L'analisi

La crisi secondo Antonello Barone: “Comunque vada, il grande sconfitto è la politica”

Una crisi innescata dalla manovra finanziaria, un accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd molto difficile e un grande sconfitto: la politica. Antonello Barone, termolese direttore di kComunicazione e analista politico sintetizza la crisi di Governo. Lo abbiamo raggiunto al telefono per un approfondimento sugli scenari attuali e le prospettive a breve termine.

Antonello, tu sei un osservatore privilegiato del panorama politico e hai incontrato e intervistato la maggior parte dei personaggi protagonisti di questo momento (nella foto un incontro in studio con Matteo Salvini). Cosa è successo, secondo te?

“Il centro di tutta questa operazione direi che è la manovra finanziaria, il grande contrasto tra i ministri Tria e Salvini: il primo pressato da Conte e dai 5Stelle, il secondo propenso a una manovra completamente fuori dalle indicazioni europee. Il fatto è che per mantenere Quota 100 e Reddito di Cittadinanza, con la promessa della Flat Tax, e per disinnescare le clausole di salvaguardia dell’Iva ci sarebbe voluta una manovra in deficit che Salvini non aveva alcuna intenzione di intestarsi. Salvini voleva andare con l’acceleratore spinto contro l’Europa, ma oramai i 5Stelle si erano molto calmati da questo punto di vista anche rispetto al ruolo che hanno a livello europeo sia Conte che Tria. Tra le due forze c’è una visione politica completamente differente.  Così Salvini si è aperto due strade: l’accordo fra 5stelle e Pd e, nell’altro caso, la strada maestra delle elezioni per poter arrivare a governare non dico da solo, ma quasi”.

La mossa di Salvini è stata più meditata di quanto si creda?

“La grammatica politica ha le sue regole. Nel momento in cui in Europa i 5 Stelle votano con Berlusconi e Zingaretti Ursula von der Leyen e lui no, quella è una rottura che non può essere rimarginata e porta a delle conseguenze politiche che evidentemente ci sono state. Salvini ha colto il momento pensando di poter fare un blitz e ha accelerato con la convinzione di arrivare al blitz, ma è nelle condizioni di poter avere ancora un 40 per cento se si andrà al voto”.

 

Non scommetti sull’accordo fra 5Stelle e Pd?

“E’ un accordo molto complicato, sia per tutto quello che si sono detti in questi anni che per le precondizioni che sta mettendo Zingaretti, e che sono non banali. D’altronde a Zingaretti converrebbe andare al voto subito, così si rinnova la classe dirigente in Parlamento, la fa sua eliminando quella di Renzi, con la possibilità di salire almeno di altri tre o quattro punti percentuale, tornando su quota 25 o 28, che per lui non sarebbe male. Il tema vero, il rischio, è che si mette il Paese in mano a Salvini. Quindi si cercherà di fare un accordo anche per depotenziare il Rosatellum, che come abbiamo detto al convegno a Termoli (il Festival del Sarà, ndr) era l’unica legge che avrebbe consentito un governo 5 Stelle-Lega. Si potrebbe tornare su un proporzionale più facile per depotenziare le aspirazioni maggioritarie di Salvini”.

 

Un accordo non scontato, anche perché Nicola Zingaretti non sembra pienamente convinto. Tu come la interpreti?

“Per Zingaretti la prima scelta sarebbero le elezioni. Lui sta interpretando il ruolo di chi va alla trattativa con i muscoli, perché se i pentastellati dicono no lui può sempre sostenere di averci provato. Ma quello che vuole Zingaretti è andare al voto. Ora bisogna vedere quanto sono deboli i 5 Stelle, che finora hanno piegato la testa davanti a tutti i diktat di Salvini e potrebbero piegarla anche davanti alle richieste del Pd, perché loro hanno veramente paura del voto in questo momento. Sanno che non torneranno  mai a quei livelli di consenso e soprattutto c’è una classe dirigente che, in assenza di deroga al secondo mandato, se ne torna a casa”.

 

C’è uno sconfitto, in questa situazione?

“Secondo me lo sconfitto vero è la politica. Sono i partiti, che non hanno più la capacità di fare sintesi al loro interno ma sono frutto di vicende iper personali. Laddove c’è un leader, un capo che comanda e mette i soldi, da Forza Italia alla lega, non c’è discussione interna. In quei partiti come il Pd dove la discussione interna provoca delle discrepanze fra le varie linee , o in quelli dove c’è Casaleggio che comanda, è lo stesso perché non si attua la forma democratica dei partiti. Sostengo che il Pd avrebbe dovuto mettere nella trattativa l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione ossia la democrazia interna ai partiti. Se non si torna a una ecologia della struttura di costruzione dal basso della rappresentanza, il sistema va in patologia e non riesce a rimettersi in sesto”.

 

Credi che questo scenario possa avere ripercussioni a breve termine sulla situazione politica molisana, a livello regionale?

“No, io direi di no. I consigli regionali vivono di vita propria e di solito sono longevi, riescono ad assorbire tranquillamente questi contraccolpi, con equilibri sui quali non incide la forza gravitazionale del governo nazionale. Non più di tanto”.

 

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