Campobasso

La chiesa, la pineta, la storia: San Giovannello, il cuore antico del capoluogo

Molto spesso al centro delle cronache locali per episodi di inciviltà e degrado, la collina e l’edificio sacro posto alla sua sommità conservano in realtà tracce di un patrimonio culturale collettivo straordinariamente importante: dalle prime attestazioni del 1551, agli elementi storiografici dell’omonimo paesino (1160), la pineta rappresenta un luogo ricco di tradizioni folkloristiche e devozionali.

Emisferi crepuscolari. Il sole tramonta dietro l’antica collina. Ombre. Spariscono leggeri i contorni, la luce si fa più fioca. Immagini da un altro tempo, brividi rincorrersi su pelle d’oca. Ricordi, silenzi, volti. Io bambino, mia nonna e la sua fronte serena. Le caramelle strette nelle mani: “Solo una, tra poco si cena”. Nostalgia, memorie come incise nella pietra: ieri è ancora qui.

San Giovannello: radici sotterranee nell’atavico cuore di Campobasso. La storia che si dibatte per non essere dimenticata. Il “paese fantasma”, l’orgoglio risorto dal sisma fatale. Un cammino lungo i sentieri degli avi: spiritualità e tradizione, culti e leggende, le nobili epopee. La chiesa a presidio dell’altura, i labirinti verdi e la pineta, il santo in processione, preghiere e folklore: l’arte in paradigmi evocativi. Mistero custodito, amori fugaci; tenerezze schiuse su labbra tremule. Interiori tormenti, desideri consultano astri arcani, giovani lacrime di pianti mai rivelati; l’imbarazzo dei primi baci ad annaspare tra le fibre sintetiche di plaid invecchiati.

Una data lascia il solco sulla porta nuda del tempio: 1551. Il principio possibile della fiaba, di quell’omonimo paesino poi probabilmente raso al suolo da un terremoto, nelle polverose spire del tredicesimo secolo. Eppure, vera fine non fu. Luogo di sepoltura (dalla seconda metà del 1700) in scenari di possibili e dilaganti epidemie, prima, “archivio” di celebrazioni e preziose opere artistiche, poi, la collina di San Giovanello ha infatti continuato a rappresentare nel corso dei lustri una magnifica incarnazione identitaria oltre che un luogo di effervescente aggregazione sociale. Nelle sue gole segrete, nelle sue profondità più intime, vive per di più una interessantissima “regione occulta”: un passaggio sotterraneo che, tagliando silenziosamente la città sovrastante, dalla chiesa conduce fino ai piedi del Castello Monforte; un corridoio di elitaria salvezza, una via di fuga per i signori del tempo.

No; non solo degrado, dunque. Sarebbe ingiusto dimenticare che – più in là dell’inciviltà di ignobili balordi e dello spettro di una valorizzazione singhiozzante – tra quei sentieri si dipana un’eredità ricchissima, una costola arcaica del capoluogo; una parte irrinunciabile della nostra appartenenza culturale. Bellezza maestra, insurrezione sentimentale. Un tesoro da custodire, (ri)scoprire, difendere; una promessa da rispettare, come fosse un patto di sangue con questa città. Una torre sacra, che scruta tra le sabbie del tempo i segreti della terra e il poema della nostra storia. Una storia che continuerà anche quando, non più bambini, vedremo per l’ultima volta il sole tramontare dietro quella collina. E sul colle del nostro pellegrinaggio terreno.

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