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La radio e il filo spinato: la storia di Padre Massimiliano Kolbe raccontata con gli oggetti

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La Radio e il Filo spinato: la storia di Padre Massimiliano Kolbe raccontata con gli oggetti ‘: una piece teatrale di Roberto Abbiati e Luca Salata che ha vinto il Festival ‘I Teatri del Sacro’ di Pordenone viene rappresentato giovedì 2 maggio alle ore 18 presso la Sala “Arturo Giovannitti” del Palazzo dell’ex Gil  da Fondazione Molise Cultura e dall’A.N.R.P (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dall’Internamento dalla Guerra di Liberazione e loro familiari).

Lo spettacolo vuole ricordare e divulgare la conoscenza di una tragica pagina della nostra storia recente –  quella dei campi di sterminio tedeschi – tragedia umanitaria che gli stessi superstiti dell’Olocausto per il bisogno di dimenticare non hanno mai raccontato neppure ai loro stessi familiari.

Padre Massimiliano Kolbe: il martire che rese meno disumano Auschwitz; è stato un presbitero francescano polacco che si offrì di prendere il posto di un altro prigioniero, padre di famiglia, destinato al bunker della fame. E’ stato beatificato nel 1971 da papa Paolo VI e proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II che lo definì “martire dell’amore”.

La vita, spesso, obbliga a compiere delle scelte, ci pone dinanzi alla necessità di saper dire di no, o meglio, disobbedire per obbedire al richiamo della propria coscienza. Ed è proprio quello che è capitato a Michele Montagano, nostro concittadino classe 1921, uno dei circa 2 milioni di soldati che la sera dell’8 settembre del 1943 viene raggiunto dalla voce del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio che dalla radio annuncia: “Il governo italiano riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhover, comandante in capo delle forze alleate anglo-ameriane”.

Michele Montagano insieme a tanti giovani italiani componenti l’Esercito, dislocati non solo in Italia anche in Jugoslavia, Montenegro, Albania, Grecia e la Francia meridionale, scoprono che è stato firmato un armistizio che non chiude il conflitto, ma trasforma in nemico colui che prima era alleato. Il Paese e con esso l’Esercito italiano è allo sbaraglio.

I cancelli delle caserme si spalancano e molti soldati fuggono,  si danno alla macchia, si dirigono verso le proprie case, altri ancora si uniscono ai partigiani; molti – addirittura 1.007.000 –  vengono  catturati dai tedeschi nei giorni successivi, e questi si mostrano particolarmente feroci verso coloro che un tempo erano stati alleati che da quel momento in poi vengono  appellati con il termine: italiani traditori.

La sorte dei militari italiani è quella del campo di concentramento , spogliati della divisa, umiliati, insultati, affamati. Poi viene loro offerta la possibilità di una vita più dignitosa a patto di combattere al loro fianco, e aderire alla repubblica di Salò ed uccidere ancora ma, ponendo sotto la mira delle armi altri italiani. Il 9 settembre del 1943, il giorno dopo l’annuncio di Badoglio dal Comando Supremo della Wehrmacht con la complicità di Mussolini viene  emanata una direttiva sul trattamento cui dovranno essere sottoposti i militanti italiani fatti prigionieri.

I soldati italiani che non siano disposti a continuare la lotta a fianco dei tedeschi  devono essere disarmati  e considerati prigionieri di guerra”. Ma non è proprio così, per volere di Hitler si crea l’IMI: Internati Militari Italiani, uno status del tutto illegale, motivato dal fatto che la Germania non aveva alcun interesse a considerare i soldati italiani prigionieri di guerra ma dovevano essere  utilizzati come forza lavoro a favore del Terzo Reich. L’armistizio dell’8 settembre è per l’IMI e gli uomini che ne fanno parte la dura presa di coscienza di una guerra perduta per l’Italia e, l’unico modo per riuscire a considerarsi ancora italiani provvisti del senso religioso di una libera scelta politica è quella di dire “no” all’alleanza con i tedeschi; “no” al tradimento di un armistizio firmato con gli anglo – americani avente lo scopo di  porre fine al passato e ai suoi errori.

A pronunciare il “no” saranno in 600.000 –  tra questi Michele Montagano – gli altri 103.000 assumeranno i ruolo di collaborazionisti. “La mia non è stata una prigionia, – ebbe a dire Michele Montagano a nome dei 44 ufficiali italiani dell’IMI che sfidarono i nazisti e che possono a ben ragione essere considerati: gli eroi di Unterluss  – ma una guerra contro la Germania nazista, combattuta senz’armi con la sola forza della volontà e dello spirito espressa con una piccola grande parola – NO –. Quel NO che abbiamo gridato sino alla fine, a costo del supremo sacrificio della vita”.

E l’occasione per gli ufficiali italiani di rendersi protagonisti  del sacrificio estremo si presenta il 24 Febbraio 1945 nell’Oflag di Dedelstorf. Per salvare la vita a ventuno compagni di sventura scelti a caso tra 214 da un colonnello della Gestapo, in segno di sfida ai nazisti, in 44 si offrirono volontariamente di sostituirli per una fucilazione dimostrativa che poi, fortunatamente non venne eseguita.

Da “La Radio e il Filo Spinato” la dimensione del sacro emerge con grande potenza, seguendo la struttura narrativa che passa dai toni semplici e allegri della prima parte, in cui protagonista e l’immagine simpatica i Padre Kolbe in bicicletta, a una seconda parte in cui le testimonianze sulla magnanimità del Santo – e soprattutto sull’altruismo dei suoi gesti  nel campo di sterminio – si fanno commoventi.

La rappresentazione teatrale è ad ingresso libero. 

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