L'Ospite

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Hebel: il soffio della vanità

C’è un libro della Bibbia che è entrato di misura nella letteratura mondiale è il Qoelet. Con il suo motto/slogan: vanità della vanità tutto è vanità, il sapiente ci indirizza alla sana inquietudine, al sapere pesare bene il senso e il valore dell’esistere.
Questo sapiente del III secolo a.C. ci induce a pensare, riflettere sulle cose serie della vita avendo come pista la vanità, le frivolezze, il vuoto, in ebraico viene usata la parola Hevel con la sua sfumatura di significati, soffio, vapore…

Qoelet sembra ci dia delle piste per comprendere in profondità, uno sforzo del capire: la sapienza del capire. Cercare di comprendere anche le cose più difficili Seneca “non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo è perché non osiamo che sono difficili” (Seneca)
Qoelet ci mette inquietudine, ma ci aiuta anche a penetrare il senso del senso… quando tutto perde sapore, dobbiamo ridare senso sapére (sapore) alle cose e alla vita.
Qohelet è un credente. Mai mette in dubbio l’esistenza di Dio. Potremmo dire, piuttosto, che è uno scettico cioè uno che sa che è la conoscenza dell’uomo ad essere limitata, proprio perché è creatura e non Creatore.

La sua conclusione, dopo aver visto la difficoltà dell’uomo a trovare nell’umano la stabilità, è: “conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto” (Qo 12, 13).

Nel tempo della superficialità e delle cose deboli e liquide, penso che la lettura del libro del Qoelet possa ridarci mordente per ancorare la vita a certezze, alla roccia più che alle sabbie mobili di un tempo di crisi.
E’ il vangelo a riportaci con i piedi a terra, prendere in considerazione l’uso e il senso dei beni.
Nella tradizione biblica i beni sono una benedizione di Dio essi dicono che la tua vita è realizzata, l’uso dei beni è sempre per il bene.

Il Vangelo di Luca è particolarmente attento alla questione del possesso e della gestione dei beni mondani: Gesù non esprime disprezzo verso la ricchezza, ma mette in guardia i suoi discepoli e le folle di fronte al pericolo di un attaccamento morboso ai tesori terreni. L’uso autoreferenziale delle ricchezze può comportare l’esclusione dal regno di Dio (Lc 18,24), destinato invece ai poveri (6,20), che pongono in Dio la loro fiducia, anziché confidare in se stessi e nelle risorse di cui dispongono.
La parabola del ricco stolto vuole aprirci alla comprensione dell’arricchimento in Dio. La vita, dono di Dio, non dipende dai beni.

L’invito di Gesù è quello di arricchirsi nella relazione con Dio.
Il ricco ha escluso Dio dalla sua esistenza, e ha ingenuamente ritenuto che la sua vita potesse dipendere esclusivamente dai beni a sua disposizione. È nella relazione con il Signore che l’uomo ha la possibilità di uscire da se stesso, perché riconosce che tutto ciò che possiede gli è stato donato dall’alto perché possa condividerlo con il prossimo, soprattutto con i poveri, gli affamati e gli assetati.

Un mondo schiavo della ricchezza produce schiavitù, uomini e donne deboli e liquidi e sabbiosi che non sanno fondare o ancorare la vita alle certezze dell’esistenza: l’amore, l’amicizia, la solidarietà.
Speriamo che il soffio della vanità non diventi respiro.

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