Termoli

Transizione: la parolina magica che diventa inganno spiegata dall’ideatore del Festival del Sarà

L'INTERVISTA - Antonello Barone spiega la scelta di intitolare la sesta edizione del Festival in programma venerdì e sabato in piazza Duomo allo "Stato di transizione”.

Nel vocabolario della lingua italiana, alla voce transizione, si legge: “Passaggio da una situazione a un’altra, sia in senso statico, come condizione intermedia definita, che in senso dinamico in quanto implichi l’idea di un’evoluzione in atto”. Per Antonello Barone, esperto di comunicazione e ideatore del Festival del Sarà – Dialoghi sul Futuro che quest’anno celebra la sua sesta edizione in piazza (Duomo, a Termoli) in un anniversario cruciale per il mondo (10 e 11 settembre 2021), transizione è la chiave di volta del momento attuale, il codice di codifica del presente e l’input per immaginare, il più realisticamente possibile, il futuro. Non è un caso se transizione è la parola chiave del Festival che – nemmeno questo è un caso – quest’anno può contare sulla partecipazione di un ospite che da anni lavora alla frontiera del cambiamento per cogliere gli sviluppi tecnologici in tempo reale, al punto da essersi guadagnato la fama di vero e proprio “futurologo”.

alec ross

Alec Ross, consigliere dell’amministrazione Obama per l’Innovazione e docente alla Columbia University sarà tra gli ospiti del Festival del Sarà, per il quale i posti a sedere (90, con green pass) sono sold out già da giorni, e per entrambe le serate. Le sue analisi economiche, le storie di innovazione concreta raccolte dai quattro angoli del pianeta – dalla ricerca genetica alla cybersicurezza alla rivoluzione dei Big Data – sono un elemento prezioso per investire sulle decisioni che ognuno di noi dovrà prendere nei prossimi vent’anni: cosa studiare (e cosa far studiare ai nostri figli)? Che lavoro scegliere? Come investire i nostri risparmi?

Domande da un miliardo di dollari, alle quali l’evento termolese tenterà di dare una risposta affrontando la chiave di volta della transizione nelle sue declinazioni: digitale, energetica, culturale e alimentare.

Antonello Barone, ideatore del Festival del Sarà, si torna finalmente in piazza per parlare di futuro. La parola prescelta per questa sesta edizione è transizione. Perché?

“Sono passati 20 anni dal G8 di Genova e dall’11 settembre. Due eventi che hanno segnato la nostra generazione. Vent’anni dopo possiamo verificare che forse su entrambe le vicende il pensiero dominante di allora era nel torto. Chi è nato negli anni Settanta nell’occidente ricco ha difficoltà ad ammettere che per diversi decenni alcune voci minoritarie, zittite, irrise, offese, ostracizzate, in realtà avevano evidentemente qualche ragione nel ritenere che la democrazia non si impone con azioni militari, ma è un processo prima che economico innanzitutto culturale e in tema di sostenibilità ambientale, sull’affermare che l’impatto dell’uomo sul clima è reale, sulla necessità di modificare il modello di sviluppo economico, energetico, industriale. La ragione di quelle voci minoritarie, alcune delle quali sfilavano a Genova nel luglio del 2001 e che sono state annientate dalla violenza di Stato prima e dimenticate dall’apparato mediatico poi, è stata peggio che soffocata. Quella voce è stata carpita, rubata, addomestica. Dunque tradita dal potere. Partendo da queste riflessioni è nata la scelta di intitolare questa edizione del Festival “Lo Stato di transizione”, per porre l’accento su come il potere, lo Stato, a volte si appropri delle parole chiave di chi ha combattuto una politica sbagliata”.

Transizione è dunque una parola rubata e tradita?

“Quando le classi dirigenti politiche ed economiche hanno compreso la portata decisiva del tema del cambiamento climatico e che il loro negazionismo e attendismo erano inutili di fronte all’evidenza degli eventi hanno sentito la necessità di appropriarsi delle parole chiave che aprono la porta del futuro del pianeta: cibo, sostenibilità ambientale, responsabilità sociale, energie rinnovabili. E con la tecnica più confacente al potere e anche più efficace, quella dell’uso esperto e creativo della semantica, hanno costruito nuovo senso attorno alle parole d’ordine usate da quelli che consideravano profeti di sventura. Quelle stesse parole che solo trent’anni fa li inchiodavano alle loro responsabilità e ora invece diventano il passepartout per proseguire a dominare l’immaginario collettivo e dunque il mercato, non solo economico, ma anche politico. Non è un caso se transizione è il nuovo mantra delle classi dirigenti degli Stati occidentali. La parola magica alla quale tutti i cittadini e i consumatori della parte più evoluta industrialmente del mondo, devono rendere un tributo”.

Una parola che ritiene ingannevole? 

“La transizione, da transire, passare, significa passaggio. Spesso di stato. Dunque è il modo evoluto per indicare un momento di passaggio, che non riguarda un singolo, ma l’intera società. Il passaggio presuppone un percorso, un movimento a volte anche lento, transitorio, graduale e le masse in movimento hanno bisogno di guide, per non creare il caos, il capovolgimento, la rivoluzione. Dunque il tema della transizione ambientale in un mondo che da industriale si è trasformato in digitale è divenuto essenziale e non stupisce che ben due dicasteri della Repubblica italiana ora utilizzino il termine “ministero della transizione”, ecologica e digitale, per definirsi. Questa lentezza di movimento ovviamente non può essere condivisa da chi grida da decenni che l’Apocalisse è vicina. Il passo lento non è accettabile per loro. Eppure resta da chiedersi come le masse, nonostante prove evidenti e continue, possano ritenere che chi ha prodotto lo stato di pericolo possa divenire anche il leader credibile del nuovo movimento di transizione verso una società altra, più sostenibile ed equa”.

Se a suo avviso il potere gestisce questo passaggio in modo troppo lento, e dunque inadeguato, cosa ritiene si debba fare per rendere il futuro possibile?

“La vera transizione non riguarda evidentemente le masse, ma riguarda i comportamenti dei singoli individui. Il vero cambiamento, il vero passaggio di stato, il vero scarto non transitorio, ma rivoluzionario, è nella capacità del singolo di farsi carico delle scelte che modificano la propria realtà e quella circostante: scelte d’acquisto, scelte di voto, di stili di vita. Quando non si vuole cambiare, quando ci si affida alla transizione che spesso è compito demandato agli altri o allo Stato che ne acquisisce addirittura la proprietà semantica facendola divenire burocratico termine di auto-definizione e non lo si vive come un atto individuale, ecco che può apparire più semplice scegliere di affidarsi a leader che si appropriano di parole che non vivono, non sentono vere, non rendono concrete con le loro azioni. La parola alla quale stiamo affidando la salvezza del pianeta e della specie umana forse tradisce lo scopo, perché non si transita, non si passa, da un pericolo verso la salvezza, ma dal pericolo si fugge, da un pericolo si scappa, si corre via. Transitare acquieta gli animi, non impone veri sacrifici ai singoli, rinvia il senso del pericolo”.

Riallacciandomi alle parole di Alec Ross, che sarà tra i suoi ospiti sul palco in Piazza Duomo a Termoli, cito che “Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione”. Ma siamo in Italia, non esiste il rischio di fare come diceva il protagonista del gattopardo: ‘E’ necessario che tutto cambi se vogliamo mantenere le cose come stanno’?

“Guardi cosa accade sul tema energetico: appare stravagante che proprio nella settimana nella quale si apre il primo dibattito pubblico istituzionalizzato ed organizzato dal governo per individuare il sito dove stabilire il deposito unico nazionale delle scorie radioattive in Italia, il ministro della transizione ambientale torni a parlare di nucleare. O è schizofrenia o una sapiente volontà di utilizzare questa fase di transizione per ridare voce a vecchi protagonisti del sistema. Il cambiamento, se resta solo una parola vuota, a volte più che essere una scorciatoia per raggiungere il futuro in realtà è il modo per far tornare indietro la società”.

Ha fiducia nel futuro?

“Stiamo vedendo cadere diversi veli. L’immaginario collettivo sul quale è stata edificata la narrazione dell’occidente si sta sgretolando. Il futuro è un luogo dove si desidera andare, e lo si immagina migliore, perché si è disposti a fare sacrifici nel presente per renderlo tale. Dopo alcune generazioni che hanno vissuto l’attimo e il presente, occorre ridefinire una gerarchia di valori che sappia traslare le priorità al dopo rispetto all’ora. Non è una operazione culturale semplice. E questa parte di mondo appare sprovvista, nonostante le risorse economiche, della forza demografica e di un supporto ideologico condiviso per realizzarla”.

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