L'Ospite

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Foibe, i messaggi delle istituzioni molisane nel Giorno del ricordo

Riflessioni in occasione della giornata dedicata alle vittime delle foibe e per ricordare l'esodo giuliano dalmata. Venne istituita con legge nel 2004

I crimini contro l’umanità non hanno bandiera, né colore politico o attenuanti ideologiche. Quello che accadde, a partire dal 1943, alle comunità italiane, giuliano-dalmate e istriane, è stata una tragedia sulla quale per tanto tempo si è taciuto. Finalmente, dal 2004, il Parlamento italiano, con la legge 30 marzo n.92, ha istituito il 10 febbraio come Giorno del Ricordo, riconoscendo adeguata dignità alla memoria di questi martiri.
Si è trattato di un doveroso atto riparatorio nei confronti di quanti furono oggetto di una spietata persecuzione, messa in atto dai partigiani titini. A subirne indiscriminatamente le conseguenze furono inermi cittadini, la cui unica colpa era quella di essere italiani.
Oggi, senza infingimenti, possiamo ricordare e onorare quelle vittime e quegli esuli, rompendo il silenzio che per troppo tempo li ha circondati.

Donato Toma – Presidente della Regione Molise

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Attraverso il Giorno del ricordo, come vuole la legge n. 92 del 2004, le istituzioni pubbliche, le scuole e in generale il sistema culturale di questo Paese sono chiamati a mantenere “memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. E’ questo un impegno morale che
ciascuno deve sentire rispetto sia alla storia in generale, sia ai fatti in particolare, che hanno così drammaticamente coinvolto dei nostri connazionali. Per molti anni, troppi, di questi accadimenti, che coinvolsero decine di migliaia di persone come vittime dirette di violenze inenarrabili e di uccisioni sommarie attraverso il loro occultamento nelle foibe, e che portarono al peregrinare per la penisola di circa 300mila esuli italiani che dovettero lasciare le proprie case in Istria, non si è trovato spazio nel dibattito storico, culturale ed educativo di questo nostro Paese. Ancora oggi tra le tante giornate commemorative dei vari eventi storici della memoria nazionale, quella del ricordo resta ancora non accettata da alcuni ambienti, ignorata se non addirittura rifiutata da altri. Il nostro Paese potrà guardare al futuro con speranza e coralità di intenti e con prospettive di crescita armonica sia sociale che culturale, solo se saprà elaborare un memoria condivisa del passato. Certo lo diciamo da anni, ma siamo ancora in ritardo storico sulla capacità, come nazione, di condividere il ricordo del passato, per il quale, certamente, possiamo, e forse dobbiamo, avere, se del caso, giudizi e opinioni diversificati. Ma avere posizioni differenti sulle motivazioni socio-politiche che portarono alla realizzazione di eventi singoli o collettivi è una cosa, ben altra è “infoibare” ancora una volta tali accadimenti nel buio del non detto, del non raccontato e del non condannato sul piano morale e storico. Allora questo Giorno, e i tragici eventi che commemora, che si svolsero sia prima, che durante e quindi dopo i fatti che interessarono l’Istria a cavallo della fine della seconda guerra mondiale, debbono essere anche di sprone all’intero Paese a guardare indietro al nostro passato, a non aver paura di confrontarci con esso e a saperne fare una valutazione storica pacata, oggettiva e complessiva. Una valutazione fortificata da quei sentimenti di pluralismo, di solidarietà, di libertà e di rispetto degli altri contenuti in quella Carta Costituzionale scritta dopo gli orrori del secondo conflitto mondiale e che si prefiggeva anche l’obiettivo di far memoria degli errori del passato per scrivere un futuro di giustizia e di libertà per gli italiani e per tutti i popoli. Onore, dunque a tutti coloro i quali, a vario modo e forma, patirono il dramma istriano e forza e coraggio a tutti noi nel percorrere la strada della concordia, dell’unità nazionale e della pace tra i popoli.

Salvatore Micone – Presidente del Consiglio regionale

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Il 10 febbraio si celebra il Giorno del Ricordo. Dopo la Giornata della Memoria del 27 gennaio, un’altra giornata di riflessione affinché dagli errori umani si possa migliorare il presente e il futuro. Il Giorno del Ricordo, come noto, è stato istituito per commemorare le vittime delle barbarie commesse in Istria, a Fiume e in Dalmazia tra il 1943 e il 1947. La storia non va dimenticata e ciò che possono fare le istituzioni è ricordare sempre come le politiche diplomatiche e pacifiste debbano essere preferite ad ogni, anche minima, idea di guerra e violenza.
Come ho ricordato in occasione della Giornata della Memoria, sono tanti i Paesi ancora interessati da guerre, dove occorrerebbero decise azioni di pace, al fine di restituire serenità e civiltà a tutti quei territori martoriati da anni di violenza.
Questa giornata ci deve far riflettere. Oggi guardiamo alla crisi tra Russia e Ucraina. Una soluzione di pace è l’unica strada da percorrere, perché, come ci insegna la storia, le guerre portano solo violenze, distruzione, morte e povertà. Ci accingiamo a uscire da una pandemia, che già ha acuito una crisi economica generalizzata; una guerra altro non farebbe che acutizzare ancor di più l’attuale momento congiunturale. La politica della ferocia deve lasciare il passo alla pace. Sempre e comunque.

Francesco Roberti – Presidente della Provincia di Campobasso

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La memoria senza consapevolezza rischia di essere solo vuota retorica. Ecco perché il Giorno del ricordo e la tragedia delle foibe sono pagine di storia che meritano di essere lette per intero. È triste pensare alla sorte toccata a tanti, troppi italiani in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia nel corso della seconda guerra mondiale: vittime prima della follia nazionalista e poi, nei decenni successivi, del pregiudizio ideologico che ne ha soffocato la memoria. Oggi che invece è possibile riflettere serenamente sull’orrore di quel periodo storico, abbiamo il dovere di ricordare degnamente la sofferenza di tutti coloro che persero la vita, subirono violenze o furono costretti ad abbandonare per sempre le loro case. Una sciagura nazionale sottovalutata e ignorata per anni, diventata finalmente storia condivisa e accettata grazie all’instancabile tenacia degli esuli e dei loro discendenti. Una ferita sanguinante sul volto non solo dell’Italia ma del continente intero che solo grande avventura di un’Europa finalmente libera, democratica ed unita ha saputo, in parte, guarire. È una lezione che non dobbiamo mai dimenticare; un monito da tramandare alle generazioni presenti e future; un insegnamento per quanti credono nel valore della pace e della solidarietà tra i popoli.

Aldo Patriciello, Europarlamentare

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