Economia, sociale e green

Italia rimandata in sostenibilità: Isernia tra le province peggiori. Campobasso ‘debole’ per la transizione

L’indice generale, che integra aspetti economici, sociali e ‘verdi’, ci colloca come Paese al 15mo posto su 29 in Europa. Si conferma in Italia la spaccatura tra Nord e Sud: le province meno sostenibili sono al Meridione ma il gap si riduce se si valutano solo gli aspetti ambientali (non quelli sociali ed economici). In generale le due province molisane sono classificate tra quelle fragili ovvero contraddistinte da un'economia debole, da scarse infrastrutture, da forte fragilità sociale, da istituzioni inefficienti e basse performance ambientali

L’Italia non brilla per sostenibilità: su 29 nazioni europee analizzate da Cerved occupa la quindicesima posizione ed è al di sotto della media soprattutto a causa delle cattive performance economiche e sociali, mentre vanta un buon livello di sostenibilità ambientale. Ma l’Italia non è uguale, come noto, a tutte le latitudini. Per quanto riguarda il Molise spicca la cattiva performance di Isernia che figura tra le peggiori province del Paese nell’indice di sostenibilità ambientale (livelli di inquinamento, situazione idrogeologica e sismica, gestione delle scorie e dei rifiuti, rischio della transizione energetica nei sistemi produttivi) e per quota di addetti impiegati in azienda a rischio fisico alto o molto alto. Mentre Campobasso viene citata tra le molte province specializzate in settori che dovranno affrontare forti cambiamenti e che però hanno imprese con una struttura finanziaria più debole e quindi meno pronta agli investimenti per la transizione (sono il 26% nel capoluogo di regione molisano).

sostenibilità mappa italia

Il rapporto elabora una mappa a colori denominata nuova geografia della sostenibilità che divide l’Italia in 7 aree. Le due province molisane sono classificate tra quelle fragili ovvero contraddistinte da un’economia debole, da scarse infrastrutture, da forte fragilità sociale, da istituzioni inefficienti e basse performance ambientali. Peggio di così, insomma, non si poteva.

indice sostenibilità ue

In generale per il Paese non è certo una fotografia lusinghiera quella che esce dalla Seconda edizione del Rapporto Italia Sostenibile, presentato oggi da Cerved Group. Lo studio, prendendo in esame centinaia di variabili, definisce un indice generale di sostenibilità (foto sopra) che integra aspetti economici, sociali e ambientali dei singoli territori. “Con questo strumento – commenta Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Group – ci proponiamo di aiutare i decisori, le istituzioni e le imprese a ragionare in termini di impatto: occorre misurare il fabbisogno delle comunità per pianificare correttamente gli obiettivi dei progetti pubblici e aziendali. Colpisce, nei confronti internazionali (introdotti quest’anno) come in quelli tra le province italiane, l’evidente correlazione tra capacità di innovazione del tessuto produttivo e velocità della transizione ecologica. Ciò significa che le grandi questioni del riequilibrio sociale e ambientale non sono separabili dai problemi strutturali che limitano lo sviluppo”.

Ma per crescere l’Italia ha soprattutto bisogno di portare a bordo le PMI (piccole e medie imprese, ndr) anche sui temi della sostenibilità. “La continua crescita della finanza sostenibile – continua Mignanelli – rappresenta però un motivo di ottimismo, il 2021 è stato l’anno del debito sostenibile, le emissioni mondiali di prestiti e obbligazioni legati a progetti e parametri sociali e ambientali sono cresciute in modo esponenziale e il nostro Paese figura ai primi posti per obbligazioni green emesse. I capitali degli investitori e i crediti bancari si dirigono sempre più verso aziende capaci di fornire misure credibili della loro sostenibilità ed estendere queste misure alle PMI è determinante per l’attrattività del Paese.”.

 

La mappa europea della sostenibilità sociale (capitale umano, assistenza sociale, fragilità delle famiglie, sistema sanitario, di sicurezza e giustizia) restituisce un quadro molto simile a quello della sostenibilità economica, collocando l’Italia al di sotto della media europea, al diciottesimo posto tra i paesi analizzati. I forti divari territoriali sono confermati anche a livello sociale, con il Mezzogiorno al terz’ultimo posto, davanti solo a Grecia e Romania. Le debolezze dell’Italia derivano soprattutto da un’elevata fragilità delle famiglie (più di un quarto è a rischio povertà), da una scarsa capacità di formazione del capitale umano e da un sistema di sicurezza e giustizia molto poco efficiente. L’Italia spicca però nell’assistenza sociale e, soprattutto, nella sanità, dove si piazza al settimo posto.

La musica cambia, invece, quando si considera l’indice di sostenibilità ambientale: l’Italia è al nono posto, prima della Francia. Le regioni del Sud restano indietro, ma con un divario molto più ridotto. In particolare, pur con un territorio più fragile dal punto di vista sismico e idrogeologico, l’Italia vanta indici migliori della media europea in tutte le altre dimensioni analizzate: sono più bassi i livelli di inquinamento e le emissioni di gas serra, in netto calo negli ultimi anni. Per quanto riguarda i consumi e la riconversione energetica, l’Italia è sostanzialmente in linea con l’Europa, con un quinto dell’energia consumata che proviene da fonti rinnovabili, mentre i risultati sono decisamente migliori nel caso delle emissioni industriali.

indice sostenibilità italia

La mappa della sostenibilità delle province italiane – sempre definita in base all’indice che sintetizza la componente economica, sociale e ambientale – conferma l’ampio divario che esiste tra il Nord e il Sud della Penisola: Milano, Bolzano, Padova, Trento, Treviso e Bergamo sono le province più sostenibili, mentre Siracusa, Vibo Valentia, Agrigento, Reggio Calabria e Crotone chiudono la classifica; la provincia meridionale migliore è Bari, al 51mo posto su 107.

Le prime province per indice di sostenibilità economica sono tutte al Nord: Milano è in testa, seguita a una certa distanza da Bologna e Torino; in coda troviamo Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Bisogna scendere alla 60° posizione per la prima provincia del Sud, Bari. La sostenibilità sociale è fortemente correlata a quella economica: le prime dieci province, con la sola eccezione di Pisa, sono al Nord, a partire da Milano, Padova e Bolzano; le ultime risultano Crotone, Reggio Calabria e Caserta. In particolare, nelle province del Sud è più alta la quota di famiglie a rischio di esclusione sociale.

L’indice di sostenibilità ambientale (livelli di inquinamento, situazione idrogeologica e sismica, gestione delle scorie e dei rifiuti, rischio della transizione energetica nei sistemi produttivi) non replica invece la spaccatura tra Nord e Sud: Macerata, Bergamo e Monza Brianza sono tra le province migliori mentre tra le peggiori ci sono Siracusa, Isernia e Ferrara.

In generale le aree metropolitane sono penalizzate da più alti livelli di inquinamento ma evidenziano risultati migliori in termini di consumi e riconversione energetica: Milano, Torino, Venezia e Padova sono le province che più frequentemente hanno superato le soglie di inquinamento da PM10, mentre Viterbo, Macerata e Urbino risultano le migliori. In termini di riconversione energetica (energia generata da fonti rinnovabili) sono invece i grandi centri a stare nella parte alta della classifica, con Brescia, Torino e Aosta a occupare le prime tre posizioni. Molto diversa anche la capacità di gestire scorie industriali e rifiuti urbani: spiccano Treviso, Mantova e Pordenone, mentre sono in grave difficoltà Grosseto e grandi città come Palermo, Genova, Catania, Trieste, Venezia, Firenze e Roma, che occupa la 94° posizione.

Infine, i costi e i rischi per la transizione sostenibile del sistema produttivo. In questo senso il Rapporto Cerved ha definito un sistema che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione, distinguendo quattro classi di rischio: i settori – come quelli dei combustibili fossili, o gli energivori – che necessitano di ingenti investimenti per riconvertire la produzione o ristrutturare gli impianti (a rischio transizione alto o molto alto); i settori manifatturieri, come ad esempio il sistema moda, che dovranno fare investimenti meno sostanziosi (a rischio medio); quelli a basso rischio e i settori green, già in linea con i requisiti previsti dalla normativa.

Ebbene, in base a questa classificazione operano in Italia 932.000 società (2 milioni di addetti) con un rischio di transizione alto e molto alto, che dovranno sopportare notevoli costi per adeguarsi a un’economia a emissioni zero. La gran parte delle risorse finanziarie che possono essere mobilitate (14,8 miliardi di euro su 20,6 totali) è concentrata al Nord, mentre al Sud, l’area in cui incidono maggiormente le attività a rischio transizione, il potenziale da investire rappresenta solo il 12,8% (2,6 miliardi).
Purtroppo, molte province specializzate in settori che dovranno affrontare forti cambiamenti hanno imprese con una struttura finanziaria più debole e quindi meno pronta agli investimenti: a Potenza il 29,4% degli addetti opera in attività a rischio alto e molto alto di transizione, a Taranto il 29,3%, a Chieti il 27,7%, a Campobasso il 26%.

Poi c’è il rischio fisico: incrociando le informazioni sulle sedi di tutte le società italiane con le mappe dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) è stata valutata l’esposizione di imprese e immobili alle diverse componenti del rischio fisico. Sono più di un milione (il 19,3% di 5,3 milioni, quelle iscritte al Registro delle Imprese) e impiegano 3,3 milioni di addetti le aziende a rischio fisico ‘alto’ o ‘molto alto’, in particolare nelle province appenniniche come L’Aquila, Vibo Valentia e Isernia; cifra che si dimezza (550.000, oltre 2 milioni di lavoratori) se si valuta solo il rischio di frane e alluvioni, più forte nel Nord-Est, in Liguria e nel Delta del Po.

Foto Facebook di Isernia Isernia

commenta