Termoli

San Timoteo, da 3 settimane non si opera nell’indifferenza generale. L’ospedale avviato alla morte per sfinimento

Assicurate solo le urgenze e, ovviamente, la Rianimazione. Da oltre 20 giorni tutti gli interventi programmati, anche per casi gravi, sono stati sospesi e rimandati a data da destinarsi. Il problema è legato al numero degli anestesisti: solo 6. Dalla graduatoria Asrem di specialisti e  specializzandi nessuno è ancora stato mandato a Termoli. E le lettere e i solleciti partiti dall’ospedale non hanno avuto alcuna risposta. La sensazione, interna al San Timoteo, è che sia stata avviata una lenta morte per sfinimento.

L’ultimo è andato in pensione il mese scorso, abbandonando per raggiunti limiti di età l’ospedale nel quale ha lavorato per anni. Non è stato rimpiazzato. Nessuno è stato mandato a sostituirlo, nemmeno come argine provvisorio a una emorragia di medici che ha travolto in pieno il reparto di anestesia e rianimazione dell’ospedale San Timoteo. La conseguenza la stanno sperimentando sulla propria pelle decine di malati e pazienti in attesa di interventi chirurgici, già in precedenza slittati a causa del covid, che comincia ad assumere le inquietanti sembianze del proverbiale tappeto sotto il quale, appellandosi a una emergenza infinita, nascondere montagne di polvere.

Saltano tutti gli interventi programmati e non urgenti al San Timoteo di Termoli. E non accade oggi o ieri, sta succedendo da tre settimane. Tavoli operatori fermi rispetto all’ordinaria amministrazione, attivati esclusivamente per le cosiddette urgenze. Funziona la Rianimazione, ovviamente, ma l’attività possibile con soli sei medici disponibili a ruotare e coprire i turni finisce lì.

Lo dicono fonti qualificate, lo confermano i pazienti che non possono ricorrere a interventi chirurgici che rientrano tra quelli che il nosocomio di Termoli eroga abitualmente. Non in questo caso, però. E il silenzio dei vertici sanitari, rispetto a una situazione che si trascina da oltre 20 giorni e non ha una data di scadenza, risuona come la campana a morte per un presidio che a parole tutti vogliono salvare e preservare ma che, nei fatti, è abbandonato al suo destino.

Un destino che ormai – e il disegno comincia a essere chiaro – ricalca quanto già accaduto con l’ospedale Vietri di Larino. Via un pezzetto alla volta, via un servizio e un reparto dopo l’altro. Ma se in quel caso la morte per sfinimento poteva avere una giustificazione nella presenza di due presidi ospedalieri gemelli a poche decine di chilometri di distanza, in questo caso le scelte (o la mancanza di scelte) della programmazione sanitaria colpiscono al cuore il diritto alla cura di un territorio ampio, dove vivono 100mila persone che in alcuni periodi dell’anno diventano il doppio, con un polo industriale che annovera tre aziende chimiche a rischio di incidente rilevante e una casistica di malattie che richiede un presidio clinico costante.

Non è certo un caso se le migrazioni sanitarie, dal Basso Molise verso gli ospedali dell’Abruzzo, sono un fenomeno in aumento costante da diversi anni. Certo, è una pratica consentita (talvolta perfino incentivata) e ormai i più si rivolgono a strutture extraregionali, ma per le casse regionali è una perdita costante. La sanità è pubblica, in Italia, ma qualcuno la deve pagare. I ricoveri ospedalieri in Abruzzo o in Puglia – strada spesso obbligata – gravano in modo pesantissimo sul bilancio del Molise. Eppure si va avanti così, navigando a vista.

Poi c’è l’altra e drammatica faccia della medaglia. Anche chi vuole curarsi in loco spesso non può farlo. Ci sono casi di tumore che continuano a essere “rimpallati”, attese che diventano infinite, interventi chirurgici importanti che ancora una volta incrociano rinvii. Ma in medicina, che non è la matematica, non tutto quello che non è urgente è necessariamente rinviabile.  I medici difatti lo sanno. E lo dicono. Lo hanno messo nero su bianco in diverse lettere, atti sottoscritti dai direttori di reparto, solleciti inviati ai vertici dell’azienda: al direttore generale Florenzano, al direttore sanitario Gollo, al direttore di ospedale Petrocelli. Per tutta risposta hanno avuto un silenzio che dura ancora. Zero risposte, per non parlare delle soluzioni. “Stiamo risolvendo”, d’altronde, comincia a non essere più una risposta digeribile quando, nell’arco di tre settimane, mai nemmeno una volta è stato dirottato a Termoli un anestesista in servizio a Campobasso o a Isernia.

La sensazione, in ospedale, è che questo presidio di confine sia stato già perso e che stia rotolando lentamente e in modo inesorabile verso un declino dal quale non si torna indietro. Che stia rimanendo senza alcun diritto, nemmeno il diritto alla dignità. I medici si sentono ignorati nelle loro legittime richieste, le professionalità vengono mortificate. Ed è questo che crea il presupposto più grave per la mancanza di interesse o di attrattiva di cui tutti parlano rispetto alla mancanza di medici. “Nessuno vuole venire a Termoli” suona ormai come un luogo comune. Purtroppo è un luogo comune che corrisponde alla realtà. Quale medico, potendo scegliere oggi in una rosa rigogliosissima di opzioni, vorrebbe lavorare in un ospedale ridotto a poliambulatorio, dove la chirurgia salta per mancata organizzazione e assenza di pianificazione, dove il reparto di emodinamica è chiuso metà mese, dove non c’è nemmeno un punto ristorazione e bar?

Sembra un dato superfluo, quasi frivolo rispetto alla gravità delle altre problematiche, ma non lo è. E’ la spia dell’abbandono. I pazienti hanno l’acqua razionata. Gli infermieri, durante turni di lavoro che coprono spesso straordinari, non possono bere nemmeno un espresso. Il bar al piano terra del san Timoteo è chiuso da anni. La gara di appalto che ha individuato il nuovo gestore (che poi è lo stesso di prima, Sarni) è stata espletata molto tempo fa ma l’agenzia regionale non si è ancora espressa sull’assegnazione. “A mio fratello, ricoverato d’urgenza, porto quattro bottigliette d’acqua al giorno e ogni volta devo cercare un infermiere disponibile perché nel reparto io non posso entrare a causa delle restrizioni del covid”. E’ normale tutto questo? Ed è normale che passi sotto silenzio, nell’indifferenza non solo di chi decide ma anche di chi subisce, disposto a scendere in piazza contro una nebulosa presunta dittatura sanitaria e non, invece, contro una chiara, evidente soppressione del diritto alla sanità?

 

Tre consiglieri di maggioranza scrivono a Toma e Florenzano: “Ridate dignità al San Timoteo”

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