Morte sospetta a vinchiaturo

Morì per folgorazione mentre lavorava in una villetta, assolto per insufficienza di prove il proprietario di casa

Il 64enne Enzo Nardacchione mori il 5 giugno 2018 mentre lavorava all'impianto di irrigazione in una villetta di Vinchiaturo. Due consulenti su quattro però negano la folgorazione, che non è facile da provare considerando che inzialmente il decesso venne archiviato come "morte naturale". L'avvocato Urbano: "Con la Procura valuteremo l'eventuale ricorso in Appello"

La morte di Enzo Nardacchione, avvenuta il 5 giugno 2018 mentre era impegnato a lavorare all’impianto di irrigazione di una villetta all’altezza delle “Quattro Vie” di Vinchiaturo, resterà avvolta nel mistero. Almeno per ora.

Per quel decesso, da subito dubbio – l’autopsia dopo il referto di “morte naturale” fu eseguita soltanto qualche settimana più tardi – c’è stata intanto l’assoluzione per l’unico imputato: il proprietario della villetta dove Nardacchione stava svolgendo i lavori nel prato sotto la pioggia.

I rilievi e gli accertamenti dei carabinieri di Bojano che furono consegnati al sostituto procuratore Giuliano Schioppi, portarono il magistrato inquirente a chiedere l’esame autoptico dopo la denuncia dei familiari che invece su quella morte chiedevano chiarezza perché la figlia del 64enne chiamo il 118 dicendo al telefono: “Correte, mio padre è rimasto folgorato”.

Ora c’è la sentenza di primo grado e l’imputato è stato assolto per “insufficienza di prove”. La cosiddetta “prova scientifica” ha prevalso “su quella logica”, ha spiegato l’avvocato Michele Urbano che in questo lungo procedimento rappresenta la parte di Enzo Nardacchione.

Si è trattato, secondo il legale, di un processo che – nonostante eventi che logicamente provavano la colpevolezza – ha visto prevalere sul dubbio la prova scientifica che ha quindi “portato all’assoluzione”.

“Un caso che parte svantaggiato – ha spiegato l’avvocato Urbano – perché subito catalogato come morte naturale. Quindi soltanto dopo la denuncia dei familiari che hanno notato un segno evidente sul dito della mano destra rispondente ad una folgorazione, si è proceduto ad un esposto in Procura”.

Muore in casa di un amico, per il medico legale è rimasto folgorato. Ora l’ipotesi è omicidio colposo

Il sostituto Giuliano Schioppi rispetto ai dubbi denunciati dalla famiglia ha immediatamente disposto la riesumazione del cadavere e quindi l’esame autoptico affidata all’Istituto di Medicina legale di Foggia “perché in Molise non c’è una struttura in grado di procedere in tal senso” né a Campobasso ci si attiene ad un regolamento in vigore da anni che prevede – in caso di dubbio – l’esame autoptico immediato, come spiega anche il dottore Guierriero medico anatomopatologo che ha eseguito poi l’autopsia sulla salma di Vincenzo Nardacchione: “Gli unici medici in Molise che richiedono riscontri diagnostici con criterio sono quelli dell’Ospedale di Isernia dove per decenni fu primario il dottor Bontempo che insegnò a tutti l’importanza di questo strumento clinico preziosissimo, strumento di chiarezza per i familiari del defunto, e per tutte le persone coinvolte in una qualsiasi morte inaspettata e improvvisa, che sia per strada, in casa, in un supermercato, ovunque. A Campobasso invece, dove mai in ospedale ci si è dedicati a questi problemi, niente, si opera senza criterio e con poco metodo. Si interviene solo su attivazione dell’autorità giudiziaria come nel caso del povero Vincenzo Nardacchione, il cui corpo venne riesumato dopo 9 giorni in piena estate e tanti dettagli erano ormai alterati da fenomeni putrefattivi, dando adito a contestazioni, dubbi, divergenze interpretative dei diversi consulenti”.

Tuttavia le conclusioni della dottoressa De Carlo dell’ospedale di Foggia furono chiare: sul dito del deceduto era presente un marchio elettrico e quindi il decesso era avvenuto per folgorazione.  “L’impianto elettrico non era a norma – rafforza l’avvoca Urbano – Non aveva salvavita e la telefonata al 118 da parte della figlia di Enzo Nardacchione era per ‘folgorazione’ non per altro”.

Quando l’imputato ha successivamente nominato il proprio consulente, il professore Costantino Ciallella (conosciuto nel caso Cucchi), questi dopo aver analizzato i vetrini del laboratorio scientifico, ha stabilito che “il marchio sul dito non c’era”.

Quindi il Gip Veronica D’Agnone nomina un proprio consulente, il dottore Carlo Campobasso e anche questi dopo aver analizzato i vetrini dispone che “il marchio elettrico non c’era”.

Torna al lavoro il dottore Guerriero, l’anatomopatologo dirigente del Cardarelli, che analizza di nuovo quei frammenti scientifici attraverso un criterio di colorazione, e contrariamente agli altri due consulenti stabilisce che invece che il marchio elettrico sul dito del deceduto era presente.

Una guerra tra consulenti che si chiude con un sostanziale pareggio. Perché dei quattro esperti nominati dalle parti (Pubblica accusa, parte civile, Imputato e Gip) due “vedono” il marchio elettrico e due invece lo negano.

Al di là del contrasto scientifico, in udienza l’avvocato Urbano ha fatto presente tutti gli indizi che portavano al fatto che Vincenzo Nardacchione fosse morto a causa di una scossa elettrica su un impianto senza salvavita.

La prova logica c’è tutta: la figlia che chiama il 118, il contatore dell’Enel che è stato spaccato per poter togliere la corrente, il marchio sul dito che coincide con il condensatore che si trovava nel pozzetto dove Nardacchione stava lavorando, il luogo, il perché… “Una serie di cose che rappresentano la prova logica della colpevolezza. Il giudice invece – ha spiegato l’avvocato Urbano  – nel contrasto con la prova scientifica ha ritenuto di dover assolvere l’imputato”.

Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni “E con la pubblica accusa si valuterà un eventuale ricorso in Appello” ha concluso ancora il legale.

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