Salute

L’80% di chi va in Terapia Intensiva per covid non ha fatto il vaccino. Ora si rischia l’“effetto paradosso”. Burioni: “Così si può fregare il virus”

Il quadro nazionale delineato nel report dell’Iss riferito al periodo 25 giugno – 25 luglio (l’ultimo disponibile) dice che su 150 ingressi in terapia intensiva 123 erano non vaccinati. In Molise, al Cardarelli, ci sono tre pazienti. Due in Infettive (una 75enne vaccinata e un 25enne non vaccinato) e una in Rianimazione, una 36enne non vaccinata. Ma sbagliato, per la scienza e studi alla mano, dedurre che i vaccini non sono efficaci. “E’ il contrario – ha chiarito il virologo Roberto Burioni – è ora dobbiamo evitare che il virus sviluppi una mutazione capace di bucare i vaccini. Come? Vaccinando tutti il prima possibile”.

La domanda che la maggior parte dei cittadini, anche molisani, si pone in questo momento particolare che sembra segnare una sorta di spartiacque nell’epidemia tra un “prima dei vaccini” e un “dopo i vaccini” è questa: chi ha bisogno di cure ospedaliere perchè ha contratto l’infezione in forma seria e non può essere curato a casa, è vaccinato oppure non è vaccinato? E in che percentuale i vaccinati finiscono in ospedale e in Terapia Intensiva?

Domanda non semplice, alla quale si può rispondere in dettaglio solo guardando la situazione ospedale per ospedale. Noi abbiamo il Cardarelli di Campobasso che è l’unico centro dedicato al trattamento del Covid, almeno in questo momento in cui le ospedalizzazioni sono drasticamente calate. In questo momento sono tre le persone in ospedale. Due sono in Malattie Infettive o sub intensiva: una donna di 75 anni vaccinata con ciclo completo di Ururi e un 25enne di Campobasso non vaccinato (neanche prima dose). In Intensiva, in condizioni ben più gravi, c’è una 36enne di Guglionesi non vaccinata.

Per quanto riguarda l’Italia, l’unica fotografia complessiva attendibile è quella dell’Istituto superiore di Sanità nel suo report mensile (riferito a luglio 2021), che delinea il quadro così: su 150 ingressi in terapia intensiva dal 25 giugno al 25 luglio (dunque nel momento in cui la campagna vaccinale era arrivata a un alto livello di copertura della popolazione), 123 erano non vaccinati. La percentuale corrispondente è dell’82%. Tra loro 15 persone nella fascia 12-39 anni, 48 di età compresa tra i 40 e i 59 anni, altri 45 avevano tra i 60 e i 79 anni e 15 invece erano over 80. Tra i vaccinati con una dose o con ciclo completo, invece, si sono registrati ingressi quasi esclusivamente tra gli over 60: su 27 persone che hanno sviluppato una forma critica della malattia, infatti, solo 2, entrambi con due dosi fatte, avevano tra i 40 e i 59 anni. Il totale di coloro che sono finiti in terapia intensiva con il ciclo completo è di 16 pazienti, di cui 6 over 80.

La maggior parte dei contagi da Covid, delle ospedalizzazioni, dei ricoveri in terapia intensiva e di decessi di luglio si è verificata nella popolazione senza neanche una dose di vaccino. E nella fascia più a rischio della popolazione, quella degli over 80, il tasso di ricoveri tra i non vaccinati è 9 volte superiore a chi invece ha completato il ciclo di somministrazioni.

Sul fronte dei contagi la situazione, nello stesso periodo temporale, è questa: i casi di italiani che non hanno effettuato neanche la prima dose sono stati 40.729. Tra i vaccinati con ciclo completo si sono registrati invece 7.277 contagi. Infine, tra coloro che hanno ricevuto solo una dose i positivi sono stati 12.032. La differenza tra i numeri assoluti, ricorda ancora una volta l’Iss, andrà via via assottigliandosi fino a ribaltarsi per quello che viene definito “effetto paradosso”: quando le vaccinazioni raggiungeranno livelli molto alti di copertura infatti i casi si verificheranno quasi esclusivamente tra i vaccinati.

 

Tuttavia – ed è questo al momento il timore della medicina che le istituzioni cercano di scongiurare con la campagna di sensibilizzazione a tappeto al vaccino alla quale potrebbe seguire l’obbligo per determinate categorie – la presenza di non vaccinati, anche nel momento in cui i ricoveri sono ai minimi storici e la maggioranza dei contagiati se la cava con qualche giorno a casa col raffreddore, è responsabile del rischio di una mutazione capace di bucare i vaccini. Se tutti fossero vaccinati, non si darebbe al virus i tempo per organizzarsi con una mutazione che cerca di bypassare il vaccino.

Roberto Burioni

Lo ha spiegato, in maniera più chiara e lineare di ogni altro, Roberto Burioni, il virologo e divulgatore scientifico conosciuto oltre che nel campo dei virus (dei quali è uno dei maggiori esperti) anche sui social per interventi alla portata di tutti per la semplicità con la quale vengono espressi concetti di medicina e virologia. “Un virus – esordisce il medico in risposta a un utente sul profilo Facebook – passa da un animale all’uomo. Se succede nel mondo senza vaccini questo virus comincia a mutare e le mutazioni che conferiscono al virus un vantaggio (che è tipicamente costituito dalla maggiore contagiosità) cominciano a emergere e prendere il sopravvento. A un certo punto il virus arriverà alla massima contagiosità, infetterà la maggior parte degli abitanti della Terra e poi darà periodiche ondate epidemiche infettando i nuovi nati. Questo è accaduto per il morbillo, per la rosolia, per l’epatite A e per tanti altri virus: li abbiamo già trovati belli ed evoluti secoli o millenni dopo il loro passaggio all’uomo”.

“Il coronavirus ha fatto esattamente la stessa cosa: nel marzo 2020 è comparsa una prima variante che ha preso velocemente il sopravvento, poi è arrivata la variante Alfa (inglese) che si trasmetteva di più ed è diventata quella dominante, ora c’è la Delta che è ancora più contagiosa di quella Alfa e la sta velocemente soppiantando. Come conseguenza, il virus attuale è molto diverso da quello che circolava l’anno scorso e immensamente più contagioso”.

E allora cosa potrebbe accadere? “A un certo punto – ed è qui che il virologo entra nel discorso agganciato all’effetto paradosso – è arrivato in tempo record e nel pieno della pandemia per la prima volta nella storia dell’uomo un vaccino molto efficace. A questo punto la variante conveniente per il virus non è più solo quella che si diffonde di più, ma anche quella che riesce a infettare i già vaccinati. Una simile variante, in assenza di vaccino, non avrebbe alcun vantaggio e non emergerebbe mai. Ma in presenza di vaccinati potrebbe emergere. Quindi in un certo senso, è la vaccinazione a tappeto a creare le condizioni nelle quali un virus resistente potrebbe emergere. Però – spiega ancora Burioni – non fate l’errore di considerare questo un effetto negativo dei vaccini: senza vaccini la variante non potrebbe emergere semplicemente perché troverebbe la strada libera verso il contagiare tutto il mondo. Il vaccino è un ostacolo che il virus prova a superare con una variante”.

Ci riuscirà? “Questo non possiamo saperlo. Fino al momento in cui scrivo queste righe, una variante in grado di sfuggire al vaccino non è emersa, e nulla fa pensare che passa emergere, e se emergesse potrebbe essere meno patogena e meno contagiosa. Però siccome prevedere il futuro non rientra tra i compiti di uno scienziato, di più non si può dire. Che cosa si può invece dire con certezza? Che per generare varianti il virus deve replicarsi infettando le persone. A ogni persona infettata il virus fa un tiro di dadi che potrebbe andargli bene, generando una variante resistente al vaccino. Quindi, in realtà, la strategia migliore che abbiamo per impedire a varianti virali resistenti al vaccino di emergere è vaccinare tutti quanti il prima possibile in modo da impedire al virus di replicarsi e di provare a fregarci”.

Lo studio, relazioni e numeri alla mano, è pubblicato sulla prestigiosa Nature Medicine, firmato da Roberto Burioni e Eric Topol.

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