Verso il 100° anniversario della marcia su roma

Il fascismo molisano alla vigilia della marcia su Roma. Lo squadrismo termolese protagonista principale di una stagione di violenze

Cronaca dei principali fatti accaduti nel Molise nei mesi che precedettero la presa del potere da parte dei fascisti. Dalla nascita e radicamento in Provincia del movimento fondato da Mussolini, all’attività delle sue squadre d’azione. Il Fascio di Termoli, protagonista senza rivali di una tragica stagione di aggressioni e distruzioni portata avanti tra Molise e Abruzzo contro gli avversari politici e le loro sedi.

Premessa

 Il prossimo 28 ottobre sarà trascorso un secolo dalla marcia su Roma. Un evento che segnò la fine dello Stato democratico-liberale e l’inizio di una fase politica nuova, che nel giro di poco tempo avrebbe condotto al totalitarismo di marca fascista, con tutte le conseguenze che si conoscono.

Il 1922 fu, dunque, un anno cruciale per l’Italia, come del resto quello che l’aveva preceduto, caratterizzato in tutta la penisola da una serie ininterrotta di aggressioni e atti di violenza costati molti morti, ferimenti e arresti per la maggior parte a danno di militanti antifascisti o di sinistra. Incendi e devastazioni delle sedi dei loro partiti, sindacati, case del popolo, associazioni e circoli culturali.

Il Molise non fu risparmiato dai disordini. Anche qui i seguaci di Mussolini si resero protagonisti di azioni analoghe, quasi sempre senza trovare resistenza, data la cronica debolezza del fronte antifascista e l’acquiescenza delle forze dell’ordine.

Nascita, espansione e attività del fascismo in Molise

Nato per imitazione, il fascismo molisano mise all’inizio stentate radici in piccole località sparse, quasi sempre per iniziativa di ex combattenti della guerra 1915-18.

Il primo Fascio di combattimento di cui si ha notizia certa fu fondato a Salcito nell’agosto del 1919 con 220 iscritti, ma durò poco. Scosso da dissensi interni si sciolse. Dopo di esso, tra la fine del 1920 e l’inizio del nuovo anno nacquero le organizzazioni di Termoli, Campobasso e di altre località, tra cui Agnone, Gambatesa, Larino, Rionero Sannitico e, soprattutto, Guglionesi, roccaforte del combattentismo reduce.

Il Fascio di Guglionesi fu un caso forse unico in Italia a quel tempo. Ad esso aderirono, secondo lo storico Raffaele Colapietra, circa 800 persone, di cui 300 donne (1). Suo primo segretario fu l’Avv. Antonio Mancini. A maggio del 1921 gli iscritti nella Provincia di Campobasso, allora unica, salirono a 1.424, distribuiti in sole otto organizzazioni comunali.

A Termoli, “levatrice” del Fascio locale fu l’Associazione Nazionale Combattenti, con cui condivise per un certo tempo anche la sede. Due ex combattenti i promotori: Vittorio Cecchini e Attilio Di Domenico e 150 gli iscritti.

Fra gli aderenti altri reduci della Grande Guerra, tra cui Salvatore Ammassari, ragioniere presso la ditta di ingrossi Di Gioia, Enrico Cappella, padre del poeta Carlo, Giuseppe Cannarsa, Mario Pesa, Rocco A. De Santis, Liberato Russo, Basso De Cesare, Riccardo Colonna.

Affiliazioni si ebbero anche in mezzo ai ceti benestanti. Tra le prime quella di Manfredo Campolieti, possidente ed ex campione di lotta greco-romana, di Silvio Petti, figlio di Gennaro, proprietario terriero nonché sindaco della città, di Mario Di Gioia, giovane figlio di un’importante imprenditrice del luogo di origine ortonese, Carmela Di Gioia, di cui si disse finanziasse le imprese squadriste alle quali partecipava il figlio. Primo segretario fu nominato Vittorio Cecchini.

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8 Dicembre 1922. Le squadre di Termoli in azione a Larino

L’unicità del fascio di Termoli

Il Fascio di combattimento termolese ebbe una caratteristica che lo differenziò da tutti gli altri del Molise: «fu fondato con lo squadrismo nel settembre del 1920», scrisse il giornalista, anch’esso fervente fascista, Giulio D’Andrea (2). Cioè venne organizzato sin dal principio sul modello di una formazione militare di attacco.

In sostanza un partito armato, inquadrato in cinque agili squadre d’azione dai seguenti nomi: “Acerbo”, in omaggio al potente fascista pescarese, “Indomita”, “Farinacci” (composta da ferrovieri), “Val Biferno” (formata da 12 squadristi a cavallo), “Giovinezza” (tutti Avanguardisti, cioè ragazzi dai 14 ai 18 anni).

Tra il 1921 e il 1922 gli squadristi termolesi, così organizzati, condussero spedizioni punitive contro gli avversari politici e le loro sedi in diverse località del Molise e dell’Abruzzo per le quali acquistarono fama di fascisti tra i più agguerriti e determinati del Molise.

Le località toccate furono elencate anni dopo da uno dei partecipanti, che per questo speciale servizio chiamato «causa nazionale», aveva chiesto la pensione privilegiata: Termoli, Petacciato, Santa Croce di Magliano e Larino in provincia di Campobasso. Casalbordino, Francavilla al Mare, Orsogna, Paglieta e San Vito in provincia di Chieti, Sulmona in provincia di Aquila e Teramo.

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Mario Di Gioia, squadrista, alfiere del Fascio di Termoli

Tuttavia in tanta tragicità non poteva mancare una nota comica. A proposito della trasferta avvenuta ad Orsogna nella sede del circolo repubblicano, si racconta che uno degli squadristi fu rimproverato dal suo capo per essersi particolarmente accanito contro un dipinto di Giuseppe Mazzini. La sua giustificazione fu che non conosceva il soggetto ritratto, ma che si era determinato a distruggerlo solo perché aveva la barba. Nell’ambito del partito molisano quello reso dagli squadristi termolesi fu considerato un “servizio alla causa” di prim’ordine, ineguagliato nel resto della Provincia, ciò che fece guadagnare all’indomani della marcia su Roma al loro leader, Vittorio Cecchini, la promozione a console (colonnello) comandante della 133.ma Legione della Milizia “Lupi del Matese” di stanza a Campobasso.

Gare di emulazioni a Campobasso e Agnone

 Per non essere da meno dei camerati di Termoli, nello stesso arco di tempo anche i fascisti del capoluogo di Provincia si diedero da fare.

Guidati da David Lembo, un fanatico estremista di origine umbra (poi espulso dal partito per “gravi addebiti di ordine morale” e in seguito riammesso), impiegato dell’ufficio requisizioni di cereali, nell’aprile del 1921 assaltarono la sede della società di distribuzione dell’elettricità accusata di sabotaggio solo perché era venuta a mancare la luce durante un comizio congiunto con i nazionalisti al teatro Margherita. Poi passarono a fare la stessa cosa con la Camera del Lavoro (CGIL) per ritorsione contro l’aggressione di un “rosso” a un fascista.

Il primo maggio Ad Agnone, invece, l’obiettivo dichiarato delle camicie nere locali era quello di disturbare l’annunciato comizio dell’avvocato socialista Salvatore Pannunzio. In realtà le vere intenzioni si dimostrarono presto altre.

Supportati da una settantina di camerati fatti affluire da Gissi e Liscia, vicini comuni abruzzesi, con la scusa di rimuovere la bandiera rossa dal balcone di casa del politico, invasero la sua abitazione distruggendola. Lo stesso fecero con la sezione socialista. Non soddisfatti, il giorno dopo si recarono «a dare un’altra lezione alla sottosezione di Villacanale», annota nel suo documentato saggio Gaetano Tudino (3).

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Guido D’Aloisio, squadrista termolese

Dopo le purghe e altre prepotenze, arriva il primo morto

Il 1922 è l’anno in cui i fatti di violenza in Molise contro singoli, gruppi e sedi politiche registrarono una recrudescenza. A Termoli, tanto per non restare inoperosi, un gruppo di tre fascisti, guidati da uno dei più intransigenti squadristi del posto, con la complicità dei loro sodali di Guglionesi, si appostò in piena oscurità alla periferia sud della città per tendere un agguato a un antifascista di quel paese, Giuseppe Santella, di professione tassista. Al poveretto, sceso a Termoli per prelevare un cliente alla stazione, nonostante fosse gravato da evidente handicap fisico, fu somministrata un’abbondante razione di olio di ricino che lo fece stare male parecchi giorni.

Perché dare la purga? Nel delirante significato attribuito dai fascisti a quella pratica, il potente lassativo naturale oltre che essere un chiaro mezzo di tortura fisica e psicologica, assumeva valore di “purificazione del corpo e della coscienza da idee sovversive”.

Ma i fatti più gravi avvennero a Ripalimosani il 12 marzo. A innescarli non furono però i fascisti, ma i loro “cugini” nazionalisti campobassani, le cosiddette camicie azzurre, intenzionati a provocare i cittadini del paese  che alle ultime elezioni avevano eletto un’amministrazione socialista.

I carabinieri in quella circostanza, anziché intervenire contro di essi, poiché diffidati dal prefetto a non muoversi dal capoluogo, nella sostanza li protessero, facendo a un certo punto uso delle armi. A terra rimase Luigi Trivisonno, un contadino ventiquattrenne del luogo, di simpatie socialiste, che con altri si era opposto a quella “trasferta”.

“Altri casi di prepotenza e di violenza si hanno qua e là”, scrive Tudino citando ancora una volta Agnone, Santa Croce di Magliano, San Martino in Pensilis, Frosolone.

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1922. L’incendio di una sede antifascista

Lo sciopero dei ferrovieri di Termoli

Sempre nel 1922 un ruolo decisivo fu assolto all’inizio di agosto dai fascisti di Termoli in occasione dello “sciopero legalitario”  indetto in tutta Italia dall’Alleanza del Lavoro in difesa delle libertà democratiche ormai a rischio. Dagli organizzatori era stato assegnato un ruolo importante ai ferrovieri, fra i quali robusta era la presenza di anarchici, socialisti e comunisti. Anche a Termoli.

Per far fallire lo sciopero nel più importante scalo ferroviario molisano vennero chiamate in soccorso squadre di fascisti di Larino e San Severo. Una parte di esse, con la connivenza dei carabinieri, evidentemente istruiti al riguardo, organizzarono posti di blocco agl’ingressi della città, mentre le altre andarono a prelevare casa per casa i ferrovieri scioperanti conducendoli con la forza sul posto di lavoro.

Appagato dall’esito della protesta, ecco quanto ebbe a scrivere il già citato giornalista D’Andrea: “Nell’agosto del 1922 le squadre assicurarono il regolare servizio dei treni contro lo sciopero generale politico”. Forse nacque allora la favola dei treni viaggianti in orario durante il fascismo.

Il fallimento dello sciopero però non chiuse la partita. Una volta al governo i fascisti emisero una serie di decreti con lo scopo di risanare le ferrovie e sfoltire il personale. Si decise allora di mettere fuori dall’azienda gli inidonei per malattia o per “scarso rendimento di lavoro”, formula quest’ultima dietro la quale fu portata a termine la più grande rappresaglia politica di quel tempo. Infatti su 52.467 licenziati, circa 34.000 furono tra coloro che avevano aderito allo sciopero dell’estate 1922.

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1932. Un gruppo di squadristi di Termoli in posa dieci anni dopo la marcia su Roma

La fine di un’attività “impegnativa”

Di altri prodezze i fascisti termolesi si resero protagonisti in quell’anno. Tra le quali va segnalata quella avvenuta nel mese di settembre. Dopo avere scortato in treno fino a Campobasso l’on. Farinacci, detto il “ras di Cremona”, divenuto poi segretario del nazionale del partito, tentarono, senza autorizzazione, di formare un corteo scontrandosi con i carabinieri, per una volta schierati dalla parte della legalità.

Dopo la partecipazione alla marcia su Roma, a chiusura di un anno così impegnativo, gli squadristi di Termoli anziché riposarsi, capitanati dal solito Cecchini, il giorno dell’Immacolata raggiunsero Larino per assistere all’inaugurazione del gagliardetto del Fascio locale. Alla fine della cerimonia andarono a sfogare il loro “entusiasmo” contro la sede socialista, devastandola, e spostandosi poi sotto le finestre del vescovado a insolentire quell’autorità ecclesiastica ancora poco generosa di slanci nei riguardi del nuovo potere.

Prima, però, che fosse sciolto e irregimentato (come altrove) nella Milizia, questo irriducibile gruppo di picchiatori riuscirà a mettere a segno nei primi mesi del 1923 il secondo più esecrabile e clamoroso tra i delitti di cui si potesse macchiare nella propria città, dopo l’invasione e la distruzione della Camera del Lavoro nel 1921: l’attacco alla sede della Loggia massonica del Grande Oriente d’Italia e l’incendio della sua biblioteca “ricca di rarissimi e preziosissimi libri storici e filosofici”.

I responsabili, benché individuati e denunciati, la fecero franca, grazie alla complicità di una magistratura già asservita ai nuovi padroni dell’Italia e allo sperimentato uso delle minacce di morte ai querelanti.

 

  • Colapietra, 1915-1945Trent’anni di vita politica in Molise, 1975. 
  • D’Andrea, Una pagina di storia del Molise. Termoli nelle sue memorie dalle origini ai nostri giorni, 1930.
  • Tudino, Classi dirigenti e “partiti” politici nel Molise del primo dopoguerra, Proposte Molisane (II), 1982.

 

 

 

 

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