L'intervista

Dal covid al vaiolo delle scimmie, “malattie infettive aumentano, ma ora è l’antibiotico resistenza a preoccuparci”

Dopo il Covid-19 i timori e l'attenzione degli scienziati sono rivolti ai rischi collegati all'aumento delle malattie infettive e in modo particolare, ci spiega il microbiologo Massimiliano Scutellà, alle conseguenze dell'abuso e dell'uso improprio dei farmaci antibiotici

Ci eravamo lasciati con il microbiologo Massimiliano Scutellà (foto sotto), responsabile del laboratorio di Biologia molecolare del Cardarelli, che diceva: “Sono convinto che questa infezione da Sars-Cov-2 andrà all’equilibrio – lo sta già facendo – ma quello di cui mi preoccupo ora è dell’evoluzione delle patologie infettive in generale. Guarderei piuttosto al fenomeno dell’antibiotico resistenza che sta andando verso una riacerbazione e un aumento”. Così il presidente dell’Aifa (agenzia italiana del farmaco) Giorgio Palù nelle scorse ore: “In futuro avremo altre sfide pandemiche che ci verranno dal mondo animale, dal pianeta, da nicchie ecologiche che stiamo violando”.

massimiliano scutellà

 

Dottor Scutellà, cosa comporta l’antibiotico resistenza?

“Mi riferisco alle limitazioni che già oggi abbiamo nel curare le infezioni, perchè anche questa era Covid ha portato ad un uso massiccio – anzi ad un abuso – dei farmaci antibiotici. Quindi le resistenze che ci aspettiamo – e che già constatiamo adesso – sono piuttosto importanti e destano preoccupazione. Già il contesto epidemiologico italiano era quello che era, ora assistiamo ad un cambiamento/evoluzione dell’ambiente per cui non si esclude che possano arrivare nuove infezioni o che possiamo parlare davvero di fenomeno di antibiotico resistenza”.

Effettivamente molti infettivologi su questa cosa stanno da tempo lanciando l’allarme. Non è però colpa del cittadino-paziente se gli vengono prescritti antibiotici per trattare clinicamente qualunque cosa…

“Questa è una indicazione importante che anche come responsabili del piano regionale di contrasto all’antibiotico resistenza stiamo affrontando, specie in termini di consapevolezza nell’uso razionale degli antibiotici. Fondamentale l’appropriatezza prescrittiva e la valutazione dei contesti clinici prima di dare un antibiotico, che si dà e si deve dare solo nel caso in cui ci sia una manifestazione clinica evidente di una infezione. Se continuiamo a dare antibiotici in maniera impropria allora noi daremo il via ancora di più all’evoluzione dei batteri. Perchè i batteri si adattano a contesti di pressione selettiva in cui il farmaco viene utilizzato.
Insomma, io mi preoccuperei del Covid, sì, ma in questo momento mi preoccuperei anche di altre cose tra cui questo fenomeno descritto”.

In questo senso avete a disposizione dei dati che corroborano tutto ciò? Possiamo dire che è monitorato l’andamento del fenomeno a partire da numeri e frequenza delle infezioni?

“Certamente. Noi abbiamo, come laboratorio di microbiologia, dei dati registrati su tutto l’andamento dell’antibiotico resistenza. Sono dati importanti di monitoraggio su cui andiamo a costruire una prevenzione che significa soprattutto fare educazione sul buon uso dei farmaci. Quindi sì, ci sono dati epidemiologici e stiamo cercando di renderli disponibili nei formati adeguati a una loro consultazione (e dunque per divulgarli). C’è un piano in atto che stiamo portando avanti, ed è un piano molto importante che prevede un approccio cosiddetto ‘one health’ che ci permette inoltre di valutare l’aspetto veterinario perchè molta della resistenza che noi andiamo a verificare parte anche dal fenomeni di utilizzo di antibiotici in maniera non appropriata in ambito veterinario”.

Che poi sono antibiotici che noi ingeriamo, mangiando la carne…

“Certo. Succede in maniera inapparente ma poi ci si ritroverà una flora batterica sensibilizzata senza aver mai sviluppato una infezione. Siamo consapevoli del rischio, c’è una puntuale sensibilità sull’argomento anche da parte della Regione che sta conducendo questo piano. La direzione sanitaria Asrem è attenta e sta predisponendo a questo tipo di studi. A mio parere è un’attività che andrebbe ancora di più incentivata e implementata e non solo attorno alle strutture sanitarie ma anche alle nostre Rsa (residenze sanitarie assistenziali, ndr) perchè la nostra è una popolazione prevalentemente anziana e quindi noi dobbiamo volgere l’attenzione anche e soprattutto a questa fascia di popolazione che peraltro, nel corso di tanti anni di vita, ha accumulato una serie di patologie cronico-degenerative su cui gli episodi infettivi vanno a impattare in maniera importante. Si punta insomma a cambiare l’attenzione, che non deve essere confinata al solo ambito ospedaliero ma che dovrebbe essere indirizzata anche alle strutture riabilitative.

Ripeto, l’evoluzione della patologia infettiva in questo momento desta molta attenzione. Il Covid ci ha stimolato, ci ha preso di sorpresa e ovviamente non ci aspettavamo un’evoluzione di questo tipo però se andiamo ad analizzare il passato vediamo che abbiamo avuto tante avvisaglie. La circostanza che poi queste non si sono concretizzate in pandemie importanti (come nel caso della influenza aviaria o della Mers) ci ha lasciato sorprendere un po’ dal Covid che è stata una cosa talmente esplosiva che non c’è stato neanche il tempo di ragionarci”.

In questo continuum di malattie infettive, che dagli animali fanno il salto di specie e arrivano nella popolazione, inserisce anche il vaiolo delle scimmie?

“Beh sì, anche quello va tenuto in debita considerazione anche se è una infezione che vedo abbastanza circoscritta, con una evoluzione forse non particolarmente preoccupante. Però è chiaro che è una situazione che dobbiamo comunque monitorare, non possiamo trattarla in maniera superficiale”.

Circa 3mila 400 casi nel mondo, meno di 100 ad oggi in Italia (dati Oms del 22 giugno). Possiamo essere sicuri che non ci siano casi in Molise?

“Sì, confermo. Va detto però che c’è anche una difficolta ad avere test diagnostici che ancora non sono stati resi disponibili per le strutture sanitarie. Dunque noi in Molise non li abbiamo ma stiamo valutando eventuale possibilità di acquisirli.
In questo senso, devo dire che la struttura laboratoristica possiede delle strumentazioni versatili che possono essere utilizzate eventualmente anche per la diagnostica di questa infezione”.

Dunque dottore, teoricamente non possiamo escludere che qualcuno in Molise abbia contratto questa infezione e possa non saperlo…

“Beh, la malattia decorre in maniera abbastanza asintomatica però dà una evidenza cutanea e quindi non credo affatto ci siano in questo momento nel nostro territorio dei casi clinici.
Però stiamo attenti a valutare l’evoluzione qualora le condizioni epidemiologiche cambino e dunque siamo pronti ad acquisire la strumentazione diagnostica qualora ciò si rendesse necessario. Il Covid ci ha preparato ad ogni evenienza epidemiologica. Quello che dobbiamo fare è fare monitoraggio sul territorio per qualsiasi infezione si possa manifestare nella popolazione. In questo senso io credo che dobbiamo potenziare il nostro reparto di Malattie Infettive perchè la patologia infettiva oggi è in aumento.  Non dobbiamo poi pensare solo alla patologia primaria (cioè all’infezione contratta) ma dobbiamo ragionare anche in ottica preventiva proprio perchè la nostra popolazione è invecchiata e la longevità ci porta ad avere sicuramente nel corso della vita più possibilità di contatto con le infezioni. Dobbiamo essere preparati, quindi il mio auspicio è che si potenzino le nostre infettivologie.

Riportarle ad essere Unità Complessa? D’accordissimo. Il ruolo dell’infettivologo oggi è fondamentale per tutto quello che ci siamo detti finora. Dunque in particolare per il ruolo di questo professionista medico come guida nell’uso appropriato dei farmaci oltre che per dare la giusta terapia per ogni evento infettivo che si presenti. Ho una grossa stima degli infettivologi, sono importanti in tutti i contesti”.

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