Campobasso

Il generale Governale (ex Dia): “La mafia arriva in silenzio. La porta d’ingresso? Anche il Pnrr”

Il generale dei carabinieri che è stato capo del Ros, e fino al 2020 ha diretto la Direzione investigativa antimafia, coglie l'importanza del ruolo della società civile nel suo libro "Sapevamo già tutto", presentato all’Unimol in un incontro con studenti e istituzioni e con il giornalista Sergio Bucci

Giuseppe Governale, generale palermitano dei carabinieri che è stato al vertice del Ros e della Dia, oggi ha varcato la soglia dell’aula magna dell’Unimol per quella che, alla fine, si è rivelata una lectio magistralis – che ha preso forma nel dibattito con il giornalista Sergio Bucci – sul fenomeno della mafia.

Governale ha pubblicato il libro “Sapevamo già tutto. Perché la mafia resiste e dovevamo combatterla prima”. Un saggio carico di suggestioni e spunti di riflessione sin dal titolo, poi oltre 300 pagine per trasmettere, servendosi della storia, la fiducia necessaria per la lotta contro Cosa Nostra e “tutte le mafie” e l’invito a dare il “colpo di grazia”. Come? Con la cultura. Che “non è sufficiente acquisizione di conoscenza e competenza, non solo almeno. Ma è prima di tutto coscienza civile. Io, per esempio, non permetterei il superamento dell’esame di maturità a chi non conosce a memoria l’articolo 3 della Costituzione. Lì, in quelle parole c’è scritto come si combatte la mafia. Andate a leggerlo”.

Governale, davanti ad una platea affollata da studenti di Scienze giuridiche, del Liceo scientifico e di allievi della Scuola Carabinieri di Campobasso, tiene alta l’attenzione per oltre 90 minuti. E il rettore Luca Brunese, quando il dibattito arriva a conclusione, è il primo ad affermare “Caro generale, 90 minuti di silenzio in quest’aula sono il primo segnale di un’attenzione che è rimasta tale senza permettersi distrazioni. E dunque, in quest’aula, ognuno di noi oggi ha certamente appreso uno strumento in più per non permettere all’azienda mafia di monopolizzare più le coscienze e tutto quello che riguarda il futuro e la vita del Paese”.

Governale
Governale
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Annuisce il generale Governale che pochi minuti prima ha smontato per esempio quella che chiama la “vulgata Buscetta” secondo cui solo le rivelazioni del grande pentito a Giovanni Falcone hanno descritto un quadro cognitivo della struttura e delle strategie della mafia. Non è così. Governale ricorda che della mafia “si sapeva già tutto” grazie alle indagini e ai rapporti del questore Ermanno Sangiorgi alla fine dell’Ottocento e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa all’inizio degli anni Ottanta. Cos’è mancato allora? “C’è stata – secondo Governale – una lunga convivenza della classe dirigente con il potere criminale e in qualche misura una insufficiente capacità delle forze di polizia di colpire al cuore Cosa Nostra”.

 

E’ mancata cultura. Ed è per questo che rispondere alla mafia significa studiare una strategia che coinvolga tutte le componenti della società civile. E quindi “occorrono funzionari affidabili e una classe dirigente di grandi capacità”. Come affidabile, paradossalmente, è per esempio la ‘ndrangheta. Organizzazione in forte espansione ovunque.

Dunque secondo Governale ogni sforzo rischia di diventare inutile se non si agisce sul sistema educativo. “Educare alla legalità ma, soprattutto, al vivere civile è fondamentale. La coscienza civile recide le radici della ‘ndrangheta, del malaffare. I ragazzi devono capire che sono cittadini e non sudditi. E in quanto tali rappresentano loro stessi lo Stato e se tu sei un pezzo dello Stato non vai contro te stesso, non vai contro lo Stato ma combatti tutto quello che lo viola o lo compromette”.

Per l’alto ufficiale “la ndrangheta è attualmente la più importante organizzazione criminale nel mondo occidentale. È diventata quello che è perché in passato è stata sottovalutata, su di lei anche i mass media hanno sempre parlato poco spegnendo spesso i riflettori. Bene, quel buio ha alimentato i tentacoli di una organizzazione che oggi vanta presenza ovunque soprattutto dove c’è crescita economica. Così oggi si contano 26 strutture di ‘ndrangheta in Lombardia, 16 in Piemonte, 4 in Liguria, 1 finanche in Valle D’Aosta, senza contare l’Emilia Romagna e il nord est”.

Infine l’appello alla classe dirigente, affinchè si orienti all’etica della responsabilità, alla capacità di decidere, alla volontà di abbandonare la “mentalità dello zero a zero”, e cioè la comoda convinzione per cui si possa vincere anche non segnando.

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