Cronache

Il villaggio di Bètfage: Gesù messia e l’asino

“Bètfage, come disse ottimamente San Gerolamo, fu un villaggetto di sacerdoti, situato sul lato del Monte Oiveto, distante un miglio da Gerusalemme; il suo nome di Bètfage, che è in ebraico, significa casa delle mascelle”. Inizia così la descrizione di Bètfage nell’opera più importante del XVI sec. d.C. di P. Francesco Quaresmi per aiutare i pellegrini alla venerazione dei luoghi santi chiamata: Elucidatio (illustrazione). L’opera fu scritta dal custode di terra santa Quaresmi, considerato con quest’opera il caposcuola e uno dei migliori rappresentanti della scuola francescana di Palestinologia, conservatore di tradizioni locali (non inventate dai frati ma raccolte presso le popolazioni locali).
Bètfage è legata al ricordo di alcuni episodi evangelici. In Gv 11 si narra della resurrezione di Lazzaro. La notizia della morte del suo migliore amico, stando al vangelo, Gesù la riceve a Bètfage. Da questo villaggio passa la strada romana che saliva al deserto di Giuda, provenendo da Gerico per raggiungere Gerusalemme dal monte degli ulivi. Da Bètfage, poi, partiva la deviazione che portava a Betania. L’episodio che tutti ricordiamo nella vita di Gesù è quello dell’ingresso solenne a Gerusalemme su di un asino. I vangeli sinottici sono concordi nel dire che l’inizio dell’ingresso solenne avvenne da Bètfage (Mc 11,1; Mt 21,1; Lc 19,29). Durante la festa delle Domenica delle Palme il vangelo che leggiamo narra più volte questa località a pochi chilometri da Gerusalemme, vicino al monte dell’ascensione. La pellegrina Egeria nel IV secolo d.C. parla della processione che si fa da Bètfage a Gerusalemme in ricordo dell’ingresso di Gesù: “La domenica in cui si entra nella settimana pasquale […] tutto il popolo sale sul monte Oliveto […] e quando arriva l’ora undecima (cioè alle cinque del pomeriggio) si legge quel passo del Vangelo dove i fanciulli vanno incontro al Signore con rami o palme […]. Allora il vescovo si alza in piedi, e con lui tutto il popolo. Di là, cioè dalla sommità del monte Oliveto, si fa tutto il percorso a piedi mentre il popolo, procedendo dinanzi al vescovo, al canto di inni e antifone, risponde continuamente: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. E tutti quanti i bambini di quei luoghi, anche coloro che non possono camminare per la tenera età e sono tenuti sulle spalle dai loro genitori, tutti tengono in mano dei rami, chi di palma e chi di olivo; nello stesso modo con cui fu condotto il Signore, così viene condotto anche il vescovo. Dalla cima del monte si va fino alla città e poi, attraverso la città, fino all’Anastasi”. Dal secolo IX la processione iniziava ancora da più lontano: “A circa un miglio (dall’Ascensione) c’è il luogo dove Cristo sedette sul puledro. Là si trova un olivo dal quale ogni anno tagliano un ramo, dopo averne pagato il prezzo, e così entrano in processione a Gerusalemme il giorno delle Palme” (Epifanio monaco). Nel 1876 fu trovata da un contadino una roccia squadrata con resti di pitture di epoca crociata raffiguranti i due episodi della risurrezione di Lazzaro e dell’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme. Dopo l’acquisto del terreno da parte della Custodia di terra santa, fu edificato nel 1883 un piccolo santuario che ebbe il nome di Bètfage restaurato nella forma attuale nel 1954 dall’architetto. A. Barluzzi. La processione delle palme, sospesa al termine del regno crociato, fu praticata ancora nei secoli XVI-XVII dai francescani, col padre Custode di terra santa che faceva la parte di Cristo seduto sul puledro. Dal 1933 la processione ha potuto riprendere con la massima solennità sotto la presidenza del Patriarca latino di Gerusalemme. Bètfage ci parla del cammino umile del figlio di Dio che entra a Gerusalemme. Lui cavalca un asino animale umile che porta i pesi; Gesù stesso ha portato i pesi di tutti noi. Nella scena della cavalcatura ci sono preziosi particolari che ci riportano alla regalità messianica di Gesù. Il fatto stesso che Gesù “requisisce” l’asino ci porta a pensare ad un diritto regale. Su questo, bene ha scritto Benedetto XVI: “Gesù rivendica, di fatto, un diritto regale. Vuole che si comprenda il suo cammino e il suo agire in base alle promesse dell’Antico Testamento, che in Lui diventano realtà”.
L’asino non è stato messo a caso nel racconto evangelico. Richiama la profezia di Zaccaria: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9,9). Il salire di Gesù sull’asino evoca il racconto dell’elevazione di Salomone sul trono di Davide suo padre, ricordato nel primo libro dei Re. Lì si legge che il re Davide ordina al sacerdote Zadòk, al profeta Natan e a Benaià: “Prendete con voi la guardia del vostro signore: fate montare Salomone, mio figlio, sulla mia mula e fatelo scendere a Ghicon! Ivi il sacerdote Zadòk con il profeta Natan lo unga re d’Israele” (1Re 1,33s). Lo stendere i mantelli lungo la strada, l’inno di Hosanna al figlio di Davide, sono tutti richiami alla venuta del messia.

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