La tragedia a bojano

Morì schiacciato da una lastra di marmo, condannato il titolare della fabbrica

Il 43enne Michele Calabrese rimase vittima di un gravissimo incidente sul lavoro. Per quella sciagura la procura di Campobasso indagò quattro persone. Questa mattina la condanna col rito abbreviato a un anno e sei mesi di reclusione per il titolare della ditta. Rinviati a giudizio altri due presunti responsabili. Assolta una quarta persona

Un anno e sei mesi al datore di lavoro per la tragica morte dell’operaio Michele Calabrese avvenuta alla Edilforniture di Bojano dove era impiegato da 15 anni a tempo indeterminato. E’ la sentenza emessa oggi all’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta presso il tribunale di Campobasso.

Il pubblico ministero Francesco Santosuosso aveva chiesto il rinvio a giudizio, l’imputato invece ha patteggiato con la sospensione condizionale.

Il titolare della Edilforniture oltre ad essere il legale rappresentate dell’impresa, aveva anche diretto e svolto in prima persona l’attività di scarico di lastre di marmo finita in tragedia, “è stato condannato a pagare anche le spese di costituzione sostenute dalla madre e dai fratelli del lavoratore, che si sono appunto costituiti parte civile” spiega in una nota lo studio3A-Valore spa a cui si è affidata la famiglia del povero operaio.

Non hanno invece chiesto riti alternativi gli altri due imputati: R. L., 57 anni, pure lui bojanese, altro dipendente di Edilforniture collega di Calabrese, e F. D. B., 55 anni, di Apricena, conducente dell’autocarro dov’era trasportato il materiale che  sono stati rinviati a giudizio e per loro il processo proseguirà con la prima udienza dibattimentale il 7 giugno prossimo.

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 Non luogo a procedere, infine, per L. G., 53 anni, di Apricena, legale rappresentante della società di trasporti Aladino proprietaria del mezzo, che non era presente alle operazioni “incriminate” e che il giudice non ha ritenuto responsabile.

L’inchiesta ha consentito di ricostruire cosa è avvenuto quel giorno. Alle 8 nel piazzale esterno di Edilforniture, attiguo al capannone lavorativo, si era disposto un autocarro Scania per lo scarico di blocchi di marmo costituiti da lastre, collocati sulla motrice e sul rimorchio, su entrambi i lati di appositi cavalletti, le “caprette”. Le procedure di scarico del materiale erano dirette da Bernardo in persona, che stava movimentando anche una gru elettrica con cui aveva prelevato dal camion i blocchi di lastre imbracate con due funi d’acciaio collegate al gancio della gru, per depositarli sull’area del piazzale. Il camionista, sul pianale dell’autocarro, stava preparando le lastre da prelevare mentre la vittima e il suo collega, da terra, controllavano l’imbracatura e davano il segnale al loro titolare, e gruista, per effettuare la movimentazione. A un certo punto però, durante il sollevamento e indietreggiamento del carico ad opera del legale rappresentante di Edilforniture, il “pastello” sollevato (cioè il pacco di lastre movimentate assieme perché provenienti dal taglio di uno stesso blocco) deve aver avuto un’oscillazione imprevista andando a urtare il blocco di lastre rimaste sul cassone ma che non erano state colpevolmente legate, provocandone il ribaltamento. Sono state infatti le lastre prive di legatura ad aver investito e schiacciato il lavoratore che, altra fatale leggerezza, era posizionato in prossimità della sponda sinistra del camion, proprio al di sotto di dove si trovava il pesante materiale caduto. Tra le varie mancanze, quindi, il datore di lavoro non si sarebbe accertato che la vittima si trovasse in posizione di sicurezza rispetto al rischio di caduta delle lastre ancora sul mezzo, e slegate, e avrebbe pertanto consentito al suo dipendente di eseguire l’imbraco in una zona a rischio infortunistico, cioè sotto le lastre prive di legature.

incidente bojano

Di qui la richiesta di processo da parte del Sostituto Procuratore per il reato di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, per il titolare dell’azienda ma anche per le altre persone coinvolte in quell’attività, le quali, si legge nell’atto del Pm, “collaborando ad operazioni di scarico di blocchi di lastre di marmo da un rimorchio, per negligenza, imprudenza e imperizia e, comunque, in violazione della normativa antinfortunistica di settore, provocavano la caduta dall’alto dei suddetti materiali e l’infortunio mortale di Michele Calabrese”. Più specificamente, si imputa loro, a vario titolo, di non aver adempiuto a una serie di obblighi a cui erano tenuti, relativi alla “scelta delle attrezzature più idonee per l’esecuzione dei lavori di sollevamento e scarico dei materiali”; alla “predisposizione delle misure più adeguate a minimizzare i rischi per i lavoratori mediante l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute di materiali dall’alto”; alla “adozione delle necessarie cautele consistenti nella delimitazione del posto di carico e di manovra degli argani a terra con apposita barriera per impedire la permanenza ed il transito sotto i carichi onde prevenire ed evitare possibili lesioni alla manodopera”.

Un quadro accusatorio avallato in toto dal giudice, se si esclude la posizione del titolare dell’impresa di autotrasporti, e “a fronte del quale – scrive Studio3A – farà di tutto per ottenere per i propri assistiti quell’equo risarcimento che finora l’azienda del lavoratore ha sempre denegato, arrivando contro ogni evidenza anche a negare il proprio coinvolgimento nel tragico infortunio: un atteggiamento che dovrà necessariamente cambiare alla luce del patteggiamento del proprio legale rappresentare con la relativa, piena ammissione di responsabilità”.

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