Il declino del ssn

La grande fuga dei medici dagli ospedali pubblici. La percentuale maggiore di licenziamenti nel 2021 è in Molise

21mila uscite - tra dimissioni volontarie, pensionamenti e altro - negli ultimi 3 anni ma la capacità formativa annuale è di 6.000 specialisti. Di questi però solo il 65% accetterebbe un contratto di lavoro con il Ssn. Ecco perchè anche il tempo indeterminato in ospedale non è più attrattivo, e il Molise ha i dati sui licenziamenti peggiori di tutt'Italia nel 2021

È sempre più conclamata dai dati la grande fuga dei medici dal Servizio Sanitario Nazionale e nel 2021 la regione che ha dovuto fare i conti con la percentuale maggiore di licenziamenti (rispetto al totale dei medici dipendenti) è stata proprio il Molise.

Un primato che ai molisani non stupirà più di tanto perchè la difficoltà di reperire professionisti medici (tramite avvisi pubblici o concorsi) è ormai arcinota. Pochi giorni fa l’Asrem – in occasione dell’annuncio della imminente presa di servizio al San Timoteo di un cardiologo emodinamista – ha ribadito quante (e quali) sono state le assunzioni a partire dal 1 gennaio 2022 nel servizio sanitario molisano ma i dati sciorinati nell’ambito della convention della Fnomceo (Federazione nazionale ordine dei medici chirurghi e odontoiatri) lo scorso 21 aprile non lasciano scampo. E non è di consolazione pensare che il problema sia trasversale ai vari territori italiani (chi più chi meno), anzi: si tratta di una tendenza che va avanti da anni e che mette seriamente a rischio il sistema universalistico per come lo conosciamo.

I numeri. Dal 2019 al 2021 in Italia hanno abbandonato gli ospedali pubblici 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e altresì 12.645 per pensionamenti, decessi e sopraggiunta invalidità al 100%. Basterebbero queste cifre per iniziare a pensare a quello che si profila come un disastro. A spaventare è soprattutto il significativo aumento delle dimissioni. Le cause di quella che sembra (forse è) una decisione drastica e apparentemente sconsiderata vanno dal burnout (sempre più frequente questa sindrome da stress lavorativo cronico e persistente per i professionisti della sanità) alla ricerca di un posto che preservi il proprio benessere, passando per il desiderio di poter gestire le proprie giornate lavorative senza dover sacrificare la famiglia o altro.

In tutto ciò la pandemia, con i suoi massacranti carichi di lavoro su coloro che forse per troppo poco tempo sono stati considerati eroi, non ha fatto che peggiorare le cose. In realtà negli anni (come 2020 e 2021) di piena pandemia i medici, con senso di responsabilità, non hanno abbandonato la nave. Ma hanno accumulato, possiamo ben dirlo, un carico di stress – organizzativo ed emotivo – notevole. Pensate solo alle liste d’attesa che sono andate via via allungandosi, e che ancora ora devono essere recuperate. Aggiungeteci il carico della campagna vaccinale (per molti di loro) oltre all’enorme carico emotivo dovuto a contagi e morti per Covid (anche tra gli stessi operatori sanitari). Un mix, potremmo sintetizzare, esplosivo.

In realtà la dimissione dagli ospedali pubblici, con l’abbandono del tanto ambito posto a tempo indeterminato, è un fenomeno non nuovo e che non risale agli ultimi due anni e al post-emergenza pandemica. I dati del Conto Annuale del Tesoro evidenziano come già dal 2017 questa tendenza sia in progressivo aumento.

Veniamo però ai dati recenti. 21mila professionisti sanitari via dal Ssn in 3 anni (come rileva lo studio realizzato da Anaao Assomedi, su dati Cat e Onaosi). Se guardiamo solo ai licenziamenti, o meglio alle uscite per dimissioni volontarie e ai contratti a tempo determinato terminati e non rinnovati, le cifre sono 3.123 nel ’19, 2.075 nel ’20 e 2.886 nel ’21. Di seguito il grafico, relativo a 2020 e 2021, che mette a confronto percentualmente le varie regioni d’Italia. Se nel 2020 la ‘maglia nera’ è andata alla Valle d’Aosta, nel 2021 il valore più alto è proprio quello del Molise, con una percentuale vicina all’8%. Nell’anno passato la media nazionale dei medici dipendenti che hanno deciso di licenziarsi è stata del 2.9%, dunque la sproporzione con la nostra regione è altissima. Nell’anno precedente inoltre la percentuale molisana superava di poco il 4% pertanto in un anno è quasi raddoppiata.

tabella licenziamenti medici ssn quotidianosanità

 

Cosa cercano i medici che vanno via dagli ospedali pubblici è presto detto: orari più flessibili, autonomia professionale, minore burocrazia, ma anche un sistema che valorizzi le loro competenze, che non significa quasi mai desiderio di una remunerazione maggiore. Certo, l’estero da quest’ultimo punto di vista offre maggiori e migliori prospettive ma non è tanto questo aspetto a fungere da ago della bilancia prima di optare per una scelta sì radicale.
Uno dei beni più preziosi (per i medici ma per tanti altri lavori) è il tempo libero, il tempo per sé ed eventualmente per la propria famiglia. Invece a causa della congiuntura (negativa) venutasi a creare succede che i turni di servizio per i singoli operatori siano in netto incremento numerico negli ospedali italiani, con fine da settimana quasi tutti occupati da guardie e reperibilità. Nei nostri ospedali molisani (ma non solo) la difficoltà nel godere delle ferie maturate, i turni massacranti e gli straordinari non retribuiti sono praticamente la regola.

E non è tutto. Non solo il lavoro è diventato più gravoso ma gli operatori sanitari sono costretti quasi quotidianamente ad affrontare rischi crescenti legati ad aggressioni, sia verbali che fisiche, nonché (altro aspetto preminente) denunce in sede legale. Per le donne in sanità, poi, le cose si fanno ancora più difficili e la conciliazione lavoro-famiglia diventa davvero un’utopia.

Uno svilimento su tutti i fronti, insomma, che sta comportando un vero e proprio dramma. Come detto, l’esperienza di aver gestito il carico abnorme legato alle ondate pandemiche, cui non ha fatto davvero seguito un concreto investimento sulla sanità pubblica, ha definitivamente compromesso le cose. Il Pnrr non basterà probabilmente: il cambiamento non sembra nell’aria e l’illusione a ciò legata è già bella che svanita.

La conseguenza, che pagheremo tutti, sarà il declino della sanità universalmente garantita a tutti. La tenuta del Ssn corre seri pericoli dal momento che “di fronte ad uscite di circa 7.000 medici specialisti ogni anno, l’attuale capacità formativa è intorno a 6.000 neo specialisti, di cui in base a nostri precedenti studi solo il 65% accetterebbe un contratto di lavoro con il Ssn“, così l’Anaao.
Che poi prova a indicare delle soluzioni: “Per evitare il disastro è necessario procedere alla rapida stabilizzazione del precariato e serve un cambiamento radicale nella formazione post-laurea. Occorre, in pratica, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l’uno all’altro, animati da conflittualità latenti o manifeste e contenziosi infiniti, consentendo ai giovani medici specializzandi di raggiungere il massimo della tutela previdenziale e al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche per far fronte ad una importante carenza che si prolungherà ulteriormente per almeno tre anni”.

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