Cronache

Due funerali, il saluto delle barche e la folla straziata: “Ciao Ulisse, a prestissimo” fotogallery

Gente di tutte le età e tutte le estrazioni sociali ha riempito all’inverosimile la cattedrale e la piazza per i funerali di Ulisse Marinucci, il parroco del Carmelo morto a soli 44 anni per un infarto fulminante nel tardo pomeriggio del 31 dicembre, poco prima di celebrare la Messa. prima la celebrazione eucaristica nella sua chiesa in mattinata, poi il saluto delle barche in porto e i funerali solenni in Cattedrale. Migliaia di persone presenti per salutare un prete particolarmente amato, che ha lasciato nei cuori un ricordo indelebile. Don Ulisse è stato vestito con i paramenti sacri bianco e rossi, con una stella marina e una corda da marinaio ai piedi, a simboleggiare il suo amore per il mare e i pescatori.

Una comunità intera sconvolta dalla perdita di uno dei suoi sacerdoti più amati. Ai funerali di Ulisse Marinucci, oggi 2 gennaio, c’erano migliaia di persone. Ragazzi e adulti, famiglie e vecchi. Politici e pescatori, gente del porto e militari di tutti i corpi rappresentati sul territorio. Cittadini, fedeli, credenti, laici, gente che la chiesa non la frequenta ma conosceva lui, il prete schivo ma con un sorriso per tutti, che non si risparmiava mai, capace di affrontare emergenze di ogni tipo e con un meraviglioso senso pratico che lo ha visto impegnatissimo in iniziative di solidarietà fino alla fine. L’ultima il cenone di beneficenza al Carmelo, la sua parrocchia da 4 anni, al quale avrebbe preso parte per salutare con i poveri e gli emarginati l’anno nuovo se, solo poche ore prima, non si fosse accasciato a terra in sacrestia mentre stava indossando i paramenti per dire messa.

Morto, a 44 anni, per un infarto che non gli ha lasciato scampo e non ha lasciato a nessuno il tempo di capire cosa stesse accadendo a quel ragazzo di Termoli che girava in Vespetta arancione e quando poteva, riuscendo a conciliare i moltissimi impegni del suo ministero con la passione per il mare, usciva in barca. In chiesa e fuori dalla chiesa, in una piazza gremitissima dove l’altoparlante rilancia la cerimonia religiosa sotto un sole caldo e in un cielo perfettamente azzurro, persone di Termoli e non solo: sono arrivati da Guglionesi e San Giuliano di Puglia, due Comuni dove Ulisse è stato rispettivamente viceparroco e parroco proprio negli anni terribili del terremoto. Dai centri limitrofi. E da più lontano, come nel caso del Tommaso Valentinetti, attuale arcivescovo di Pescara-Penne, del quale don Ulisse è stato segretario prima di diventarlo, 10 anni fa, dell’attuale vescovo Gianfranco De Luca.

E’ lui a dire l’omelia ricordando le tante qualità di Ulisse, la cui biografia è letta a inizio cerimonia da don Benito Giorgetta, che riepiloga la breve eppure ricca esistenza di sacerdote. Il vescovo, circondato da tutti i sacerdoti della diocesi – nessuno escluso – deve controllare la voce per non abbandonarsi al pianto mentre racconta chi era don Ulisse, questo prete «innovativo e ricco di umanità, riservato, che aveva sperimentato nel suo cuore la ferita della vita stroncata anzitempo con la morte sotto le macerie dei 27 bambini di san Giuliano di Puglia». Una ferita che Ulisse Marinucci condivideva con i genitori dei piccoli uccisi dalla loro scuola crollata il 31 ottobre 2002, poche settimane dopo aver ricevuto proprio San Giuliano come sua prima parrocchia. «C’è una dimensione del dolore che resta tale – dice il Vescovo – ed è inconsolabile. Di fronte a essa si può solo prendere atto della nostra impotenza e della nostra finitezza, lasciando lo spazio alle lacrime e al cuore sconvolto. C’è un danno – prosegue il Vescovo – che non può essere risarcito e consolato».

Per la comunità di Termoli, la parrocchia del Carmelo, la Caritas dove Ulisse Marinucci aveva lavorato come direttore avviando iniziative e progetti in favore degli ultimi, creando le basi per il vero ammortizzatore sociale della città, dove le politiche del welfare affidate al pubblico sono sempre più fragili, è in effetti una perdita senza consolazione, un danno enorme. Per il dolore del vuoto che lascia, visibile negli occhi arrossati, nei lineamenti stravolti, nello sguardo incredulo delle persone che si stringono attorno alla famiglia. Ci cono il papà e la mamma di Ulisse, il fratello Paolo, consigliere comunale ed ex candidato alla carica di sindaco. Legatissimo al fratello maggiore. Le autorità politiche, dal sindaco agli assessori a consiglieri regionali e locali, sono presenti in forma privata per dimostrare il loro sostegno.

I funerali solenni in Cattedrale sono insieme una preghiera e un grido, che lascia spazio anche al racconto più intimo del vescovo. «La notizia che don Ulisse era morto mi ha causato un black out. Sono andato in ospedale e l’ho visto, il volto disteso e sereno. La sua ex maestra delle elementari poi mi ha detto: “Ho rivisto don Ulisse fanciullo”. Don Ulisse ha arricchito il mio ministero, è stato per me un sacerdote dotato di fine intelligenza, cultura, che ha attivato la carità e l’ha vissuta fino all’ultimo momento del suo ultimo giorno su questa terra, prima di finire nell’abbraccio del Signore. Quel Signore che ringrazio per avermelo messo accanto. So che continuerà ad aiutarmi, come ha fatto quando, inesperto e un po’ spaventato, sono arrivato a Termoli e lui si è preso cura di me e mi ha protetto dalle incursioni e dalla sovraesposizione mediatica. So che continuerà a farlo fino a quando non ci rivedremo. Grazie Ulisse, e a prestissimo».

A fine messa le parole con la voce spezzata del vescovo Valentinetti che legge la lettera del vescovo D’Ambrosio, commovente, aggiungono un altro tassello al ricordo collettivo di don Ulisse, il cui corpo è stato depositato nella semplice bara di legno, lasciata aperta durante la messa di addio al Carmelo nella mattinata, con i paramenti sacri delle festività, in bianco e rosso, una corda da marinaio e una stella marina ai piedi.

E i marinai hanno voluto salutarlo a modo loro, giù al porto, facendo fare un saluto ai pescherecci schierati uno accanto all’altro. Perché don Ulisse Marinucci non era solo un “prete”, era anche uno di loro, cresciuto sulle barche e con l’amore per la pesca e il mare. Come era “uno di Termoli”, uno che c’era sempre per tutti, che non si lasciava andare a ipocrisie, che sfuggiva dalla retorica, che conosceva la città e la sua gente e al perdono di cui era capace univa il coraggio della verità, in strada come dal pulpito.

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