La storia

Commando, amore e nostalgia: il tifo nel libro di Di Tota “Ho visto i lupi volare”

Il giornalista campobassano e i racconti inediti della curva: "Dovevo suonare il rullante, ma mai se non era allineato col dischetto del rigore"

Quando racconta quello che adesso io proverò a scrivere in queste righe, per un attimo resto sorpresa. Sorrido e penso: “Giovanni Di Tota, ti stai prendendo gioco di me?”. Risposta perentoria: “Assolutamente no. Davvero ero componente del Commando Ultrà Campobasso quando i Lupi su quel campo sì correvano ma soprattutto volavano. Ed ero la figura incaricata al rullante. Ero uno di quelli che quasi ogni giorno andava a spiare al Romagnoli a che punto era l’erbetta del campo” ammette con una delle sue trascinanti risate.

Ho visto i Lupi volare

Rimango ancora incredula. Provo a giocare un istante con la fantasia: immagino Giovanni Di Tota, professionista che tutti conosciamo in giacca e cravatta, austero e rigoroso, impegnato a raccontarci – durante i tg di Telemolise – i fatti della regione, mentre con la sciarpa del Commando allacciata ai fianchi, sulla linea del dischetto del rigore suona il rullante durante le gloriose avventure calcistiche di quel Campobasso impegnato contro Milan, Atalanta, Fiorentina, Juventus…

Un istante di fantasia che si trasforma in concretezza quando Giovanni Di Tota mi mostra una foto, è la stessa che oggi rappresenta la copertina del suo libro “Ho visto i lupi volare” (Creativin edizioni).

Sì – penso – è lui: quel ragazzo che si erge sul gruppo immenso di tifosi mentre stringe la sciarpa del Commando e tiene lo sguardo verso i lupi che volano, è il mio amico Di Tota.

“Ascolta Giò  (Di Tota è un collega ma è prima di tutto un amico e mi piace chiamarlo così) perché non scrivi un libro? Sono troppo curiosa di sapere che succedeva in quegli anni stando dalla parte dei tifosi organizzati sotto un’unica bandiera e che allo stadio erano sincronizzati come un orologio svizzero. Ti prego”. Lui sorride. E’ dubbioso e secondo me mette in discussione finanche la serietà della mia proposta.

Ma qualche giorno dopo, butta giù alcune righe. Le stesse che passeranno nelle mani delle persone a lui più care con l’esito che spacca: “Giovanni, continua. Questa idea è bellissima”.

Ed eccolo, il libro a firma di Giovanni Di Tota: “Ho visto i lupi volare” (Creativin Edizioni). Un racconto ricco di aneddoti, pagine di storia degli spalti che si leggono tutte d’un fiato. Che appassionano e fanno sognare. Capaci di offrire alle nuove generazioni un’impronta identitaria del tifo campobassano che era coeso e compatto. Come una squadra. Il dodicesimo uomo in campo che spaventava  l’avversario ancora prima di iniziare come l’Haka degli All Blacks.

Il suo libro lo ha presentato sabato sera alla Gil davanti ad una platea gremita. C’erano tutti: nomi vecchi e nuovi del Campobasso Calcio, le istituzioni politiche e cittadine. C’erano i tifosi: quelli appassionati e quelli che probabilmente dopo aver letto e rammentato quei momenti gloriosi torneranno ad appassionarsi al tifo rossoblù e alla squadra del capoluogo.

Al tavolo con Di Tota c’è la giornalista  Sabrina Varriano che invita Giovanni a raccontarsi e a raccontare. Le domande sono vivaci e alimentano per tutta la sera curiosità ed interesse. Lo spoiler del libro che avviene tra Giovanni e Sabrina, piace. Ancor di più piacerà il libro.

Giò, ma allora questa idea?” gli chiedo dopo il lancio ufficiale del volume. Lui ride, poi ribatte: “Intanto vorrei precisare che si tratta di un libro senza alcuna velleità letteraria. Io ho soltanto ascoltato il suggerimento di una collega, la conosci? (ride)… Bene, ho ascoltato l’invito di questa collega che è particolarmente curiosa ma soprattutto era incredula rispetto al mio passato da ultrà negli anni d’oro (ride ancora). Inizialmente, rispetto alla proposta di scrivere un libro, ci ho scherzato su. Poi, un giorno, ho buttato giù dieci righe, le ho fatto leggere a coloro che mi sono più vicini e mi hanno detto: bellissima idea. Vai avanti”.

Ed eccoci alla “prima”. Sei emozionato?

“E’ una bella soddisfazione. Alla Gil c’erano tutti e ognuno mi ha espresso il proprio apprezzamento. Molti hanno già chiesto il libro (che attualmente si vende da Viglione e Molise Scuola) e io sono emozionato nel sapere che i miei racconti da tifoso che iniziano nel 1973 quando avevo 10 anni fino ai miei 18/19 anni siano stati così ricchi da poter essere racchiusi nelle pagine di un testo”.

Quegli anni hanno segnato la storia del Campobasso Calcio per sempre.

“E’ stato il periodo dei risultati più importanti che abbia mai raggiunto il Campobasso. Parliamo di un Donadoni oggi commissario tecnico della Nazionale, di Vialli, Baresi, Maldini, Tacconi, Zenga… nomi che hanno fatto la storia del calcio italiano e che sono stati qui al Romagnoli. Quindi poter essere stato un ultrà in quegli anni è stato un privilegio”.

Commando Ultra Campobasso. E tu suonavi il rullante…

“Mi fu detto di farlo, avevo già dimestichezza con lo strumento grazie agli insegnamenti di Saverio Ialenti e nel campionato 80/81 chiesero a me di suonarlo. Iniziò la mia avventura…

I Cuc dicono che eri particolarmente pignolo in questo, come dire, incarico da tifoso…

(Ride) “Sì. Pretendevo che il mio rullante fosse montato perfettamente in asse alla linea del centrocampo quando eravamo nei distinti. In curva invece pretendevo che fosse perfettamente in linea con il dischetto del rigore. Altrimenti non si suonava”.

Perché?

“Ogni tifoso ha i suoi riti scaramantici. Queste due pretese appartenevano a quei riti”.

Ci sono altri?

“Ogni volta che andavo allo stadio mi sono sempre vestito allo stesso modo: pantaloni bianchi, maglia blu della Fila e sciarpa ai fianchi. Che piovesse, nevicasse, che ci fosse il sole, l’outfit era quello”.

Quell’abbigliamento doveva nascere da qualche episodio storico sul campo…

“Nasceva dal fatto che la prima partita in serie C contro la Nocerina ero vestito così e vincemmo 1-0 con il gol di Motta. Da quel momento non ho mai più cambiato. Come scrive Gianni Brera esiste l’Eupalla (la divinità che protegge e ispira il gioco del pallone) e anche noi avevamo i nostri riti propiziatori”.

Raccontane qualcun’altro.

“Guarda, nessuno di noi sapeva bene le scaramanzie dell’altro ma eravamo consapevoli che ognuno di noi le avesse perché i gesti preparatori prima della partita erano puntualmente sempre gli stessi: il tifoso che accendeva la sigaretta, allo stesso posto, con lo stesso numero di tiri prima del fischio d’inizio. Il ‘finto’ diverbio che accadeva sempre tra me e il solito tifoso che mi urlava contro perché suonavo il tamburo prima della partita. Erano circostanze che dovevano ripetersi perché ci avevano portato fortuna e, come dire, andavano ossequiate”.

Cuc 1981…

“Che abbiamo ricostituito 40 anni dopo. Due mesi fa ci siamo ricostituiti. Noi di quegli anni, ci siamo ritrovati sotto la stessa sciarpa felici di vivere con la generazione di oggi quello che noi abbiamo vissuto ieri. Ho rimesso piede allo stadio dopo 35 anni e forse non ho la stessa passione di allora ma sostengo volentieri la città rossoblù. E gioisco e soffro con la squadra oggi come allora”.

Della curva di oggi invece, che pensi?

“Che ci siano tanti giovani appassionati è un’emozione unica. Ovvio che le dinamiche sono cambiate, i cori sono cambiati, il modo di tifare è cambiato. Però una cosa devo dirla e con la mia esperienza credo che un suggerimento posso darlo: la squadra merita un tifo che sia organizzato in modo più coeso, compatto e unito. Spero che i gruppi del Campobasso lo capiscano. Forse hanno interpretato male anche la nostra presenza sugli spalti come se volessimo egemonizzare l’attenzione su di noi, non è così. Non vogliamo sopraffare, anzi! Vogliamo essere uniti in curva perché proprio quella curva può essere un sostegno alla squadra”.

Questa sera doveva essere qui Antonio Pasinato, che ha dovuto disdire per un impegno improvviso, ma proprio sui tifosi ti ha chiesto di lanciare un messaggio, o sbaglio?

“Prima di tutto mi ha chiesto di salutare tutti i tifosi del Campobasso e poi ha voluto che rammentassi il suo pensiero sul fatto che il tifo del Campobasso è tra le cose più importanti perché ‘quando giocavamo al Romagnoli prima di scendere in campo sapevamo già di essere 1-0: il primo gol lo segnava proprio quella tifoseria. Unita. Compatta. Come fosse un muro invalicabile’. Ecco Pasinato mi ha detto questo”.

Non sveliamo tutto il libro, ma raccontaci qualche altra avventura dei tifosi…

“La neve contro il Livorno. Quel giorno non lo dimenticherò mai”.

Cosa accadde?

“La neve coprì il Romagnoli: c’erano almeno 40 centimetri. Il regolamento prevede che nelle 24 ore prima della partita, se non nevica, la Società deve liberare il campo, pena la sconfitta a tavolino. Beh, quelle 24 ore prima del match contro il Livorno non cadde un solo fiocco di neve e quindi c’era il pericolo serissimo che si potessero dare il 2 a 0 a tavolino con sconfitta del Lupo. Verso le 10/10.30  si riunirono allo stadio un centinaio di tifosi dopo un appello alla radio di Franco Mancini che era nella dirigenza e ognuno, con i propri mezzi a disposizione, si preoccupò di pulire tutto il campo. Pensa che finimmo mezz’ora prima del fischio d’inizio e gli altri tifosi che stavano già riempendo gli spalti facevano il tifo per noi. Sta di fatto che vincemmo 2-0 e ricordo anche che il capitano Scorrano – aneddoto che mi svelò lui in un’intervista – davanti all’operato degli ultrà disse alla squadra ‘Oggi dobbiamo dare il triplo del dovuto’. Il primo gol fu proprio il suo. Giornata memorabile”.

I nostri giovani stanno vedendo i lupi volare. Per ora c’è la serie C ma le premesse per fare grandi cose ci sono tutte. Tu, vecchio Cuc, che pensi?

Appunto: ci sono tutte le premesse. Per volare e non smettere più”.

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