San severo e la rana bollita

“Tacete! Non siete santi e poi portiamo i nostri soldi in Molise”: la reazione di San Severo tra inerzia, paura e campanilismo

Dopo il nostro articolo sui traffici illegali di San Severo, i delitti e le estorsioni a 40 chilometri dal Molise la cittadina pugliese è in rivolta. Per molti il contenuto è denigratorio ma respingiamo al mittente questa accusa confidando nel buonsenso di tanti lettori che hanno condiviso la cronaca di questi fatti attenzionati dall'Antimafia foggiana.

Se una rana viene gettata nell’acqua bollente farà un salto per scappare via. Ma se quella stessa rana viene cotta lentamente, prima in acqua fredda, poi tiepida, poi sgradevolmente calda e infine bollente, sarà talmente indebolita da non riuscire più a salvarsi. Finendo morta stecchita. Anzi, bollita.

E’ il principio teorizzato dal filosofo americano Noam Chomsky per descrivere quelle società, quei popoli che accettano passivamente degrado e vessazioni deresponsabilizzandosi di fronte alle scelte.

Ed è quello che accade a San Severo secondo la significativa testimonianza di una giovane mamma che lì è nata e cresciuta.

Francesca – la chiameremo così – osserva il degrado attorno a lei e quel senso di passività della sua comunità con occhi nuovi: lei vive a Campobasso da diversi anni, nel capoluogo molisano ha messo su famiglia e poi ha studiato fuori quindi aveva già visto altre realtà. Ma quando torna a casa, dai suoi familiari, è costretta a constare “che ciò che per voi tutti è sconvolgente per la gente che qui vive e lavora è la normalità e non hanno un vero e proprio choc neppure di fronte a fatti criminali come quelli che avete raccontato anche voi sulle pagine del vostro giornale”.

Il riferimento è all’articolo di Primonumero sui traffici illegali e le estorsioni che avvengono a 40 chilometri dal Molise.

Narcotraffico, racket, armi e sangue a 40 chilometri dal Molise: terra di mezzo dove lecito e illecito si confondono

Articolo che ha scatenato svariate reazioni tra la gente sanseverese che non solo è geograficamente molto vicina alla nostra regione ma anche piuttosto presente, per ragioni di lavoro o turistiche, in basso Molise.

Il dibattito ha preso in certi casi una piega anomala diventando una specie di rivolta sui social alimentata da persone offese da una presunto contenuto diffamatorio dell’articolo.

La signora Mona Palmi, per esempio, ci ha mandato una mail non tanto per negare quanto è stato scritto sulle guerre di mafia combattute a colpi di kalashnikov e le lunghe scie di sangue che costringono, talvolta, le persone ad aver persino paura a mettere il naso fuori casa. Nulla di tutto questo è stato negato anche perché – lo ribadiamo se ce ne fosse bisogno – è la Dia istituita a Foggia un anno e mezzo fa e non certo noi cronisti a riferire di infiltrazioni nel tessuto economico e sociale, delle estorsioni, del riciclaggio di denaro sporco, del narcotraffico e dei pericolosi legami dei gruppi sanseveresi con le cosche calabresi e i clan camorristici.

Ma per la signora, come per tante altre persone in rivolta per un presunto onore offeso, dovremmo tacere i fatti “perché molti di noi portano molti soldi nella vostra regione soprattutto nel periodo estivo”.

E anche perché “i delinquenti gli avete anche nella vostra regione e non ne parliamo degli zingari!”. Poi la richiesta – che respingiamo al mittente – di scuse e rimozione dell’articolo che ha fatto tanto arrabbiare i sanseveresi.

Per fortuna se da un lato ci sono reazioni di questo tenore, dall’altro c’è anche chi (e non sono pochi neppure quelli) ammette che quanto raccontato da Primonumero è una fedele ricostruzione di uno scenario che preoccupa l’alta Puglia e il Molise a due passi da lì. E non soltanto per efferati fatti di cronaca che destano clamore mediatico. Ma anche per quell’assenza di reazione e di opposizione a un malcostume che si è gradualmente innestato nei comportamenti e nelle coscienze dei sanseveresi. Inermi di fronte a quattro ragazzini senza casco sullo scooter. Ai monopattini che sfrecciano per le strade come fossero i padroni assoluti, al semaforo rosso che nessuno rispetta.

“Ho difficoltà a spiegare a mio figlio – che educo secondo regole e consuetudini – perché a San Severo fare così è normale”.

san severo parco

Per fortuna c’è anche un’altra normalità, questa sì normale per davvero,  che racconta di cittadini armati solo di pazienza e buona volontà per strappare al degrado il parco Baden Powell, un polmone verde inaugurato nel 2015 tra i palazzoni delle vie Gentile, Guareschi e Martiri di Cefalonia vittima di numerosissimi atti vandalici.

L’ultima pulizia straordinaria dei volontari di “San Severo Siamo noi” risale a meno di tre mesi fa. Questo gruppo, molto attivo anche su facebook, raccoglie (senza censure) lettere di cittadini, segnalazioni, fatti di cronaca e di microcriminalità, adozioni di animali, iniziative e tradizioni. E ha condiviso anche il nostro articolo “forte e duro” raccogliendo moltissimi commenti. Molti, purtroppo, ne fanno una questione di campanile. Altri, come la signora Lidia Colangelo sintetizza efficacemente così: “Mi scandalizza e mi fa arrabbiare la delinquenza non chi la denuncia”.

 

 

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