L'Ospite

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La basilica vaticana e i personaggi apocrifi

I vangeli apocrifi aiutano a recuperare antiche tradizioni ecclesiali, le più preziose nascono a Gerusalemme, grazie alla lettura di questi testi riusciamo a comprendere meglio certe devozioni tramandate all’interno della Chiesa (e delle Chiese di Oriente e di Occidente) e trasformate in raffigurazioni da innumerevoli autori (specie pittori e scultori) nel corso dei secoli.

Generico agosto 2022

Le storie di questi personaggi “apocrifi” come la Veronica, Longino, i due ladroni Gesta e Disma, Pilato e la moglie Claudia Procula sono raccolte nel volume da poco in libreria per i tipi di Tau Editrice dal titolo: “I Vangeli apocrifi sulla Risurrezione”, testi apocrifi sulla passione, morte, discesa agli inferi e risurrezione di Gesù.

Il volume porta la presentazione del francescano Eugenio Alliata, insigne archeologo della custodia e la post-fazione di padre Francesco Patton custode di Terra Santa.
Forse non ci rendiamo conto di quanto questi scritti hanno potuto mantenere viva e aiutare la fede di tanti cristiani e di come tradizioni destinate a sparire si siano salvate attraverso il laborioso lavoro di monaci e intellettuali che hanno copiato e tramandato gli scritti apocrifi.

I libri apocrifi sono stati in grado di influenzare grandemente la teologia, l’arte, la poesia, la musica, la liturgia e la cultura popolare con la loro straordinaria ricchezza di contenuto narrativo e devozionale.

La Basilica di san Pietro custodisce alcune memorie di questi personaggi che nei secoli si sono imposti alla devozione popolare.
I pilastri che sorreggono la maestosa cupola di Michelangelo portano alla base due maestose statue di personaggi apocrifi: la Veronica e san Longino.

La storia della Veronica si confonde con l’emorroissa del vangelo che toccando il mantello di Gesù guarisce. Nel 310 d.C. lo storico della chiesa Eusebio di Cesarea ci informa che a Cesarea di Filippi (Banias) c’è una statua in bronzo che ricorda il prodigio dell’emorroissa.
Nell’anno 400 circa il vescovo di Lidia, Macario Magnesiaco, afferma che il nome dell’emorroissa è Berenike.
Con il tempo il nome di Berenice o Vacilla, Balilla, Basilissa, fece posto alla Veronica (vera icona) personaggio legato alla vera immagine di Cristo.
Nel VII secolo l’apocrifo Morte di Pilato sugella per sempre il personaggio della Veronica.
La vicenda narra di Tiberio che viene a conoscenza di un medico di Gerusalemme di nome Gesù che può guarirlo dalla malattia, così manda un suo fiduciario, Volusiano, in Giudea per saperne di più.
Volusiano arriva tardi, Gesù è stato ucciso da Pilato. Si intreccia così una storia di sapore leggendario in cui Volusiano va alla ricerca dei testimoni di Gesù; alla fine trova Veronica che gli dona il panno su cui è impressa l’immagine miracolosa di Gesù.
In epoca crociata a Gerusalemme è venerata una chiesa dove si fa memoria dell’incontro tra Gesù e la Veronica lungo la via dolorosa (la VI stazione) oggi tenuta dalle piccole sorelle di Gesù.

Nel 1160 circa Pietro Mallius, canonico a san Pietro in Roma, nella sua opera sulla storia della basilica vaticana, ipotizzò che la leggenda della Veronica, fosse nata quando Gesù aveva sudato sangue nel Getsemani.
Sul velo della Veronica si era impressa la vera immagine del volto di Gesù che si era asciugato il viso lungo il tragitto verso il Calvario.
La grande venerazione della Veronica è dovuta anche al papa Innocenzo III che nel 1216 ha introdotto l’ufficio e le indulgenze annesse al culto.

Era così famosa la reliquia della Veronica che il papa Nicolò IV nel 1289 giunse a sostenere che fosse più importante della stessa tomba di Pietro. Ciò sembrerebbe dimostrato dal fatto che, a partire da quell’anno, i pellegrini che si recavano a Roma ne applicavano una piccola riproduzione sul cappello, cosicché essa finì per diventare l’emblema del pellegrinaggio nella città degli Apostoli, allo stesso modo della conchiglia per san Giacomo di Compostella e della palma per Gerusalemme.

Il telo della Veronica era considerato una delle quattro più importanti reliquie conservate in san Pietro a Roma, poi sparita con il sacco di Roma nel 1527.
Dante Alighieri per ben due volte ricorda la devozione del popolo circa la reliquia della Veronica che veniva mostrata nella basilica vaticana.
Nella Vita nova accenna ai tanti pellegrini che passavano da Firenze (vicino la casa di Beatrice) per andare a Roma a vedere l’insigne reliquia.
Nella Divina commedia mentre si trova nell’empireo, improvvisamente si accorge di stare vicino a san Bernardo. Per far comprendere la sua emozione paragona le sue sensazioni a quelle del pellegrino che, venuto da lontano raggiunge il suo obiettivo di trovarsi dinanzi alla Veronica in san Pietro. (Paradiso, XXXI, 103-108).

L’altro pilastro è dedicato a san Longino il soldato romano che sotto la croce fa la professione di fede in Gesù figlio di Dio.
Il nome Longino ha una certa assonanza con il termine greco lonchē (lancia). Sta di fatto che dal V secolo la devozione a Longino si diffonde dappertutto e come per gli altri personaggi la storia diventa tradizione, la tradizione leggenda e la leggenda favorisce il culto.
La storia di Longino si perde tra le pieghe della devozione e della tradizione. Convertito, istruito nella fede dagli apostoli Longino si dedica all’annuncio del vangelo a Cesarea di Cappadocia, conducendo una vita di santità che si concluse con il martirio per decapitazione.
Il culto di san Longino si è rapidamente diffuso, diversi racconti ne descrivono il martirio e la prova di fede che diede per testimoniare Cristo.

Fu Lorenzo Bernini tra il 1628 e il 1638 a realizzare per papa Urbano VIII la statua di oltre quattro metri del soldato santo a conferma del culto e della presenza della reliquia della lancia in Vaticano.
Un’iscrizione ai piedi della statua riassume la vicenda della reliquia della lancia di san Longino giunta a Roma nel 1492 a seguito di un accordo tra il sultano Bayazid II e papa Innocenzo VIII.
L’accordo prevedeva da parte del papa di trattenere nel territorio pontificio il fratello del sultano perché rappresentava una minaccia alle ambizioni di Bayazid per giungere al trono senza concorrenti.

La reliquia della lancia di san Longino ritenuta potente passò di mano in mano secondo varie leggende: da Costantino il grande che la usò per marcare i confini della nuova Roma, Costantinopoli, a Carlo Magno che ne fece l’emblema della forza e della sacralità dell’impero.
La reliquia di Longino passò alla custodia degli Asburgo che la custodirono a Vienna nel palazzo Hofburg. Hitler nei suoi vagheggiamenti volle impossessarsi della sacra reliquia, dopo l’annessione dell’Austria la fece trasportare a Norimberga, finita la guerra la reliquia tornò a Vienna.

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