Termoli Jazz Podium 2001

A conclusione della seconda edizione della rassegna l’autorevole commento di Aldo GIANOLIO.

Termoli jazz alla sua 2° edizione ha già preso una sua determinata fisionomia: il jazz presentato è senza compromessi e nessun concetto è slegato dall’altro.

Il festival è stato costruito su concetti compositivi di ampio respiro (gli "ELEVEN" di Franco D’Andrea la prima serata ed il momento di Dave Liebman, la terza ed ultima), inframezzati da momenti più raccolti (gli stessi D’Andrea e Liebman in duo e il trio di Stefano Bollani, nella seconda sera).
D’Andrea ha esposto un jazz originale, dove le otto voci della front line si sono intrecciate senza soluzione di continuità in incessanti forme contrappuntate frutto di diverse combinazioni strumentali, lasciando ogni tanto emergere un singolo solista.
D’Andrea ha puntellato con un continuo arabesco incalzante (senza quindi l’uso canonico degli accordi) la struttura aperta, ma al tempo stesso rigida in alcuni dei passaggi fondamentali.
L’impatto è stato di forte intensità, segnando uno dei momenti più forti del jazz contemporaneo. D’Andrea è tornato nella seconda serata, su modi più ortodossi di accompagnamento, dettando con la ferrea logica improvvisativi di Dave Liebman, condensata in aspri e lunghi spezzoni melodici di allucinatoria bellezza.
Più accattivante si è dimostrato il giovane Stefano Bollani, che ha confermato tutto il suo talento, ormai promessa mantenuta del nuovo jazz italiano.

L’intesa tra i tre (Roberto Gatto alla batteria e Giovanni Tommaso al contrabasso, ovverosia altre due generazioni di musicisti) è stato eccellente, ricca di subitanee risoluzioni e nuove aperture, ricalcando il modus sonandi del classico trio di jazz moderno, ma l’eclettismo sornione di Boliani ha diretto verso differenti soluzioni formali, pur rimanendo sempre entro i confini della tonalità e dello swing tradizionalmente inteso. Doverosamente attento alle consegne Boliani è stato più contenuto nella serata conclusiva, in formazione con il nonetto di Dave Liebman. Le partiture di Liebman sono state difficili ed impegnative, con complicazioni metriche di ardua attuazione, ma ottimamente eseguite dal gruppo interamente italiano. È stato un jazz ispido e geometrico, a diverse combinazioni sonore e sempre pieno del bounce e del calore tipici del migliore jazz.

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