Arte e parole

Giacinto Occhionero, l’artista campobassano che piace anche a New York: “Ecco come ho rotto gli schemi”

La passione per l'arte è nata da ragazzino: "Io ho sempre disegnato e dipinto", racconta a Primonumero l'artista 46enne campobassano che dopo aver collaborato con Oliviero Rainaldi e Joseph Kosuth ha esposto nella galleria di arte contemporanea Kristen Lorello di Manhattan. Con Giacinto Occhionero abbiamo fatto il punto sulla sua produzione artistica e sul mondo dell'arte: "Non si conosce quasi più la storia dell'arte, si vive di presente e di social network", dice senza troppi fronzoli.

Gocce di colore metallico. Vernici industriali, solventi, smalti. Aerografi, ventilatori. Atmosfere, forme immateriali, paesaggi, ma anche simboli di guerra, corpi che si intrecciano in un groviglio di sessualità. Il plexigas, la tecnica del vetro. Spray painting su duralar. Tutto questo e molto altro è il mondo di Giacinto Occhionero, artista 46enne di Campobasso. Ha frequentato il liceo Scientifico ‘Romita’, dove compagni di scuola e professori osservavano con curiosità questo ragazzino che dipingeva quasi ovunque. Erano i primi segnali di quello che all’inizio era probabilmente solo una passione. Poi il trasferimento a Roma per frequentare l’Accademia delle belle arti, un Erasmus in Inghilterra. La capitale funge da trampolino di lancio di un’arte non convenzionale, per certi versi sorprendente.

“L’inscindibilità di forma e contenuto è il mio pregio ma anche il mio difetto”: disse tempo fa in un’intervista parlando di sè.

Secondo alcuni critici, la sua pittura trasmette “inquietudine, mistero. È materica e insieme fotografica, fatta di gelo, distanziamenti, evanescenze e bagliori soffusi”.

quadro giacinto occhionero

Un anno di lavoro con Oliviero Rainaldi, un murales al Palazzo delle esposizioni. Giacinto Occhionero ha anche lavorato con Joseph Kosuth, importante esponente dell’arte concettuale. E poi una serie di mostre personali a Roma, la partecipazione alla Biennale di Venezia, l’esposizione nella galleria di arte contemporanea Kristen Lorello di Manhattan (New York) sono probabilmente le tappe principali di un percorso che ha portato Occhionero a farsi conoscere nel nostro Paese e all’estero.

“Attualmente sto lavorando ad un ciclo pittorico che avevo iniziato alcuni anni fa e che ho ripreso durante la pandemia“, spiega l’artista a Primonumero in questa chiacchierata che avviene in una pausa di lavoro nello studio che “spero di lasciare entro l’anno per trasferirmi in uno nuovo”, ammette. “E’ un ciclo che va un po’ a contraddire la vecchia produzione: prima era più atmosferica, ora invece è incentrata su un groviglio di movimenti, contatto fisico. E’ un ciclo pittorico che ha a che fare con la sessualità, ma anche con la lotta. Tutto è molto celato, non si discerne immediatamente. Volevo mantenere un significato ambiguo e indeterminato”.

E’ cambiato l’elemento cardine dei dipinti di Occhionero: “Prima erano più circoli, ora sono gocce di colore, come se fossero drops. Non sono dei quadri di rappresentazione ma più legati al movimento, alla trasformazione, all’energia e anche il movimento è rappresentato più in chiave psicologica”.

Cosa vuol dire l’aspetto psicologico del colore?

“Solitamente noi accostiamo il colore rosa alle bambine, il colore blu ai maschietti. E questo è avvenuto perchè dopo la seconda guerra mondiale hanno iniziato a vendere le barbie nei supermercati americani. La scatola era rosa. E da qui si è iniziato ad accostare il rosa alle bambine e il blu ai maschietti. Ma io credo che ai colori non si possa dare un valore definitivo, oggettivo”.

In questi anni l’artista ha svolto una sorta di indagine sul colore: “Io lavoro su un lato dell’opera. E questo incrementa il riflesso. Se il colore è riflettente o metallizzato non hai una visione completa: cambia in base al punto in cui guardi. Il punto di vista diventa labile. E quindi diventano dei quadri relativi”. E’ la differenza tra il dipinto e una fotografia: “La pittura ha una capacità ottica che non ha la foto, giudicare la pittura dal punto di vista fotografico non ha senso”.

Quando ha capito che voleva dipingere, diventare un artista?

“Io ho sempre disegnato e dipinto. Credo che sia l’esperienza più diretta delle idee e della creatività perchè si usa la mano, che è collegata al cervello. Quindi si può seguire un’idea preconcetta o seguire l’istinto. Nella pittura si può mediare l’aspetto istintivo e l’aspetto riflessivo. Questo ti porta ad avere un’insicurezza ma anche a considerare la pittura come se fosse una porta aperta, in cui ci sono degli stimoli che possono essere anche sbagliati. E poi è l’espressione più antica che esista, con le prime tracce trovate sin dalle grotte del Paleolitico”.

Lei espone sia a New York che in Italia. C’è differenza tra il mercato italiano e quello americano?

“Questo è un mondo abbastanza inquinato: ci sono gallerie a Roma in cui espongono persone provenienti da famiglie ricche che poi garantiscono anche l’acquisto delle opere. Invece a New York sei un numero come altri ed emergi se realizzi un lavoro che si distingue dal resto. Per fare questa distinguibilità non puoi lavorare per moda”.

Cosa vuol dire dipingere per moda? 

“Oliviero Rainaldi, con cui ho lavorato un anno, mi ha aiutato a capire come essere me stesso con l’arte, a non seguire la moda. La moda si serve dell’arte per fare pubblicità e sono nate una serie di Fondazioni delle grandi aziende di moda (Prada, Trussardi, Fendi). Ma l’arte non deve omologare il gusto, ma spinge l’immaginario collettivo comune a vedere le cose in modo diverso, a rompere gli schemi”.

Cosa sta succedendo?

“Si assiste ad un’omologazione, rispetto agli inizi dell’Ottocento la presenza degli artisti è aumentata di 100 volte, tanti fanno gli artisti perchè si annoiano. E questa inflazione ha creato un problema per gli storici che non riescono a creare punti di riferimento validi, dei canoni di storicizzazione. Attualmente non si conosce quasi più la storia dell’arte, si vive di presente e di social network. E questo ha abbassato anche la qualità delle opere”.

(ph: courtesy Lorenzo Abbate)

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