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La vita non dipende da ciò che si possiede

XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
La vita non dipende da ciò che si possiede (Lc 12,13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Ai tempi di Gesù, ma anche fino a tempi recenti, in tutto il mondo, c’era una divisione trasversale che attraversava le società: c’era chi, come lo stolto del vangelo, poteva fare progetti per il futuro, salvo poi essere sconfessato dall’inesorabilità della morte e c’era chi (la maggior parte) non era sicuro di poter trovare mezzi a sufficienza per sopravvivere ogni giorno e forse proprio per questo tipo di persone aveva senso una preghiera come la “salve Regina” dove si definisce la vita terrena “una valle di lacrime”. Nel tempo dell’opulenza consumistica il confine è posto invece tra alcune società privilegiate (il cosiddetto occidente) e il resto del mondo. Chi vive male nel nostro occidente vive una vita molto più sicura rispetto a chi vive di stenti nel cosiddetto terzo o quarto mondo. Ma il senso dell’insegnamento di Gesù resta lo stesso, anzi, quello che poteva riguardare la singola persona nelle società antiche, oggi può essere applicato ad intere società che si credono al riparo dei capricci della sorte. Le bizzarrie di qualche despota che aggredisce un paese sovrano nel cuore dell’Europa opulenta minacciando l’uso assurdo delle armi nucleari, i cambiamenti climatici, il continuo pericolo di epidemie di portata mondiale e la conoscenza che si ha dei pericoli che possono arrivare dal cosmo, ci dovrebbero far prendere molto più sul serio il monito di Gesù per uscire dal mondo illusorio dell’onnipotenza (tipico di chi è immaturo) per giungere alla consapevolezza che la vita non è scontata, né dei singoli, né dell’umanità in quanto tale, e che forse la strada più giusta da percorrere è quella della solidarietà e della condivisione perché siamo tutti sulla stessa barca. Purtroppo anche il veloce ritorno nella retorica elettorale nostrana di temi come il “dare addosso all’immigrato e al clandestino” non toglie dalla mente l’amara sensazione che la stoltezza di quell’uomo della parabola sia la caratteristica principale del mondo dissennato in cui viviamo.

Don Michele Tartaglia

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