Termoli ieri e oggi

Quando i scòpacchiazze facevano la raccolta porta a porta

Il servizio di igiene urbana nella Termoli degli anni Quaranta era affidato a una “squadra ecologica” composta da spazzini (scòpacchiazze) e ippotrasportatori (trajenire). I netturbini prelevavano i rifiuti direttamente nelle abitazioni e li portavano nella discarica di Rio Vivo Marinelle, più o meno nel luogo dove oggi si trova il campo dell’Ultravolo. Ricostruzione di un “porta a porta” ante litteram in una città che non brillava certo per pulizia e che, alla fine dell’Ottocento, aveva fatto inorridire l’archeologo François Lenormant, che così descrive Termoli: “In questo fango brulicano alla rinfusa bambini cenciosi e seminudi e una moltitudine di porci neri più numerosi degli abitanti del pianeta. In nessun posto, eccetto in qualche villaggetto dell’Irlanda, si vede una simile promiscuità tra uomini e porci...”

Chi volesse avere un’idea da chi e come fosse composta la “squadra ecologica” del Comune di Termoli nella seconda metà degli anni quaranta, non ha che da guardare quella vecchia immagine pubblicata nel 1989 sul libro fotografico “C’era una volta …a Termoli”, a cura di Carlo Cappella e Giorgio Giovannetti.
 
Costituita da una decina di dipendenti, tra scòpachiazze (spazzini) e trajenire (ippotrasportatori), è tutta schierata, ordinata e in bella posa come per una rassegna militare, sullo slargo del “Piano” al borgo vecchio. Ciononostante i nostri netturbini sembrano avere un’aria tutt’altro che marziale. Alle spalle della “fanteria” sono disposte, anch’esse ben allineate, le unità “a cavallo”: tre cavalli e giumente con carretto e i loro guidatori.
 
Le “armi” in dotazione, esibite dagli operatori ecologici con tanto orgoglio, vanno dalle massicce ramazze fatte in proprio con le fascine, alle più leggere scope di saggina, ai carrettini e ai bidoncini zincati su ruote, ovviamente trainati a mano.  Tra le persone si riconoscono Rocco Pellicciotta, detto da Bannetòre, Antonio Cupello-Castagno, alias Sarchiétte, i fratelli Vincenzo e Antonio Venittelli di Laurétte.
 
Prima della guerra gli spazzini erano cinque, più due carrettieri, i fratelli Palazzo. Il loro “comandante”, nonché banditore, Giosuè Colarelli, classe 1876, è ancora oggi tra i personaggi locali più ricordati per la simpatia e l’estemporaneità delle battute. Come questa passata alla storia: «‘N cule a i préte …de la strata», lanciata all’indirizzo di un noto parroco che gli doveva risultare particolarmente antipatico.
 
Dalla stessa immagine si nota come non esistesse la pavimentazione. Del resto a quel tempo molte altre strade cittadine ne erano prive (il Terzo Corso fu asfaltato solo nei primi anni sessanta), e questo rendeva più arduo e approssimativo il lavoro di pulizia della città. Eppure erano questi uomini che nelle condizioni date del tempo e dei mezzi a disposizione garantivano giornalmente la pulizia delle vie cittadine e, si stenterà a crederlo, a curare la raccolta porta a porta dei rifiuti. Con risultati, va detto, appena sufficienti.
 
Termoli allora contava intorno ai 10mila abitanti. L’abitato superava di poco la barriera della ferrovia, rari i fabbricati che raggiungevano il secondo piano. Quartieri come quello di Santa Lucia, per esempio, ancora lontano dal completamento, conteneva nel suo perimetro il saponificio dei Di Gioia e, soprattutto, il fabbricato della Novaro (sansificio) con l’imponente ciminiera. Sul grande spiazzo davanti a esso di tanto in tanto alzavano le tende i circhi equestri, mentre sul costone prospiciente il mare e il seminario vescovile si accendevano, a San Basso, i fuochi d’artificio.
 
Qui, alla fine degli anni Venti i radi abitanti, data la relativa lontananza dal centro, si concedevano la licenza di allevare all’aperto gli animali da cortile, cosa che era severamente vietato. Contro i trasgressori il podestà dell’epoca, l’avvocato Cieri, ingaggiò una lotta rigorosa a base di pesanti multe (la sanzione era di £10, una fortuna): «Appena assunto alla carica podestarile vietai la circolazione dei polli per le vie dell’abitato, perché tale fatto, oltre che a costituire un inconveniente dannoso all’igiene ed al servizio dello spazzamento, dava alla città l’aspetto di una borgata di campagna…».  
 
E senza riguardi per nessuno:«dagli atti di questo ufficio risulta…elevata contravvenzione a carico di (…), moglie del capo guardia municipale (…) e punirò esemplarmente le guardie municipali ove verrò ad acclarare qualsiasi caso d’indulgenza».
 
Il rigore di Cieri, non solo quello per l’igiene pubblica, non piaceva affatto ai fascisti, tanto che il podestà venne violentemente rimosso qualche mese dopo lo scritto riportato (29 aprile 1929). Altro ostacolo ai fini della igiene e della pulizia urbana era costituito all’epoca dalla presenza di molti animali da soma, nonché da cani e gatti randagi. Nei riguardi dei primi va sottolineato come il rigore dei vigili urbani dell’epoca, tutti ferventi fascisti, era misurato sulla base della vicinanza delle deiezioni alle sedi e locali vari del fascio. Insomma, un insopportabile affronto al Duce e alla causa da far pagare prima e più severamente di ogni altra cosa. Esiste al riguardo una significativa e involontariamente comica documentazione.
 
Che Termoli, ancora prima del Novecento, non avesse brillato per la pulizia lo testimonia un visitatore d’eccezione: l’archeologo francese François Lenormant. Il quale durante un suo famoso viaggio nel Sud d’Italia del 1866 approdò a Termoli e ne fu subito sconvolto: «È un dedalo di vicoli e vicoletti…(si tratta del centro storico, ndr) dall’aspetto quanto mai miserabile. Uno spesso strato di letame puzzolente e vischioso, che il sole non riesce ad essiccare, copre il selciato pieno di buche e di fenditure».
 
«In questo fango brulicano alla rinfusa bambini cenciosi e seminudi e una moltitudine di porci neri più numerosi degli abitanti del pianeta. In nessun posto, eccetto in qualche villaggetto dell’Irlanda, si vede una simile promiscuità tra uomini e porci». E ancora: «È una fraternità davvero commovente e che riuscirebbe persino divertente, se, attraverso le strade, non ci si sentisse assaliti da nugoli di insetti pullulanti in quella sporcizia».
 
Un quadro terrificante, che il vescovo Tomaso Giannelli aveva già in gran parte anticipato nelle sue note Memorie scritte tra il 1766 e il 1768. Le fogne, grazie soprattutto all’iniziativa del Cieri, furono completate solo nel 1930, ma fino all’immediato dopoguerra, anche perchè solo pochi nel borgo antico disponevano del gabinetto, il contenuto dei vasi da notte continuava ad essere svuotato rovesciandolo dal muraglione sulla sottostante scogliera. Lo stesso accadeva per i rifiuti. Non pochi, però, erano quelli che, disponendo di un piccolo podere, li usavano come fertilizzante.
 
Il “porta a porta” degli anni 40 e 50 era tuttavia necessitato. Un diverso sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti non esisteva, né era a quel tempo immaginabile. Due i “passaggi” giornalieri effettuati per la raccolta: la mattina entro le 9 e al primo pomeriggio. Gli addetti, la cui presenza era richiamata dal suono della tromba (la stessa dei casellanti delle Fs) o di un fischietto a trillo, si recavano presso le abitazioni per svuotare nei loro capienti bidoni di latta i rifiuti delle famiglie.
 
I quali, una volta riempiti, venivano a loro volta depositati all’interno dei carretti in dotazione. In un secondo momento avveniva il trasbordo nei contenitori dei carretti a cavallo per l’inoltro in discarica. In alcune zone della città, come ad esempio in Corso Vittorio Emanuele e nelle stradine comprese tra i Corsi Nazionale e Fratelli Brigida, erano gli stessi netturbini ippotrasportatori a prelevare direttamente la monnezza dalle abitazioni.
 
Secondo il ricordo di alcuni anziani interpellati, in un primo momento la discarica era situata a Rio Vivo, più o meno all’altezza del Circolo della Vela. Chi scrive, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, la ricorda nitidamente più oltre, in località Marinelle, più o meno nel luogo dove oggi si trova il campo dell’ultravolo. Ricorda pure l’instancabile volo dei gabbiani sui cumuli di spazzatura e qualche volta gruppi di maiali al pascolo nello stesso luogo. I molti orti della zona se ne giovavano anch’essi per il compostaggio.
 
Oggi altre sono le condizioni ambientali e di vivibilità delle persone e, di conseguenza, le problematiche legate al ciclo dei rifiuti. La gente è, per fortuna, più consapevole d’una volta dei danni che provoca un non corretto smaltimento degli stessi. Ma è proprio questo che deve indurre noi cittadini termolesi a cogliere questa straordinaria e non più rinviabile opportunità del nuovo sistema di raccolta differenziata, come occasione per migliorare la qualità della vita e non solo come segno di moderna civiltà.
 
Dubbi, incertezze e quant’altro espressi in questi giorni sono normali oltre che legittimi. Sta ai promotori di questa grande iniziativa, amministratori e operatori pubblici incaricati, ascoltare pazientemente tutti e togliere ogni residua riserva o preoccupazione nel cittadino ai fini di una sua più convinta collaborazione.

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