L’intervento della squadra mobile che ha preso forma nella denuncia a carico di undici ragazzini fra i 13 e i 17 anni per associazione a delinquere di minorenni, diretta a commettere più reati intimidatori nei confronti di minori e non solo; furto con violenza, rissa, minacce, atti persecutori, percosse e lesioni personali, ha sconvolto mezza città: una sorpresa per alcuni, fatti noti invece per molti altri. Soprattutto per i giovanissimi che quelle scorribande le conoscevano – e commentavano tra di loro – a menadito.
“Alcuni vanno nella loro stessa scuola – dicono – altri invece li conoscono perché la sera quando uscivamo per una passeggiata, si parlava spesso dei casini che avevano provocato”.
Sì, anche questi ragazzi che volti e nomi degli indagati li conoscono bene, confessano: “quel gruppo la lite la cercava. Pretesti assurdi – racconta una studentessa – a volte bastava uno sguardo di troppo da parte di un altro ragazzo, oppure inventavano di essere stati insultati e quindi dovevano ‘ripristinare ordine’ o pretendevano di ‘giustiziare’ chi secondo loro aveva commesso una mancanza nei loro confronti o nei confronti delle persone che proteggevano”.
Accadeva fuori dalla scuola ma anche tra le mura dell’istituto superiore dove sono iscritti. Tanto che qualche compagno ammette candidamente: “anche i professori erano quasi rassegnati, perché tanto i provvedimenti disciplinari non servivano a nulla”.
Qualcuno aveva preso dall’inizio dell’anno scolastico già 12 note; un altro 22; un altro 14… Senza contare i giorni di sospensione con l’allontanamento dalla scuola. E alla base dei provvedimenti il mancato rispetto delle norme anti Covid: abbassavano la mascherina e nonostante i richiami non la indossava correttamente. Oppure erano soliti usare il telefono cellulare durante l’orario di lezione. O assumevano atteggiamenti irrispettosi nei confronti degli insegnanti disturbando il normale andamento delle lezioni.
Restii a rispettare qualunque regola o forma di rispetto verso gli altri e alla continua ricerca di guai.
L’unico obiettivo era quello di mostrarsi “forti”, dare forma alle loro prevaricazioni con calci e sberle e poi postarle sui social per lanciare un monito a chi intendesse mettersi contro “il gruppo”.
“Lo sapevano tutti – raccontano altri giovani adolescenti – almeno quelli della nostra età a Campobasso erano a conoscenza di quello che accadeva”. E quando chiediamo perché nessuno ne ha parlato prima denunciando i fatti alla polizia o alle famiglie, loro rispondono: “Avevano tutti paura. Anzi, avevamo tutti paura”.
Bullismo, piccoli furti, atti persecutori, aggressioni si sono consumati proprio a scuola. Tanto che per ogni studente è di fatto la sua seconda classe, si era invece trasformata in un luogo di “terrore” dove era facile diventare bersaglio di “umiliazioni continue” ed essere costretti a subire gli atteggiamenti da “boss” delle solite facce.
E il tutto sotto gli occhi di docenti probabilmente atterriti ed inerti dinanzi agli atteggiamenti del “branco”.
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