L'altra faccia della medaglia

Genitori tifosi maleducati, dagli spalti dei campi minori arriva l’esempio peggiore

Seguono le attività agonistiche dei propri figli ma frequentemente incitano all'insulto o si sostituiscono agli allenatori. Perché non immaginare un "daspo" anche per loro?

Quando Giovanni Gabrielli, mental coach, scrisse in un post su facebook diretto alle famiglie che seguono i loro figli (bambini o adolescenti) sui campi di calcio “fate solo i genitori” fece il pieno di like. Evviva Dio, sembrava fosse ormai assodata la giusta mentalità dello sport “che deve essere divertente, positivo ed eccitante”. Invece no. Almeno così non è per tutti (forse per troppi).

Impegnata a seguire le prove atletiche di un figlio che con il pallone ha scelto di trascorrere l’altra metà del suo tempo dopo la scuola, mi sono resa conto che sugli spalti (o finanche durante le sedute di allenamento) ci sono genitori (?) che con troppa facilità dimenticano il loro ruolo assumendone uno che è opinabile per modi, competenze, educazione e formazione culturale.

Chi scrive ha un figlio di 13 anni. Appassionato di calcio, lo pratica da quando di anni ne aveva soltanto 4, divertendosi. Come genitrice a lui ho provato (e dico: ho provato) ad insegnare prima di tutto ad essere un buon tifoso (rispettoso di regole e avversari). Poi, ho accompagnato le sue scelte sportive (prima giocose, oggi agonistiche) diventando – naturalmente – la sua prima tifosa. Sì, la sua prima tifosa. Ma null’altro.
Con altri genitori ci ritroviamo a sostenere i nostri ragazzi (nel pieno concetto di squadra), ad appoggiarli e a seguirli quando è possibile anche nelle loro trasferte. Li accompagniamo nei loro sogni restando un passo indietro e provando soltanto a suggerire loro di “crederci sempre” e tentando l’insegnamento del “saper perdere perché la vita è spesso fatta di sconfitta… e qualche bel traguardo”. Ma soprattutto – di concerto anche con le Scuole calcio di appartenenza – continuatamente suggeriamo le buone pratiche di comportamento (che sono le stesse fuori e dentro il campo) e che girano attorno ad una sola parola: rispetto.

Quando recentemente ho assistito dagli spalti dei campi minori della nostra regione a match di Esordienti, Allievi, Giovani e Giovanissimi che si contendono i loro campionati tra gioco ‘serio’ e divertimento, molti si sono ritrovati a fare i conti con una realtà che, anche chi scrive, credeva soppiantata da quando, qualche anno fa, i giornali nelle pagine dedicate alla cronaca raccontavano di tafferugli, insulti, valutazioni urgenti sulla possibilità delle società di applicare una sorta di “Daspo” ai protagonisti e agli autori di quei fatti incresciosi: i genitori.

Follia” mi dicevo. “Certe cose ormai non accadono più”, rispondeva il genitore più ottimista. E invece no. In questi mesi di gare particolarmente sentite perché apripista alla crescita atletica dei ragazzi, si è assistito a scene di cui ci si spiace soltanto per i giovani atleti in campo. Loro, purtroppo figli di quei momenti e che da quei momenti impareranno nulla.

Madri urlanti col dito medio contro questo o quell’avversario (dell’età del proprio figlio). Padri in delirio contro l’arbitro e che anche lui come i loro figli, sta provando ad imparare una professione e ha soltanto qualche anno in più dell’atleta in campo (di 13 o 14 anni) ma che viene ignobilmente additato come “co…ne”, con il padre dello stesso che è lì, al fianco dei genitori esagitati che – anche lui – assiste al match di esordio del figlio come giudice di gara ma stretto in una angolo non replica una sola parola al vomitevole spettacolo (contro suo figlio).
Genitori che vanno finanche contro le indicazioni dei mister in campo urlando ai loro figli cosa devono fare, dove giocare, come giocare e se mandare “a quel paese” l’avversario che ha sgambettato mettendolo a terra.

Le Scuole calcio sono “abituate“. “Ormai combattiamo da anni contro questo delirio ma è inutile” dicono tutte all’unisono.
L’ingerenza delle famiglie, spesso diseducativa, è un fenomeno di tali dimensioni che finanche chi scrive ne è rimasta sconcertata. E’ normale avvertire l’adrenalina della vittoria e la tristezza per una sconfitta. Chi non la sente! Ma un genitore dovrebbe rimanere sempre e solo un genitore, un tifoso e null’altro.

Non si può pretendere, come accade ogni sabato ed ogni domenica, di interpretare il ruolo di capo allenatore, direttore sportivo, preparatore atletico, fisioterapista, mental coach e giornalista, tutti ruoli di cui altri sono chiamati ad occuparsi con qualifiche e competenze e che nulla hanno a che vedere con il ruolo di genitore (a cui fra l’altro mai nessuno si sostituirebbe) che rappresenta altri riferimenti ed altre certezze.

Genitori (per fortuna non tutti) che insegnano una visione sbagliata dello sport a ragazzi entusiasti, almeno fino a quel momento. Non sarebbe sbagliato se si adottasse la regola (come accaduto altrove) di applicare il “daspo” ai genitori fuoriluogo. E non sarebbe sbagliato se tutte le società lo facessero al di là di questo o quell’atleta che qualora questo accada decidesse (su imposizione dei genitori) di andare in una scuola calcio piuttosto che in un’altra.

“Il genitore utile al calcio e allo sport è colui che rispetta il ruolo dei tecnici e quello del proprio figlio”, ammettono i responsabili delle società sportive. Lo sport è prima di tutto rispetto, educazione, valori, voglia di stare insieme, accettazione dei propri limiti, fratellanza, amicizia e sana competizione. Già: sana competizione, è bello ribadirlo.

commenta