Gli effetti della trasformazione

Transizione ecologica e crisi dell’auto: da Fiat a Sevel e Denso, migliaia di posti di lavoro in bilico

Il settore dell'automotive al centro della tempesta perfetta fra crisi dei semiconduttori e ascesa dell'elettrico. Italia in ritardo e Molise che vede a rischio tantissimi operai

Quanti posti di lavoro perderà la Stellantis di Termoli? Quanti altri verranno lasciati per strada dalla transizione ecologica in tutto il settore dell’automotive fra il Molise e il vicino Abruzzo? Non c’è solo la Fiat di Termoli, ma anche la Sevel di Val di Sangro, la Denso di San Salvo e tutto quel gruppetto di piccole e medie fabbriche dove trovano impiego centinaia di nostri corregionali. Chi si sta occupando di loro? La domanda di fondo è alla base del Data Room, l’inchiesta giornalistica coordinata da Milena Gabanelli per il Corriere della Sera e TgLa7 di pochi giorni fa.

Ma è un po’ la domanda che qualche giorno fa aveva posto la Uilm commentando l’assenza di misure nella legge di bilancio. “Benché l’automotive rappresenti il primo settore industriale italiano e benché sia formalmente in piedi un tavolo ad essa dedicato presso il Ministero dello Sviluppo economico, il Governo continua ad ostentare una colpevole indifferenza verso le sue sorti. Eppure la mobilità è al centro di una profonda trasformazione ecologica, mentre la crisi degli approvvigionamenti sta mettendo in ginocchio l’industria”. Così il sindacalista Gianluca Ficco, dando voce a quella che è la preoccupazione di tanti operai metalmeccanici.

A Termoli, nello stabilimento di Rivolta del Re che dà lavoro a oltre 2mila persone, le certezze sembrano essere due, ma contrastanti tra loro. Da una parte l’annuncio della Stellantis che ha scelto Termoli, a quanto pare su pressione del Governo Draghi, come luogo dove realizzare una delle sue cinque Gigafactory nel mondo, e dall’altra l’ondata di licenziamenti volontari retribuiti che va avanti da questa estate e che finora ha già coinvolto circa 200 persone.

Ma sembra essere solo l’inizio, nel senso che i si dice raccontano come in fabbrica si dia per certo che il numero degli esuberi sarà ben maggiore, addirittura attorno ai mille posti di lavoro. Prepensionamenti e non solo. L’azienda spinge il più possibile affinché chi ha possibilità di trovare un’occupazione diversa, scelga di firmare le dimissioni prendendo una discreta sommetta e svuotando l’armadietto.

Anche perché è chiaro a tutti che la Gigafactory sarà una fabbrica completamente diversa da quella che finora ha realizzato motori e cambi. Servono qualifiche differenti, probabilmente anche un forte ricambio generazionale. Il passaggio dall’alimentazione a benzina a quella elettrica è anche questo e non solo ricadute positive (si spera) per l’ambiente.

Il fatto è che questa incertezza su numeri, tempi e personale ricade proprio sulle spalle di chi a Rivolta del Re ha speso i suoi migliori anni ma è ancora lontano dalla pensione. La fascia dei cinquantenni sembra essere la più penalizzata: da un lato la difficoltà nel trovare un’alternativa seria, dall’altra la distanza pluridecennale dal pensionamento.

Ma se a Termoli non si dormono sonni tranquilli, discorsi pressoché identico ad Atessa, dove la Sevel che fino a due anni fa sembrava un treno in corsa in termini produttivi, adesso arranca per colpa della crisi dei semiconduttori. Una crisi che sembra il risultato di una tempesta perfetta fatta di effetti pandemici, cambiamento climatico e crisi del commercio internazionale e che sta mettendo in ginocchio il settore dell’automotive italiano ancor di più del Covid.

In pochi mesi la fabbrica della Val di Sangro ha subito un forte dimagrimento di personale: meno 900 lavoratori da settembre fra cassa integrazione e fine contratto degli interinali, altri 1.700 in cassa integrazione a novembre. Le previsioni non sono buone, tanto che si prevede un primo semestre 2022 di grande sofferenza.

In tutto questo però l’Italia non sembra aver preso provvedimenti adeguati. “Il settore dell’auto – le parole del sindacalista Ficco – è al centro di una tempesta perfetta, fra transizione ecologica e carenza di microchip; le altre potenze industriali si stanno organizzando per riportare in casa produzioni decisive; l’Unione europea impone una marcia forzata verso l’elettrificazione; solo l’Italia si disinteressa a ciò che accade mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro”.

Perché oltre alle grandi fabbriche ci sono aziende più o meno note dove la crisi si sta facendo sentire in modo simile. Per riprendere l’approfondimento del Data Room “la multinazionale giapponese Denso ha grandi progetti sull’elettrico con Mazda e Toyota. Ma non sullo stabilimento di San Salvo, in provincia di Chieti, dove si continuano a produrre alternatori e motorini di avviamento. I dipendenti sono 1.000: in 200 andranno a casa entro l’anno, per gli altri 800 posti non ci sono certezze”.

La zona industriale di San Salvo pullula di aziende che in un modo o nell’altro lavorano per il mondo delle auto. Tanto per fare un esempio, la Pilkington che conta circa 2.500 dipendenti aveva annunciato nel luglio scorso una diversificazione della produzione. “La crisi generata dalla pandemia e la conseguente riduzione dell’immatricolazioni di auto in Europa hanno imposto al Gruppo Nippon Sheet Glass un programma di profonda trasformazione con la riduzione di costi fissi ed un’accelerazione all’automazione, al fine di recuperare competitività, efficienza e quindi liquidità. I volumi produttivi per l’anno corrente sono purtroppo influenzati negativamente sia dalla riduzione delle vendite di auto sia dalla grossa difficoltà dei costruttori di approvvigionare taluna componentistica non disponibile (semiconduttori, plastica)”.

Da qui la soluzione: “L’attuale insaturazione dei Float (uno dei forni, ndr) derivante dal mercato dell’auto sarà compensata con produzioni per il mercato dell’edilizia, spinto fortemente dal sistema sisma-bonus ed ecobonus per le costruzioni”.

Ma se per chi produce vetro l’occasione è giunta dalla ripresa dell’edilizia, per altri la riconversione produttiva è ben più difficile e soprattutto più lenta. Per questo è necessario sapere cosa succederà nell’arco di tempo fra la dismissione della produzione di motori e l’avvio della maga fabbrica di batterie e celle di batterie a Termoli.

Intanto la Uilm ha avanzato tre richieste: “incentivi all’acquisto corrispondenti ai limiti di emissione di Co2 imposti dalla UE; ammortizzatori sociali specifici per superare la carenza di microchip; fondi per incentivare le riconversioni industriali e più in generale per sostenere gli investimenti nella green economy. Chiediamo quindi la riconvocazione immediata del tavolo automotive e soprattutto l’adozione di questi
provvedimenti vitali per scongiurare chiusure e licenziamenti nelle migliaia di imprese della filiera”.

In tutto questo, ancora una volta, non si può fare a meno di notare l’assenza di una qualsiasi iniziativa della politica regionale. In Emilia-Romagna, area dove i motori per le due e le quattro ruote hanno fama e mercato mondiali, “università emiliane e i grandi marchi dell’auto hanno creato il Muner, la Motorvehicle University dell’Emilia-Romagna” come spiega il Data Room.

In Molise qualche mese fa il direttore dello stabilimento Fiat di Termoli Davide Guerra ha annunciato pubblicamente le intenzioni del gruppo e davanti al pubblico del Festival del Sarà ha promesso maggiore coinvolgimento del territorio. Ma salvo qualche eccezione non risulta che la classe dirigente molisana abbia manifestato interesse.

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