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Chiusi per decreto, ma esclusi dai ristori Covid. Il Tar bacchetta la Regione dei burocrati: Tezenis fu ingiustamente estromessa

Una sentenza del Tar Molise ha dato ragione alla ditta di Campobasso che era stata inizialmente esclusa dagli aiuti pubblici per sostenere la ripresa economica di quelle attività non essenziali costrette a chiudere a marzo del 2020 per i troppi contagi.

C’è voluto l’intervento di un giudice per far ottenere quello che di diritto gli spettava: stiamo parlando dei contributi Covid concessi a quelle attività non essenziali che hanno visto sgonfiarsi il loro fatturato a causa dello stop forzato di fine marzo 2020 coinciso con una delle fasi più cupe della pandemia.

Inizialmente escluso dall’elenco dei beneficiari delle agevolazioni finanziarie, il negozio Tezenis, che si trova nella galleria del centro commerciale Monforte, a Campobasso, potrà essere reinserito tra gli aventi diritto grazie a una sentenza del Tar Molise pubblicata il 22 dicembre scorso.

Per capire meglio cosa è successo bisogna fare un passo indietro di svariati mesi. Era il 22 marzo del 2020 quando venne pubblicato in Gazzetta il Dpcm dell’ex governo Conte che vietava di spostarsi da un comune all’altro e che, tra le altre cose, bloccava le attività non essenziali elencando quelle imprese che potevano restare aperte in base a quello che poi abbiamo imparato a conoscere col nome di codice Ateco.

Milioni di euro sono andati in fumo e la Regione Molise, come tante altre, è corsa ai ripari pubblicando un avviso per aiutare chi doveva tenere per forza abbassata la sua saracinesca. Crea una piattaforma assieme all’agenzia Sviluppo Italia Molise dove i primi a presentare domanda (l’arcinoto click day) potevano chiedere un rimborso forfettario di quanto perso.

Dopo attento esame la Regione stila un elenco di beneficiari per quella specifica misura di contrato all’emergenza Covid-19.

Ma Tezenis, che pure non aveva potuto vendere intimo e abbigliamento per diverse settimane, non c’era. Secondo la Regione Molise e l’agenzia Sviluppo Italia Molise il codice Ateco inserito nella domanda non era tra quelli sospesi per effetto del Dpcm del 22 marzo. Un codice, diciamolo qui subito per chiarezza, che non aveva nulla che fare con quello che compriamo solitamente nella catena di biancheria, pigiameria e abbigliamento, ma riferibile al commercio di profumi.

Per quale motivo Tezenis aveva inserito un codice Ateco diverso lo spiega lui stesso nelle controdeduzioni fatte al primo respingimento della sua domanda e anche nel ricorso: nel negozio c’è effettivamente un profumo (a marchio Tezenis) acquistabile singolarmente o dato in omaggio alle clienti  al raggiungimento di una certa soglia di spesa. E non poteva dichiarare il falso omettendo anche quello specifico codice legato al settore della profumeria che, a differenza dell’intimo e dell’abbigliamento, poteva lavorare anche durante quel periodo di chiusure generali.

La Regione Molise a quel punto riesamina l’istanza e giunge a identica conclusione, e cioè che la domanda di finanziamento non era ammissibile perché il codice contestato non era tra quelli sospesi dal Dpcm e anche perché, pur essendo la vendita del gadget a marchio Tezenis irrilevante per il fatturato dell’attività, l’avviso non contemplava l’aspetto della rilevanza economica “limitandosi all’attività esercitata e non ai volumi che esse generano”.

Insomma, Tezenis voleva restare aperto per vendere un prodotto che incideva per meno dell’1 per cento sul suo fatturato? Benissimo, poteva farlo, ma allora non avrebbe dovuto chiedere risarcimenti alla Regione Molise anche perché “la circostanza che al momento il fatturato sua minimo non è rilevante ai fini del bando”.

In realtà Tezenis è rimasto con la saracinesca abbassata per  tutto il periodo delle chiusure. Al limite, ed è la stessa Regione a consigliarglielo, avrebbe potuto aprire per vendere quel profumino inibendo l’accesso agli altri reparti del negozio ad eventuali clienti. Ma non avrebbe avuto senso: non si va da Tezenis per i profumi bensì per pigiami e mutande. Non è come altre catene tipo Acqua e sapone o Tigotà che vendono deodoranti, igienizzanti, pannolini e altri prodotti essenziali. Allo stesso modo non poteva fare una falsa dichiarazione nel modulo di domanda omettendo che c’erano anche profumi in vendita.

Massimo Romano

La titolare del noto franchising, convinta delle sue ragioni, non si è data per vinta e assieme al suo avvocato Massimo Romano è andata avanti. Tutto fino a quando, ed è storia recente, il Collegio presieduto dal giudice Nicola Gaviano ha accolto l’impugnativa e annullato tutti i provvedimenti dell’avviso pubblico bacchettando anche la Regione Molise e la sua Avvocatura per aver dato rilievo a “un dato puramente formale senza tenere nella debita considerazione l’effettiva e concreta condizione (debitamente documentata) di irrilevanza economica dell’attività d’impresa solo in apparenza rimasta non sospesa”.

Insomma, hanno fatto troppo i burocrati e non hanno considerato le perdite realmente subite dall’operatore economico rimasto chiuso al pari di tanti altri e ingiustamente escluso dal beneficio.

Ora toccherà alla Regione riammettere la ditta nell’orario di presentazione della domanda per ristorarla dei 40 mila euro di fatturato perso tra fine di marzo e fine maggio.

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