L'intervista

Furti, droga e riciclaggio, così la Quarta Mafia aggredisce il Molise: Laronga: “Siete ad alto rischio”

Il magistrato Antonio Laronga, autore del libro che svela nomi e dettagli sulle organizzazioni criminali di Foggia, Gargano, Cerignola e San Severo, avverte i molisani: “Dovete alzare il livello di attenzione”

Il 21 marzo è la giornata della memoria delle vittime delle mafie. Superata la retorica del Molise come isola felice, da qualche anno anche la nostra regione fa i conti col fenomeno della criminalità organizzata. La notizia del primo collaboratore di giustizia molisano è di qualche mese fa, le operazioni di polizia contro i clan che operano sul territorio si susseguono e qualche settimana fa a Termoli si è tenuto un incontro istituzionale proprio per approntare una sorta di piano contro le infiltrazioni criminali nell’economia legale.

Per questo va evidenziata l’iniziativa dell’associazione termolese ‘Il Mosaico’ presieduta da Enrico Miele, che in occasione della ricorrenza ha deciso di acquistare e distribuire 12 copie del libro ‘Quarta Mafia’, scritto dal procuratore aggiunto di Foggia, Antonio Laronga. Le copie verranno sistemate nelle casette dei libri sparse a Termoli e saranno quindi a disposizione di chiunque vorrà leggere il testo. Perché conoscere la mafia più sottovalutata è un dovere civico, specie se si vive a pochi chilometri di distanza da dove prosperano i clan. Quarta Mafia è infatti il libro che apre uno squarcio sulla criminalità organizzata in provincia di Foggia. A parlarne è l’autore, originario di Torremaggiore, da quasi 30 anni procuratore che si occupa di reati di mafia.

Laronga magistrato libro quarta mafia

Dottor Laronga, come nasce l’idea di un libro sulla mafia della provincia di Foggia?

“C’era l’esigenza di far conoscere queste mafie che non sono mai state raccontate, se non con qualche articolo di stampa dopo alcuni omicidi. Da tempo vado a parlare nelle scuole, dalle associazioni e nel 2018, proprio il 21 marzo, l’associazione ‘Libera’ di don Ciotti decise di organizzare la manifestazione nazionale antimafia proprio a Foggia. Quell’evento fu preceduto da un percorso organizzato dall’Università che mi chiamò per parlare a un convegno che fu molto partecipato. Alla manifestazione parteciparono circa 20mila persone”.

Perché Libera decise di organizzare quell’evento proprio a Foggia?

“Perché il 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis c’era stato un episodio che aveva riacceso l’interesse sulla mafia nel foggiano, vale a dire l’uccisione di quattro persone, di cui due non c’entravano assolutamente nulla. L’obiettivo di quell’agguato era Mario Luciano Romito, che era uscito dal carcere da una settimana e che venne ucciso per una vendetta dalla famiglia rivale dei Li Bergolis”.

Quindi l’interesse per la criminalità organizzata nel Foggiano era evidente.

“Quel convegno piacque tantissimo, l’aula magna era piena di giovani, società civile. Così cominciarono a chiedermi di scrivere qualcosa e devo dire che il lockdown è stata un’occasione, perché ho avuto più tempo per scriverlo. All’inizio le case editrici mi dicevano che non avrebbe avuto successo perché l’interesse era circoscritto al territorio. Invece a distanza di un anno il riscontro è stato ottimo, il libro sta circolando molto. Sono stato intervistato da testate nazionali e internazionali come il Wall Street Journal, Al Jazeera, il Times di Londra. C’è stato grande interessamento anche da parte di università e scuole, ho fatto un incontro di recente a Guglionesi”.

A un osservatore poco attento le mafie nel foggiano sembrano un groviglio di nomi, clan, territori. Si fa spesso molta confusione. Ci aiuta a fare chiarezza su come è strutturata la criminalità organizzata in provincia di Foggia?

“Il libro è strutturato in tre parti. Nella prima parte parlo della Società Foggiana che è radicata nella città di Foggia. La seconda è sulla mafia garganica che è dell’area del Gargano, la terza su quella cerignolana, del Basso Tavoliere, al confine con la Bat. Queste tre macro organizzazioni sono composte da più clan”.

Partiamo dalla Società Foggiana.

“A Foggia abbiamo almeno tre clan: i Sinesi-Francavilla, i Moretti-Lanza-Pellegrino e i Trisciuoglio-Tolonese-Prencipe. Vengono dette batterie, così come nella ‘ndrangheta sono definite ‘ndrine. Secondo le ultime indagini queste tre batterie insieme fanno un’unica organizzazione, la Società Foggiana. Ognuna agisce in modo autonomo ma al vertice c’è un nucleo direttivo che sovrintende gli affari più importanti, quelli di maggiore profitto. Il core business della Società Foggiana sono le estorsioni. La prima sentenza definitiva che ha riconosciuto la Società Foggiana come mafia è del 1999”.

Quindi abbiamo la mafia garganica, detta anche dei montanari.

“Esattamente. Questa mafia è stata riconosciuta come tale da sentenza definitiva un decennio più tardi. Il clan dei montanari nasce a Monte Sant’Angelo, nota località del culto micaelico che sorge su un promontorio. All’inizio si sviluppa come faida tra famiglie di pastori per il controllo agro-pastorale che ha portato oltre 60 tra ferimenti e omicidi in 20 anni. Con la nuova generazione si può parlare di mafia vera e propria con specializzazione nel narcotraffico grazie ai collegamenti coi clan albanesi. Dai Balcani arrivano la marijuana e le armi, specie i kalashnikov, e in parte l’eroina prodotta in Medio Oriente. Attualmente sul Gargano c’è un bipolarismo criminale che vede i Li Bergolis come clan dominante e a loro sono contrapposti i Romito, i quali però non sono mai stati riconosciuti come clan mafioso da sentenza definitiva. Era stato invece riconosciuto come mafioso il clan dei Ciavarella di San Nicandro Garganico che però è stato eliminato dei Li Bergolis. I Romito sono stati quasi interamente sterminati nella faida seguita all’operazione della masseria degli Orti Frenti, nel 2003, quando i Romito convocarono i Li Bergolis a un summit ma prima si erano accordati con le forze dell’ordine. Per questo, uscito di prigione Mario Luciano Romito, i Li Bergolis gliel’hanno fatta pagare con l’agguato di San Marco in Lamis nel 2017”.

Abbiamo poi la mafia cerignolana.

“Negli anni due clan sono stati riconosciuti come mafiosi da sentenze passate in giudicato coi processi storici Cartagine e Halloween nel 2000 e decine di ergastoli. Sono il clan Piarulli-Ferraro-Mastrangelo e il clan Taddone della famiglia Di Tommaso. Sono stati accertati legami con Cosa Nostra e ‘ndrangheta e infiltrazioni alla periferia di Milano. La situazione oggi è molto particolare, perché c’è una sorta di equilibrio, una pax mafiosa da oltre 10 anni e difatti non avvengono omicidi. I cerignolani sono specialisti in ricettazione. Inoltre compiono assalti armati ai furgoni blindati portavalori e ai caveau, in tutta Italia. Sono addestrati militarmente, hanno armi da guerra, in pochi minuti bloccano l’autostrada e mettono a segno colpi milionari”.

Non abbiamo parlato di San Severo.

“La mafia sanseverese è ancora sotto processo. Va specificato che non c’è una sentenza definitiva che riconosce i clan come mafiosi. Inizialmente le batterie di San Severo erano considerate parte della Società Foggiana, la novità è che invece sono autonome. Possiamo dire che esistono due clan: i Nardino e i Testa-Lapiccirella. In primo grado il processo seguito all’operazione Ares ha portato a pesanti condanne”.

In che rapporti sono i clan tra loro?

“A Foggia le tre batterie si fanno la guerra tra loro salvo poi cercare delle intese. Quando saltano gli accordi si sparano, anche se l’organizzazione è unitaria. Sul Gargano e a San Severo sono in conflitto, a Cerignola come dicevo c’è una pax mafiosa. Tra loro però cercano sinergie e alleanze. Possiamo dire che le alleanze siano dettate da favori per scopi criminali, come mettere insieme i capitali per ingenti acquisti di droga o per favorire delle latitanze. Esistono poi legami fra clan foggiani ed esponenti delle mafie storiche”.

Un quadro molto variegato.

“È un po’ quello che si registra per la camorra. È sbagliato parlare di camorra, sarebbe più corretto parlare di camorre. Ci sono tanti clan autonomi. Così come i Casalesi non hanno nulla a che vedere coi clan di Forcella o di Secondigliano, così è in provincia di Foggia. Diversa è invece Cosa Nostra che è una organizzazione unitaria e verticistica”.

Laronga magistrato libro quarta mafia

Cos’è cambiato in questi anni?

“Le organizzazioni criminali, da oltre 15 anni, sono diventate multi business. Non fanno più soltanto narcotraffico, estorsioni o usura. Le gang ci sono ovunque, ma la criminalità organizzata ha ormai abbinato l’attività legale con la quale ricicla i proventi delle attività illegali. Le mafie hanno avuto l’intuizione e le capacità come tutte le mafie moderne di entrare nel mondo degli affari, di riciclare e reinvestire nel settore commerciale, industriale, in lidi balneari, alberghi, B&B. In questo modo riescono a moltiplicare i profitti e per poter far questo hanno bisogno di allacciare relazioni col mondo imprenditoriale e coi professionisti, come avvocati, commercialisti, ingegneri, esperti in transazioni finanziarie e mondo della pubblica amministrazione”.

Col risultato di inquinare anche l’economia sana.

“Questo trasforma i criminali in soggetti molto pericolosi e per un imprenditore onesto è molto più difficile fare impresa. Per un ristoratore di Termoli, ad esempio, è molto difficile fare concorrenza a un ristoratore contiguo alla criminalità organizzata che i denari ce li ha e può praticare prezzi bassi o magari abbinare al servizio una serata danzante. Tutto questo è accentuato dalla crisi di liquidità e dal Covid. Molte attività hanno difficoltà a tirare avanti e restare aperti e per questo molti imprenditori di fronte a una proposta allettante di acquisto ci pensano. È un discorso che riguarda il Molise ma un po’ tutta la fascia adriatica, dalle Marche all’Abruzzo. Di certo il Molise può diventare terra di conquista”.

Per quanto a sua conoscenza, c’è la presenza di ognuna di queste mafie in Molise?

“Ci sono diverse influenze. Quella più tangibile per le persone è l‘azione delle squadre cerignolane di cui parlavo prima che rubano le auto. Tutti i veicoli rubati sull’intera fascia adriatica, a Termoli, Vasto, Ortona, Pescara, ma anche a Campobasso vengono presi e portati a Cerignola. Vengono dissezionati, smontati e rivenduti sul web e sul dark web dove c’è un fiorente mercati di pezzi rubati. È un’enorme economia illegale. Un secondo dato è quello degli stupefacenti. Il centro dello smercio di droga è San Severo, è il crocevia degli stupefacenti, sia droghe pesanti come eroina e cocaina sia leggere quali hashish e marijuana, oltre a nuove droghe. Decine di fornitori, grossisti molisani vanno a rifornirsi a San Severo, come testimoniano le continue operazioni delle forze dell’ordine. Il fenomeno degli assalti ai blindati invece non mi pare abbia toccato il Molise, ma è una variabile da considerare. C’è sicuramente qualcosa inerente il caporalato mentre non ho notizie di fenomeni estorsivi riconducibili alla mafia ma non lo escludo”.

Il procuratore capo di Campobasso Nicola D’Angelo ha parlato del Basso Molise come territorio fortemente omertoso.

“È un allarme importante, una delle caratteristiche del metodo mafioso è l’omertà, significa che il territorio inizia a patire l’intimidazione. È un segnale d’allarme che la Dda di Campobasso non deve sottovalutare. Quello che deve spaventare però è il comportamento dei non mafiosi che hanno ingenti capitali che non possono essere portati in banca. Sono denari che vengono riciclati in attività commerciali. Per questo hanno necessità di collaborare con dei professionisti che non fanno parte dell’associazione mafiosa ma possono dare un contributo decisivo per l’infiltrazione mafiosa. Se apro un lido a Termoli o a Montenero di Bisaccia ho bisogno di gente del posto che mi sappia indicare a chi rivolgermi, da chi comprare, con quale amministratore locale dialogare. I non mafiosi sono coloro verso cui bisogna attivare un percorso perché anche inconsapevolmente si rischia di fornire un assist decisivo alle infiltrazioni”.

Questo è già emerso?

“Questo è preoccupante. Da una serie di attività sono emersi ad esempio segnali di ristoranti a Campomarino Lido o nel Pescarese, dove uomini contigui, prestanomi delle batterie foggiane e sanseveresi, hanno investito lungo la fascia costiera molisana e abruzzese”.

Come può difendersi il cittadino comune? Ci sono comportamenti spia da tenere a mente?

“È fondamentale che la pubblica amministrazione locale faccia il proprio dovere, perché ha dei poteri istruttori che può esercitare. Nel 2021 il Comune di Foggia è stato sciolto per mafia. Lì sono emerse decine di irregolarità di funzionari, atteggiamenti, favoritismi, omessa attivazione dei poteri che la legge riconosce agli enti locali. Tutti comportamenti che hanno favorito l’infiltrazione dell’organizzazione mafiosa e condizionato l’ente locale. Stessa cosa è successa a Manfredonia e a Cerignola. Quando parlo di pubblica amministrazione parlo anche delle aziende sanitarie, ad esempio. Ecco la pubblica amministrazione deve creare una linea Maginot fra essa e questi soggetti”.

Non solo la pubblica amministrazione chiaramente.

“Bisogna essere vigili. Gli imprenditori devono immediatamente denunciare delle pressioni, ad esempio dirette ad acquistare determinate merci. Quello è un campanello d’allarme. Devono essere attenti quando si creano sinergie commerciali, con chi si creano delle società. Occorre la diligenza della persona attenta e precisa e non sottovalutare questi fenomeni”.

A Termoli è stato organizzato di recente un confronto fra istituzioni e associazioni di categoria per contrastare alle infiltrazioni anche alla luce delle somme in arrivo per Pnrr e grandi opere. È stato chiesto agli imprenditori di denunciare, anche in forma anonima. Ma è sufficiente secondo lei?

“No, ognuno deve fare la sua parte, le pubbliche amministrazioni devono fare il loro dovere, altrimenti si rischia il disastro come a Foggia. Anche il settore privato deve farlo. Le banche devono segnalare le operazioni sospette, applicando gli strumenti normativi disposti dalla legge. Parlo di versamenti anomali, prestiti anomali. Poi ci sarebbe tutto un discorso sulle politiche sociali, molto ampio: dico soltanto che precariato e disoccupazione sono ideali per la criminalità organizzata perché offre uno stile di vita che i giovani cercano e non riescono a raggiungere tramite il lavoro e quindi vengono facilmente arruolati tramite lo spaccio o mettendo una bomba intimidatoria”.

Si ha l’impressione che dopo i quattro omicidi di San Marco in Lamis l’attenzione dello Stato a Foggia e dintorni sia cresciuta. Guardando un po’ più a nord, c’è Larino che conta tre soli procuratori e Vasto che rischia di perdere il Tribunale. Non si rischia di commettere lo stesso errore del passato?

“Il mio territorio è sicuramente sguarnito per presidi giudiziari perché la sola provincia di Foggia è quasi il doppio del Molise per estensione e ha un solo Tribunale e una sola Procura della Repubblica. Con la riforma del 2013 è stato chiuso il Tribunale di Lucera e tutta una serie di sezioni distaccate e ora per la celebrazione dei processi quello di Foggia è insufficiente. C’è stato sicuramente un arretramento rispetto alla domanda di giustizia e il cittadino perde fiducia nell’istituzione. Detto questo, Foggia è grande quasi come l’intero Abruzzo che però ha otto tribunali, non mi sembra corretto mantenerli tutti”.

Nel febbraio 2017 è scomparso da Termoli un giovane, Matteo Masullo. Il suo è considerato un caso di lupara bianca. Possiamo considerarlo un delitto di mafia avvenuto in Molise?

“Conosco bene la vicenda ma su questo preferisco non rispondere. Non posso”.

C’è chiaramente un’indagine in corso. Ma più in generale dobbiamo temere che prima o poi la violenza arrivi anche nel nostro territorio, che qualcuno decida di sparare?

“Quello può capitare dappertutto, i delitti avvengono anche nelle regioni più tranquille. Ma non è tanto quello il dato. Il vero problema è l’inquinamento del tessuto socio economico e amministrativo”.

Il suo è un messaggio chiaro e diretto ai molisani.

“Sì, dovete difendere il territorio perché è ad alto rischio. La valvola di sfogo della criminalità organizzata foggiana è verso nord e ci sono già dei segnali. Mi sento di esortare la popolazione molisana a elevare l’attenzione per i fenomeni criminali che si possono ritrovare in casa”.

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