Vittime silenziose

Bullizzato in classe tra indifferenza e omertà di scuola e famiglie: “Non dovete amarmi per forza ma non umiliatemi”

Un ragazzo di 13 anni, affetto da un deficit cognitivo, è stato bersaglio per quasi due anni di angherie e umiliazioni da parte dei compagni. Deriso anche sui gruppi whatasapp e isolato da tutti non ha trovato sostegno negli insegnanti. La famiglia si è battuta inutilmente e alla fine è stata costretta a cambiare Istituto per permettergli di tornare tra i banchi dove aveva il rifiuto di tornare

“Sei soltanto un depresso”, “Sei un bugiardo”, “Speriamo che il cornetto ti vada di traverso”, “Sei un pagliaccio”. Sono alcuni dei messaggi che per lungo tempo hanno perseguitato un bambino di una scuola media della provincia di Campobasso. Accadeva sul gruppo Whatsapp di classe ma non solo. Le risatine in classe, i sogghigni di derisione, un tormento per un ragazzo che si affaccia all’adolescenza e che avrebbe diritto invece alla spensieratezza del suo tempo.

Invece messaggi continui, con strascichi che a questo ragazzino, affetto fra l’altro da un deficit cognitivo, hanno provocato il rifiuto della scuola. E in tutta la brutta vicenda – che è lui stesso a raccontare dopo che la famiglia scopre le umiliazioni spulciando attentamente nel suo telefono – la scuola sarebbe rimasta a guardare. Alcun intervento di sostegno, di aiuto, di ribellione rispetto alla condotta di coetanei che in più messaggi quando Luca (lo chiameremo così) chiede che la smettano di bullizzarlo loro replicano “Ma dove lo vedi il bullismo?”.

Già… perché forse prima in famiglia e poi a scuola (istituzione educativa che dovrebbe intervenire a sostegno anche delle lacune educative familiari) a questi ragazzini nessuno ha insegnato che il bullismo (abuso perpetrato nel tempo sui più fragili) è di quattro tipi: verbale, fisico, sociale, cyberbullismo. E se non c’è stata alcuna aggressione fisica, Luca per il resto ha subìto ogni tipo di prepotenza e prevaricazione. Al punto da dover cambiare scuola.

La famiglia del bambino è sotto choc: “Quando abbiamo letto quei messaggi, siamo rimasti sconvolti. Increduli. E chiedere spiegazioni alla scuola è stato improficuo. Inutile è stato chiedere anche un’adeguata insegnante di sostegno, al punto che in un’occasione siamo stati costretti ad inviare una nota formale al Ministero affinché intervenisse”.

Luca parla con timidezza e pudore di questa chat di gruppo creata per motivi di studio ma nella quale invece era frequentemente oggetto di scherno. Offese, insulti, insinuazioni pesanti per deriderlo anche con l’utilizzo di pseudonimi che però, Luca, ha capito fossero associati a lui “perché – dice – io non sono stupido”. Luca è un ragazzo con Dsa, ma osserva tutto con attenzione e comprende perfettamente ogni cosa che gli accade attorno. Forse più di qualunque altro.

“Quando iniziammo a vedere in nostro figlio le strane reazioni che aveva a casa dopo essere stato a scuola o aver seguito una lezione al pc a causa del Covid, che erano reazioni di rifiuto, solitudine, paura, ci siamo allarmati e abbiamo iniziato ad approfondire. Per prima cosa abbiamo analizzato il suo cellulare leggendo centinaia di messaggi della chat di gruppo – racconta la famiglia mentre mostra gli screenshot fotocopiati – e siamo rimasti senza parole. Ci siamo recati subito a scuola per chiedere spiegazioni, ma nessuno si è preoccupato di risponderci. Anzi, siamo stati invitati a tacere quando, fra l’altro, abbiamo chiesto delucidazioni anche sull’andamento didattico rispetto al quale, noi che seguiamo tutti i giorni il nostro ragazzo, avevamo visto un calo notando la ritrosia di Luca nel voler affrontare i compiti, lui che era sempre stato attento e rigoroso nello svolgimento delle lezioni”. 

Conseguenze riconducibili a quello che Luca stava attraversando a scuola: senso di sfiducia nelle relazioni sociali, scarsa autostima, paura dei compagni, chiusura in se stesso, timore di subire nuove persecuzioni. Danni rispetto ai quali Luca ha reagito chiedendo ai genitori di non tornare a scuola. Aspetti fra l’altro riconosciuti anche dalla neuropsichiatra che lo segue, dal pediatra e non solo.

“Siamo stati costretti a cambiare scuola, il prossimo anno Luca si sposterà in un altro Istituto dove ci auguriamo sia accolto e guidato nel modo più opportuno ” dice la mamma. E Luca, mentre la mamma parla, è sollevato da questa soluzione: “Io non ho chiesto ai miei compagni di volermi bene per forza – dice alzando lo sguardo – ho chiesto soltanto di non umiliarmi. Io non sono un cretino, volevo soltanto essere accettato”. Già, non ha chiesto di essere amato per forza per quanto lui – come gli altri – a quell’amore e a quel rispetto incondizionato avesse tutto il diritto.

 

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