone la figura di Tomaso, l’apostolo incredulo ma è anche colui che si sforza di fare un cammino per arrivare a conoscere e ri-conoscere il crocifisso-Risorto.

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