Guerra e giornalismo

Giornalista minacciato dai terroristi ora vive in Molise: “Ho dovuto lasciare tutto, in Afghanistan la libertà di espressione è morta”

La Carta di Roma a tutela dei migranti e dei richiedenti asilo e sul giornalismo di guerra al centro del convegno organizzato dall'Ordine dei giornalisti del Molise a Isernia. Temi di strettissima attualità alla luce del conflitto in Ucraina a cui ha fornito un importante contributo anche il generale Giuseppe Morabito

Il suo nome è Razik. Giornalista afghano, da due mesi vive in Molise, per la precisione in un piccolo centro della provincia di Isernia che ha aderito ai progetti di accoglienza integrata organizzati dal Ministero nell’ambito del ‘Sai’ (Sistema accoglienza e integrazione). Il suo drammatico racconto di un Paese in guerra da quarant’anni è stato uno dei momenti più emozionanti del convegno organizzato a Isernia dall’Ordine dei Giornalisti del Molise guidato dal presidente Vincenzo Cimino. Tra gli ospiti dell’incontro – incentrato sulle regole della deontologia giornalistica fissate nella Carta di Roma a tutela dei migranti e sul giornalismo di guerra – il generale Giuseppe Morabito, membro del direttorio Nato Foundation, il prefetto di Isernia Gabriella Faramondi, l’onorevole (ex M5S) Rosa Alba Testamento, il giornalista molisano nonchè inviato di guerra Roberto Colella e la dottoressa Luciana Petrocelli, referente del Sai di Castel Del Giudice. L’evento è stato moderato da Vincenzo Ciccone.

Corso Giornalisti Ciccone generale Morabito Cimino Labanca

Per sfuggire da morte certa Razik, che lavorava in un giornale di Kabul, è dovuto fuggire dall’Afghanistan: era nel mirino dei terroristi dell’Isis. Per proteggere la sua incolumità e quella della comunità che lo ospita non è possibile nemmeno fargli una foto durante il convegno. Ma le sue parole descrivono la drammatica realtà che sta vivendo l’Afghanistan: con il ritorno dei talebani al potere, in seguito al ritiro delle truppe statunitensi, è stato compiuto un netto passo indietro sul fronte dei diritti e delle libertà. “Il giornalismo in Afghanistan è una sorta gioco d’azzardo, la maggior parte dei giornalisti ha purtroppo perso in questo gioco”, racconta. “Negli ultimi 20 anni, secondo i media, più di 110 giornalisti e operatori sono stati uccisi in attacchi terroristici e dozzine di giornalisti sono stati detenuti e torturati da gruppi terroristici e dell’ex governo per il loro lavoro giornalistico. A causa della guerra e della mancanza di volontà politica, la vita del giornalista non è sicura. I talebani sono stati i principali autori dell’assassinio di giornalisti afghani”. 

Quindi, “chiunque voglia fare il giornalista in Afghanistan deve aspettare la morte o comunque la violenza perchè l’Afghanistan è sempre stato un campo di battaglia. E fare il giornalista in Afghanistan vuol dire stare in questo campo di battaglia e morire”.

Nel momento in cui Razik è diventato bersaglio dei terroristi, ha dovuto abbandonare l’Afghanistan: “Nel mio Paese ho lasciato tutto, ho lasciato la mia famiglia, il mio lavoro, i miei amici. I nostri 20 anni di sacrifici sono tornati a zero. La libertà di espressione e il giornalismo sono morti in Afghanistan”, conclude con amarezza. 

Fare il reporter in Afghanistan, così come su altri fronti di guerra, è come giocare alla roulette russa. I rischi per i giornalisti sono stati raccontati anche da Roberto Colella, che ha seguito i conflitti in Burundi, Ruanda, Kosovo, Palestina, Libano. Riflessioni quanto mai attuali in queste ultime settimane, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia avvenuta 72 giorni fa. E’ solo l’ultimo di una serie di conflitti che sono in corso nel mondo: ben 59.

Cimino Faramondi Ciccone

Il generale Giuseppe Morabito, che ha partecipato a diverse missioni all’estero (in Albania e Afghanistan ad esempio) oltre ad essere stato a capo delle operazioni in Bosnia, mette in guardia dai pericoli che i giornalisti corrono da un altro punto di vista: la corretta informazione nei confronti della pubblica opinione. “I giornalisti – le sue parole – devono riportare le notizie vere” ed “evitare la spettacolarizzazione delle notizie di guerra” oppure di evitare riferimenti espliciti ai bambini perchè “in tutte le guerre muoiono tutti: militari, civili, bambini”.

 

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