Il punto storico e politico

Mussolini cittadino onorario di Termoli: un po’ di chiarezza prima del voto in Consiglio

L’origine e le motivazioni di un atto la cui proposta di revoca fa discutere anche dopo novant’anni. Lo stesso Mussolini non ne poteva più di queste adulazioni, tanto da vietarle dopo qualche tempo. Martedì davanti all’assemblea cittadina il quesito se la Termoli democratica di oggi si riconosce o meno nell’atto che la vincola al fascismo e al suo capo. La disamina del nostro Giovanni De Fanis, scopritore del documento e autore nel 2014 di un ampio studio sul fascismo termolese e molisano.

Fra gli omaggi elargiti durante il periodo fascista dal Consiglio comunale di Termoli, la delibera di cittadino onorario al capo del Governo Benito Mussolini è l’atto più politico, giacché esprime, attraverso parole e toni (adulatori), l’adesione della città al fascismo e al suo “Duce”. Di poco precedenti l’intitolazione allo stesso della piazza principale del paese e l’iscrizione di Termoli alla federazione provinciale dei Comuni fascisti.

Elencate nell’atto, di cui oggi si chiede la revoca (n. 19 del 15 maggio 1924), alcune «altissime benemerenze» tra le quali la «multiforme opera di statista e di uomo di governo [che] ha salvato l’Italia dal baratro dell’anarchia e del fallimento», nonché l’avere «restaurato l’esausto bilancio statale, ravvivando le sorgenti del lavoro e della ricchezza nazionale».

Il solenne voto di plauso rivolto al sottosegretario alle Poste e ai Telegrafi in carica all’epoca, Mario Carusi, originario di Guglionesi (del. n. 38 del 30/8/1925) e la cittadinanza al «Cav. Norante Vincenzo» (del. n. 42 del 24/10/1925) possidente di Campomarino, rispondono, invece, a esigenze di carattere più pratico.

Nel caso di Carusi per avere favorito l’utilizzo dell’acquedotto dell’Eremita, di proprietà delle Fs, allo scopo di approvvigionare la città e per le «prove di benevolenza e affetto» passate e future (leggi provvidenze governative avute e richieste). In seguito per esse Carusi riuscirà a ottenere addirittura l’intitolazione di una strada, l’attuale via Mario Milano.

Norante è onorato per «avere rinunciato al giudizio promosso contro questo Comune per la rivendica della proprietà del largo denominato Benito Mussolini», in seguito donato. In sostanza l’Amministrazione comunale era stata trascinata in tribunale per avere occupato abusivamente lo spazio di proprietà Norante per erigervi il monumento ai caduti. Giudizio dal quale si temeva uscisse soccombente.

Dopo la guerra, un politico democristiano locale molto noto, per premiare i suoi grandi elettori e per ingraziarsene altri, fa loro ottenere la nomina a Cavaliere. Mai visti, ad esempio, tanti preti “Cavalieri della Repubblica” in Molise come a quel tempo. Le preferenze del fascismo sono, invece, per le cittadinanze onorarie e l’intitolazione delle strade, almeno fino all’introduzione delle leggi «fascistissime», quando tra i numerosi atti liberticidi, sono cancellate anche le assemblee elettive, dal Parlamento a quelle locali, impedendo così alla pratica clientelare di dilagare.

Sono anni, quelli, in cui il processo di “fascistizzazione” della società italiana marcia a vele spiegate. In quel contesto l’omaggio al “Duce” è una prassi politicamente e moralmente obbligata, oltre che diffusissima. A essa si assoggettano volentieri istituzioni pubbliche e private, e Termoli, che si vantava (a parole) di avere il Fascio primigenio del Molise, non poteva che essere tra le città più entusiaste e leste a “provvedere”.

Fino a quando lo stesso Mussolini non decide di dire basta. Porta la data del 28 dicembre 1934 il telegramma cifrato indirizzato a tutte le prefetture, da trasmettere poi ai Comuni, con cui Mussolini stabilisce che piazze, strade, scuole, campi sportivi e altro a lui intestati cambino denominazione, sostituite con quelle richiamanti caduti e luoghi della Grande Guerra. È così che al recalcitrante podestà termolese Ragni è imposto di modificare in piazza Vittorio Veneto quella che, con acquiescente solerzia, sin dal febbraio 1923 si chiama Benito Mussolini.

È talmente incontenibile a quel tempo la moda di intestare qualunque cosa al Duce che tra i cavalli che corrono all’ippodromo Agnano di Napoli l’Agenzia governativa Stefani scopre esservi un brocco di nome “Dux”, scatenando la furibonda e minacciosa reazione del sottosegretario agli Interni Buffarini Guidi. Chi oggi si affanna a difendere quelle benemerenze ignora che è stato lo stesso Mussolini a volere a un certo punto che l’abitudine cessasse.

Sepolta da novant’anni tra le scartoffie dell’archivio storico cittadino, la delibera su “Mussolini cittadino termolese” è tornata alla luce due anni fa e pubblicata da questo giornale, suscitando non poco clamore. Su di essa si è prontamente innestata l’iniziativa revocatoria del consigliere comunale Paolo Marinucci.

Scontata la reazione di neofascisti di varia caratura e provenienza, ma grande sorpresa per quella di persone insospettabili di qualunque vicinanza politica al fascismo, tanto da disvelare l’esistenza a Termoli di una coriacea ed estesa “sacca” di nostalgici del regime mussoliniano inconsapevoli di esserlo.

Per averne conferma basta leggere le lettere e gli interventi di questi giorni sui giornali e social network o ascoltare qualcuno per strada: «iniziativa ininfluente», «è passato tanto tempo, lasciate stare in pace i morti», «è la storia che deve giudicare quell’uomo, non noi», «c’è dell’altro e di più importante cui pensare oggi», «ha fatto tante cose buone». L’aspetto più rimarchevole di queste prese di posizione non sono tanto le argomentazioni, ma la gigantesca ignoranza dei fatti storici che affiora da esse.

Il Consiglio comunale, chiamato martedì a decidere, non è un tribunale dove si dovranno distribuire condanne o assoluzioni, ma un organo politico-amministrativo, e come tale non solo legittimato a discutere e a deliberare su una proposta del genere, ma a mio modesto parere anche moralmente obbligato, visto il suo contenuto.

Nel concreto si propone la cancellazione di un vecchio atto dell’assemblea cittadina che lega indissolubilmente la città alla persona responsabile, secondo i fatti e l’opinione comune, degli enormi disastri patiti dal Paese alcuni decenni fa, e ciò può farlo solo lo stesso Consiglio.

Il fatto che siano trascorsi novant’anni da quella presa di posizione e settanta dalla fine del fascismo non sono motivi sufficienti per negare l’importanza e l’attualità di affrontare un argomento del genere. Del resto solo due anni fa si è scoperta l’esistenza del documento, prontamente posto all’attenzione del Consiglio e accantonato allora con un artificio dialettico.

Nessun timore, dunque, a parlare del fascismo. Il giudizio su di esso è già stato dato da tempo ed è di inappellabile condanna. Non occorre ripeterlo martedì, ma dire solo se la Termoli democratica di oggi può ancora riconoscersi in un atto vincolante come quello del 1924, oppure omettere ancora una volta in modo tartufesco di pronunciarsi sulla questione.

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