Emergenza lavoro

Ombre nere sulla Fiat: cambi e motori da dismettere, giovani licenziati in massa ma proroghe di contratto agli esterni video

Forti timori per il futuro nella fabbrica che produce cambi e motori destinati a sparire dal mercato, dove non si intravedono altre prospettive se non i motori a benzina per auto di grossa cilindrata che sono però una nicchia produttiva. Assunti 130 operai, ma mandati a casa 150 per i quali oggi è l’ultimo giorno di lavoro. E una domanda: “Perché restano gli operai di Melfi e si licenziano i molisani?”

La domanda che molti si pongono il giorno dopo l’ufficializzazione del destino professionale dei 500 interinali della Fiat Chrysler di Termoli è questa: perché non è stato prorogato il contratto a 150 lavoratori precari mentre si mantengono gli operai di Melfi, che peraltro – pur essendo precari anche loro – costano il doppio all’azienda?

 

Una domanda che si inserisce in un contesto poco lineare, fitto di ombre scure. In due anni il clima nello stabilimento metalmeccanico di Rivolta del Re è drasticamente cambiato. L’ottimismo iniettato dall’investimento sui motori V6 voluti dall’ex ad Sergio Marchionne, che ha spalmato proprio su Termoli 500 milioni di euro dando il via a nuove assunzioni, è un ricordo che sbiadisce.

 

Al suo posto la paura di futuro molto più nero sul fronte dei livelli occupazionali. Il calo produttivo, e soprattutto le caratteristiche tecniche e di mercato dei prodotti termolesi, di fatto destinati a una progressiva dismissione anche alla luce del piano industriale presentato da Fiat nello scorso luglio e in considerazione dell’orientamento aziendale sull’ibrido e sull’elettrico, impongono nuovi ritmi di lavoro, che viaggiano a velocità nettamente inferiori.

 

Un esempio per tutti, ricorda Riccardo Mascolo della Fim-Cisl, sono i cambi. “Prima se ne facevano circa 900 a turno per tre turni, ora siamo nell’ordine di 800 cambi prodotti su un unico turno”, che in pratica copre l’intera giornata produttiva. Si va oltre il dimezzamento, si parla di un due terzi in meno. E che dire del motore Fire, fiore all’occhiello per 30 anni di Termoli, che è destinato a sparire, e nemmeno troppo in là?

 

Le regole europee a tutela dell’ambiente e sulle emissioni vedono la produzione del Fire in caduta libera e vertiginosa, e stando a quanto si apprende all’interno della fabbrica si tratta di un motore non più aggiornabile, che ha fatto il suo tempo. Del resto l’azienda torinese sta guardando da tutt’altra parte, come lascia intuire la importante ricerca in un progetto di elettrico puro che Fiat potrebbe calare sul mercato nell’arco di qualche anno, sul quale sono già partite le sperimentazioni. Ma non certo a Termoli: sono altri gli stabilimenti deputati a ospitare le linee produttive elettriche del futuro, almeno secondo le voci che si rincorrono in queste settimane di timori e preoccupazioni nelle quali la notizia dei 135 ex precari stabilizzati, e quindi assunti a tempo indeterminato, che risale al 2 agosto, è l’unica buona notizia in un panorama che prospetta scenari assai più inquietanti.

 

Così la domanda sui trasfertisti di Melfi diventa anche una domanda sul futuro occupazionale di quella che, dopo la Asrem, è la principale realtà occupazionale del Molise, con i suoi circa 3000 dipendenti. Se non ci fosse Fiat, come anche i maggiori esperti di flussi economici del territorio confermano, ci sarebbe un collasso generale e la crisi e l’emarginazione del Molise arriverebbero a livelli di non ritorno.

 

“Il mantenimento dei trasfertisti di Melfi a Termoli – cerca di spiegare Mascolo – scaturisce da un accordo di solidarietà fatto a livello nazionale con l’obiettivo di evitare l’uso di ammortizzatori sociali. Un documento firmato ancora prima dell’accordo, per evitare la cassa integrazione”. Il sindacalista non si sbilancia, ma è chiaro che preferirebbe, come tutti da queste parti, che si desse priorità ai lavoratori molisani piuttosto che agli operai di altri stabilimenti ancora più in crisi di Termoli, che probabilmente hanno commesso l’errore di assumere, negli anni scorsi, personale che ora si rivela in forte esubero.

 

Fatto sta che il mantenimento dei trasfertisti comincia a sembrare un pessimo segnale davanti al mancato rinnovo del contratto per 150 persone. “Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno – riconosce ancora il numero 1 della Fim-Cisl –  possiamo interpretare come una buona notizia il rinnovo del contratto per altri 2 anni a beneficio di 187 interinali. Per altri 19 il contratto scadrà a dicembre e non si sa se verrà poi rinnovato o meno. Confidiamo che quelli che al momento tornano a casa potranno essere richiamati, ma la verità è che in questo momento c’è una situazione di grande incertezza”.

 

Ombre scure si allungano sulla fabbrica dove c’è già chi scommette, con l’amaro in bocca, su un forte ridimensionamento. I capannoni termolesi potrebbero specializzarsi, è vero, sui motori a benzina di grossa cilindrata per auto sportive, sulla scia del V6, che si produce però, avendo un mercato di nicchia, nell’ordine di una ventina di pezzi al giorno.

 

Il fatto che Altavilla, ex numero 2 di Marchionne, l’uomo del Sud che sperava in essere messo al vertice al posto di Manley, abbia deciso di mollare tutto costituisce un altro tassello buio. In azienda parecchi si lasciano scappare che la decisione Altavilla l’avrebbe presa sapendo, a questo punto, che tutti gli stabilimenti del Sud subiranno tagli pesanti.

 

D’altronde in una intervista molto recente l’amministratore di Fca Marchionne aveva confermato che “entro il 2025 meno della metà delle auto prodotte al mondo sarà totalmente alimentata a combustione, ovvero a benzina o diesel, lasciando la strada ai motori ibridi e elettrici”, e annunciando che “Fiat, prima degli altri, saprà reinventarsi”. Ricerca e sviluppo, che preludono alla produzione di prototipi, si stanno concentrando in fabbriche del nord Italia, come la Magneti Marelli di Modena. “Niente, zero a Termoli”.

 

E malumori si ricorrono anche sull’ accordo di bacino per gli esclusi dal rinnovo dei contratti, i 150 che proprio oggi faranno l’ultimo turno di lavoro. Esiste infatti un accordo precedente, firmato da azienda e sindacati, per un bacino di ragazzi che dovevano essere richiamati ma per i quali, a questo punto, la prospettiva di una assunzione, sia pure a tempo determinato, sfuma.

 

Intanto la comunicazione aziendale del 2 agosto è bollata come un benservito ai lavoratori da parte di Elvio Lategano e Andrea Di Paolo, del Coordinamento Provinciale di Campobasso  della Flmuniti Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti e del Sindacato Operai Autorganizzati. “L’uscita di 150 giovani dallo stabilimento termolese dopo mesi di lavoro flessibile e disagio sui turni e sulle linee è una pessima notizia, il frutto del fallimento del contratto aziendale supportato dai sindacati firmatari, dove l’instabilità e il taglio dei diritti la fanno da padroni”.

“Vero è che la comunicazione sostanzialmente mette in organico circa 130 lavoratori su 500 – dicono in una nota – ma il resto continua ancora con contratto precario a termine e  150 sono fuori con promesse congiunte di un bacino che all’occorrenza verrebbero considerati. Una illusione, visto che ci sono centinaia di giovani che ancora aspettano di essere richiamati, e un fatto ancor più grave perchè da settembre arriveranno a Termoli altri lavoratori da altri stabilimenti Fiat vittime della mobilità dai loro territori”.

Il riferimento è proprio ai trasfertisti di Melfi. Ora ne sono 150, e a settembre ne dovrebbe arrivare un’altra cinquantina. La domanda si ripropone: perché si tutelano gli esterni e si penalizzano i molisani?

Flmuniti Cub e Soa la vedono nerissima anche perché confermano, manifestando solidarietà ai giovani licenziati e annunciando lotta alla precarietà e al taglio dei diritti, che “di produzioni future neanche a parlarne”. Che fine farà la Fiat di Termoli?

 

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