E’ tra i più giovani medici di famiglia in servizio nella nostra regione: ha appena 31 anni, è di Casacalenda e ha conseguito il diploma di formazione in Medicina Generale (un corso triennale post laurea organizzato dalle Regioni, a numero chiuso e a cui si accede mediante test di ingresso) solo un mese prima di essere assegnato a Castelmauro.
Il solito raccomandato, potrà pensare qualcuno: un posto fisso e prestigioso a due passi da casa, ma chi te lo dà di questi tempi? Sbagliato, in Molise tutto questo non solo non è irrealizzabile, ma è addirittura più semplice che in altre regioni perché i medici di base sono pochi e i posti da coprire tanti.
A Castelmauro, per esempio, dove a metà maggio la Asrem ha conferito l’incarico al giovane medico Gian Marco D’Imperio, il suo predecessore, Sergio Zita (che quel posto lo ha ricoperto per 42 anni!), ha dovuto lavorare come volontario dopo la pensione forzata per non lasciare senza assistenza circa 1200 pazienti.
Oggi a quella scrivania c’è un ragazzo che durante gli studi aveva risposto al bando dell’Asrem per le cosiddette zone carenti (tra cui Castelmauro) dove anche nei mesi a venire ci sarà un importante ricambio generazionale nella medicina territoriale col rischio, purtroppo sempre concreto, che per lo scarso numero di medici disponibili queste aree continueranno a restare tali.
Ne abbiamo parlato con il dottor D’Imperio, classe 1991 e figlio di medici. Gian Marco, partiamo da lei: si è fatto avanti mentre era ancora un corsista iscritto all’ultimo anno del corso di formazione specifica in Medicina Generale della Regione Molise di cui ha conseguito il titolo ad inizio aprile. Cosa ha pensato quando le hanno assegnato l’incarico?
“Questa assegnazione è stata per me una vera sorpresa poiché sono un medico di soli 30 anni e ho concluso il mio percorso di formazione post lauream in Medicina Generale poco più di un mese fa. Non mi sarei mai aspettato di ottenere un incarico così presto qui in Molise, dove fino a qualche anno fa i miei colleghi dovevano attendere anche per decenni prima di ottenere un posto, oppure emigrare. Oggi a causa dei numerosi pensionamenti, per noi giovani medici la situazione è totalmente cambiata. Infatti, nei prossimi mesi/anni si libereranno tantissime posizioni ed è possibile che alcune zone carenti saranno assegnate ai colleghi che stanno ancora frequentando il corso di Medicina Generale o addirittura resteranno scoperte, come già avviene drammaticamente al nord. Sono contento anche perché ho sempre desiderato svolgere la professione medica e poterlo fare nella nostra regione, al servizio della brava gente che ci vive, dove, a differenza di quanto avviene nelle grandi città, il rapporto medico/paziente è ancora importante. Ho scelto di studiare all’Università del Molise e formarmi qui, proprio nell’ottica di poter restare. Mi sento davvero fortunato e onorato di avere questa opportunità”.
Quanto conta in una regione anziana e spopolata come la nostra la medicina territoriale?
“I dati demografici ci dicono che la popolazione italiana sta invecchiando e questo è vero soprattutto al sud e in Molise, che sconta anche il fenomeno dell’emigrazione. L’aumento dell’età media della popolazione determina un cambiamento del quadro epidemiologico con un notevole aumento dell’incidenza delle patologie cronico-degenerative, per le quali l’approccio assistenziale migliore è senz’altro quello della medicina territoriale. L’assistenza sanitaria a mio avviso deve essere portata il più possibile al domicilio del paziente, o in strutture di prossimità, diffuse sul territorio e di facile accesso per il cittadino, anche e soprattutto nelle aree interne. Penso che i cittadini residenti nei piccoli comuni debbano avere gli stessi diritti e servizi di chi vive in grandi città. I presidi più importanti della medicina territoriale sono, oltre agli ambulatori di medicina generale, le postazioni di continuità assistenziale (guardia medica) fondamentali soprattutto nelle aree interne dove garantiscono vera assistenza sanitaria di prossimità e domiciliare nelle notti, nei giorni festivi e prefestivi; le postazioni di emergenza sanitaria territoriale (118), operative h24 nell’emergenza-urgenza, che salvano letteralmente la vita dei cittadini. Una medicina territoriale forte, organizzata e ben radicata garantisce, anche attraverso strumenti di diagnostica di primo livello e telemedicina, assistenza continuativa nel tempo, prevenzione, diagnosi precoci, riduzione di accessi impropri in ospedale, e sicuramente un miglioramento della qualità di vita; ciò che oggi viene definito come presa in carico del cittadino. Infatti, quasi tutti gli investimenti previsti dal PNRR in sanità, anche in Molise, vanno della direzione di potenziare l’assistenza territoriale (centrali operative territoriali, case e ospedali ci comunità, telemedicina, ecc)”.
Nei nostri piccoli comuni molto spesso il medico di famiglia è un punto di riferimento sanitario, a volte l’unico, davvero importante. Cosa significa questo per un dottore che ha appena concluso i suoi studi anche in termini di rapporti umani e non solo professionali?
“Come dicevo il mio sogno è sempre stato quello di poter svolgere la mia professione di medico sul territorio. La mia idea di medicina è sempre stata non soltanto la risoluzione tecnica di un problema del corpo, ma la creazione e la prosecuzione nel tempo di un rapporto umano con il paziente e la comunità. Oggi, soprattutto nelle realtà più grandi, si sta perdendo il vero significato del rapporto medico/paziente, infatti spesso il sanitario viene visto come un mero esecutore di procedure tecniche; si è perso inoltre il rispetto per la figura medica, come testimoniano violenza verbale e fisica a cui ci hanno abituato i notiziari ogni giorno, fatti che stanno allontanando molti giovani colleghi dalla professione. Al contrario io nei miei 4 anni di attività come medico di continuità assistenziale in diversi comuni molisani, ho potuto sperimentare in prima persona la bellezza dei rapporti umani che è possibile creare nelle comunità dei nostri paesi. Ho cercato di dare sempre il massimo ma ho ricevuto a livello umano molto di più. Nel nostro Molise vivono ancora tante brave persone, sono ancora forti il rispetto e la fiducia per la figura del medico, che rappresenta davvero il punto di riferimento non solo sanitario per tutta la comunità. Tutto ciò ha rinforzato in me il desiderio di potermi mettere al servizio del nostro territorio, anche in questa nuova avventura come medico di medicina generale”.
Dopo l’assegnazione in diversi comuni di medici di base la Asrem continuerà a reperire dottori sul territorio reclutando, come nel caso di Gian Marco D’Imperio, anche corsisti del diploma di formazione di Medicina Generale (è una possibilità data dal cosiddetto dl Calabria) da assegnare alle zone carenti del Molise. In questo quadro, dunque, anche il collegamento con l’Università del Molise gioca la sua parte, giusto?
“La presenza della Facoltà di medicina è un forte polo di attrazione per tanti giovani provenienti dalle regioni limitrofe. Qui ogni anno si sfornano decine di medici che vengono subito utilizzati nei servizi territoriali molisani come ad esempio guardia medica e sostituzioni di medicina generale, inoltre hanno permesso di reggere il sistema si sorveglianza e assistenza Covid, lavorando come Usca, Contact tracing presso i dipartimenti di prevenzione, vaccinazioni, tamponi, reparti ospedalieri e tanto altro. Del resto io stesso dopo il diploma al liceo linguistico di Casacalenda ho superato con successo il test di ingresso per Medicina e Chirurgia del dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “Vincenzo Tiberio” dell’Unimol abilitandomi per poi accedere al corso di cui parlavamo poco fa che mi ha permesso di essere qui oggi”.
Cosa consiglierebbe quindi oggi a un ragazzo come lei che non vuole lasciare questa terra?
Osservando il lavoro dei miei genitori ho sempre desiderato di poter svolgere la professione medica, soprattutto sul territorio. Forse a differenza di tanti miei coetanei, ho sempre amato il nostro Molise e ho sempre cercato di orientare le mie scelte di vita e formazione nell’ottica di poter rimanere e non essere costretto ad emigrare, chiedendomi sempre prima cosa io potessi offrire al territorio e poi cosa esso potesse offrire a me”.
(AD)
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