La crisi del clima/2

Cibo e cambiamento climatico, il nutrizionista: “Sbagliato dare la colpa ai consumatori. Ha ragione Greta, dalla politica solo Bla Bla Bla”

Una fetta rilevante dell’inquinamento del pianeta è provocato da allevamento e agricoltura ma per il dottor Silvio Nanni “è troppo facile prendersela con la signora Maria. Chi permette che al supermercato troviamo 50 g di basilico in vaschetta avvolta da 6 metri di pellicola?”. Poi ammonisce: “Presto avremo meno pesce e raccolti agricoli ma sembra non interessare a nessuno”

La lotta al cambiamento climatico passa inevitabilmente anche dal nostro modo di mangiare, fare la spesa, scegliere in quale ristorante cenare. Ma passa anche per decisioni che i Governi dovrebbero assumere e che invece rimandano per via di delicati equilibri socio economici legati alla produzione e al consumo di cibo. Il dottor Silvio Nanni, 36 anni, biologo nutrizionista e farmacista di Campomarino con studi in Molise, nel Lazio e in Emilia, ha una sua visione chiara di chi e cosa dovrebbe cambiare per portare benefici alla salute delle persone e allo stesso tempo del pianeta.

dotto silvio nanni nutrizionista

Dottor Nanni, uno dei concetti che stanno iniziando a fare breccia in questo periodo è quello secondo cui ciò che mangiamo influisce sul cambiamento climatico. Ma in che modo?

“Ha detto la verità, ‘iniziano a fare breccia’, e siamo nel 2021. Il protocollo di Kyoto, il trattato in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, è stato firmato nel 1997. In molti non se ne sono accorti.

L’alimentazione c’entra perché l’agricoltura nella sua globalità è responsabile di un terzo delle emissioni di anidride carbonica. L’allevamento, specialmente quello bovino, produce elevate quantità di gas serra. Ma dobbiamo pensare oltre alla produzione e ai fertilizzanti, alla deforestazione, al trasporto, al packaging dei prodotti”.

Gli italiani sono spesso convinti di adottare la dieta mediterranea. Una falsa credenza?

“Se parliamo della dieta teorizzata da Ancel Keys tra gli anni Sessanta e Settanta, la dieta mediterranea ormai esiste solamente sui libri. Probabilmente la vera differenza della dieta fatta nell’area del bacino mediterraneo rispetto al resto del mondo è il quasi esclusivo uso di olio extravergine di oliva al posto dei grassi di origine animale”.

Nel frattempo molto è cambiato.

“Il modo di alimentarsi è profondamente cambiato: le farine sono sempre più raffinate, il consumo delle carni rosse e trasformate cresciuto, è aumentato il consumo di alimenti a più alto indice glicemico e lascio per ultima la maggiore disponibilità di alimenti provenienti da altri Paesi che, secondo me, resta marginale nelle abitudini complessive.

La cosa che fa veramente la differenza è stata l’aumento dell’introito calorico, dovuto alla maggiore disponibilità economica, a fronte di una maggiore sedentarietà conseguente di una mutazione delle abitudini e alla meccanizzazione del lavoro”.

Fino a 70 anni fa, più o meno, mangiare carne era un lusso. Oggi siamo il terzo Paese al mondo per consumo di carne e pesce pro capite (fonte Fao). Come ci siamo arrivati?

“Penso siano abitudini che si siano consolidate nel tempo e siano partite da un maggiore benessere economico e dalla voglia di mettersi alle spalle la povertà del dopoguerra.

Immagino le nostre nonne come quelli che vanno a fare una giornata di mare a Capri ma mettono su Instagram le proprie foto in barca con il mare cristallino sullo sfondo per 30 giorni di seguito. È una provocazione ma probabilmente è iniziata più o meno così e poi si è consolidata come abitudine.

Inoltre, arrostire una fetta di carne o usare preparati è molto più comodo e sbrigativo di preparare un piatto di legumi. Qui si potrebbe aprire un lungo e impervio discorso sulla mutazione della figura della donna che lavora molto più frequentemente rispetto a prima e in generale si ha sempre meno tempo per cucinare”.

Se l’allevamento intensivo fosse una nazione sarebbe il terzo Paese più inquinante al mondo. È d’accordo con chi sostiene che per salvare l’umanità sul pianeta dovremmo diventare vegani? O almeno ridurre al minimo il consumo di carne, uova e latticini?

“No, non sono d’accordo su nessuna presa di posizione così assolutistica. È troppo facile scaricare la responsabilità sul consumatore finale.

Viviamo in un mondo in cui gli abitanti della Basilicata bevono acqua che sgorga in Trentino e i trentini bevono acqua che sgorga in Basilicata. E ogni giorno centinaia di camion fanno sue e giù per l’Italia carichi con bottiglie di plastica.

Al supermercato troviamo 50 g di basilico in vaschetta avvolta da 6 metri di pellicola. Chi è che lo permette?”.

Responsabilità da condividere dunque.

“Poi è vero che se scegliessimo l’acqua della nostra regione, i prodotti a km zero, gli allevamenti che hanno dei protocolli rispettosi per l’ambiente faremmo un passettino in avanti, ma è troppo facile scaricare la responsabilità sulla signora Maria. Le signore Maria non possono fare la differenza se non ci sono decisioni politiche forti a sostegno. Quel determinato materiale non è sostenibile? Quel materiale non si produce più, perché non c’è più tempo”.

Mettiamo il caso che io sia un tipico consumatore italiano: latte a colazione, affettati e formaggi a pranzo, bistecca a cena. Però ho a cuore l’ambiente: con cosa li sostituisco?

“Se questa è la sua alimentazione tipo non è che non ha a cuore l’ambiente. me la passi. non ha a cuore il suo cuore. Chiaramente con un’alimentazione prevalentemente vegetale andrebbe a migliorare su entrambi i fronti”.

In Molise c’è chi potrebbe dire: mangio solo le uova delle galline di mio nonno e consumo la carne di vitelli o maiali allevati all’aria aperta dal mio amico d’infanzia. Vale lo stesso discorso per l’ambiente?

“Probabilmente verrebbe meno l’inquinamento dovuto al trasporto e alla massimizzazione della produzione ma ripeto, senza interventi legislativi forti non faremo la differenza. L’educazione e la sensibilizzazione sono importanti, specialmente in età scolare. Gli adulti vanno costretti, siamo fuori tempo massimo”.

E se parliamo di allevamenti biologici?

“Uno studio pubblicato su Nature nel 2020 ha mostrato che gli allevamenti bio inquinano tanto quanto quelli intensivi”.

Ma se non bastano le argomentazioni legate alla salute, come si convince un popolo innamorato di salsiccia e caciocavallo che quel tipo di alimentazione, alla lunga, è sbagliata?

“Le immagini choc che ci sono sui pacchetti di sigarette hanno fatto diminuire i fumatori? Sembrerebbe proprio di no. Allo stesso modo gli obesi, gli ipertesi, i diabetici spesso continuano a mangiare come se fossero immortali”.

Che soluzione suggerisce?

“Ho capito che l’Uomo fa qualcosa solo se la reputa conveniente per se stesso. I miei pazienti che cambiano stile di vita lo fanno perché iniziano giorno dopo giorno a sentirsi meglio ed è per quelle sensazioni che continuano.

Quando un paziente obeso viene da me e gli consiglio di perdere 30 Kg, gli dico che sta vivendo la sua vita come se un giorno fosse andato al supermercato, avesse preso in mano tre fardelli di acqua e non li avesse lasciati più. Con questi fardelli di acqua lavora, sale le scale, si allaccia le scarpe, fa l’amore, cammina, corre ed è per la sensazione di sollievo e di benessere che avrà nel poggiare a terra una cassa di acqua alla volta che cambierà stile di vita”.

Non trova ipocrita che sui media continuino a passare ossessivamente spot di grande catene di fast food?

“È una società fondata sul denaro e sull’ipocrisia. Lei non trova ipocrita che in alcuni Paesi stanno pensando di fare la quarta dose del vaccino anti Covid e in molti Paesi dell’Africa non abbiano fatto nemmeno la prima?

Lei non trova ipocrita che qui le persone vadano da un nutrizionista per dimagrire e in molti Paesi non riescano ad assumere nemmeno un pasto al giorno?”

Sicuramente lo è. Anche il consumo di pesce andrebbe moderato per via dell’inquinamento dei mari, dei danni all’ecosistema dovuti alla pesca intensiva e all’allevamento ittico?

“Tra poco avverrà anche il contrario. La maggiore acidità delle acque e il minore ossigeno disponibile nei mari ridurrà drasticamente il pescato disponibile. La stessa cosa avverrà per i raccolti. Nessuno sembra interessarsene molto”.

Dovremmo reimparare a mangiare secondo stagione, ad esempio pomodori freschi solo d’estate o gamberi esclusivamente a primavera? È possibile secondo lei nell’epoca della globalizzazione?

“Penso sia complicato cambiare certe abitudini. Lei crede davvero che le persone sappiano quale sia la stagionalità dei gamberi? Probabilmente, qualche ora a settimana di educazione civica e ambientale, a scuola farebbe bene per il futuro. Qualcosina tra una ventina di anni potrebbe cambiare, ma si diceva anche che i nostri ragazzi nel 2020 avrebbero parlato inglese come una seconda lingua. Non c’è tutto questo tempo.

Come ha detto Greta Thunberg qualche mese fa la politica fa solo bla bla bla…”.

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