Testimonianze

Hakimi, il fabbro afghano fuggito da Kabul. “Temo per mia moglie e mia figlia, donne sole in una città in mano ai talebani”

Sette anni fa la rocambolesca fuga a piedi tra le montagne di Hakimi dalla capitale afghana: 36 anni, fabbro a Campobasso con un regolare contratto di affitto nel quartiere popolare di San Giovanni dove vorrebbe portare la sua famiglia da un paese che è nel caos. "Sono sole e possono essere prese dalle milizie talebane. Ho paura anche per i miei fratelli, due di loro erano poliziotti al servizio del governo precedente (quello appoggiato dalla truppe americane in ritirata) e ora li stanno massacrando".

La più grande paura di Hakimi in questo momento è per il suo “amore”, come chiama la compagna, e per sua figlia di nove anni.

“Sono due donne sole in una città che da sabato è in mano ai talebani. Senza un uomo accanto, senza protezione, possono prenderle per fare loro cose brutte… tu capisci… tu sai cosa intendo. Io li ho visti i talebani agire venti anni fa, sono come selvaggi e oggi danno la caccia a chiunque abbia sostenuto il regime precedente. Per questo tutti hanno paura di loro”.

E’ un vero incubo quello vissuto da questo  ingegnere 36enne afghano scappato da Kabul sette anni fa e oggi fabbro a Campobasso, città in cui vive con un regolare contratto di affitto nel quartiere popolare di San Giovanni.

Il suo desiderio, quello che gli impedisce di dormire più di un’ora filata nel suo letto, è portare in Italia moglie e figlia.

 

“Ma non so come fare, l’ambasciata non c’è più, solo Cina e Pakistan hanno ancora una ambasciata, gli altri diplomatici sono andati tutti via. Passo le giornate a fare domande tra Questura e Prefettura, ma senza un visto italiano è impossibile farle venire da me. Piangono tutto il tempo, mia figlia di strazia il cuore perché mi chiama di continuo per domandarmi: ‘Padre, quando tu venire a prendere? Quando tu portare noi con te?’ C’è un clima di terrore soprattutto tra donne e bambini. Ma anche tra gli uomini. Io ho i miei fratelli a Kabul, quello più giovane che ha 20 anni appena vede i talebani con le loro barbe nere, i capelli lunghi, i camicioni fino alle ginocchia si chiude in casa”.

La situazione descritta da Hakimi è drammatica. Non c’è pace, in strada e nei cuori di questo popolo, nonostante le rassicurazioni (anche sui diritti civili delle donne) da parte del movimento estremista islamico che ha preso la capitale afghana e il resto del paese in dieci giorni.

Dieci giorni di terrore contestualmente alla ritirata dei militari del governo filoccidentale, e di massacro di civili. Dieci giorni nei quali, come mostrano anche questi video che circolano sui canali social, ci sono state violenze sugli agenti di polizia che i talebani li combattevano al fianco delle truppe statunitensi. Quelle stesse truppe che si sono ritirate da città e province dopo 20 anni di sostegno al governo destituito dai nuovi talebani che a parole, una volta preso il potere, annunciano di essere moderati e rispettosi anche dei diritti delle donne. Ma gli afgani non credono a queste dichiarazioni, non si illudono.

“Sono preoccupato per i miei tre fratelli, due di loro erano poliziotti. Oggi tutti cercano di scappare, i miei vicini di casa a Kabul hanno lasciato le loro case per dirigersi verso l’aeroporto ma anche quello adesso e presidiato dai talebani. Purtroppo è impensabile per donne, persone anziane e bambini affrontare il viaggio che ho fatto io sette anni fa per arrivare in Italia. Ero senza documenti, ho trascorso quattro giorni sulle montagne senza mangiare e bere, percorso chilometri e chilometri a piedi. Un uomo può sopportare tutto questo ma se penso a mia figlia, che all’epoca aveva due anni, o a mia moglie non credo che avrebbero resistito. Ma adesso come faccio, come posso ricongiungermi a loro?”.

E’ disperato Hakimi, piange anche lui, raggiunge il centro di Campobasso a piedi, poi torna a casa ma anche quella gli inizia a stare stretta “perché io lì sempre pensare, pensare a come fare per salvare la mia famiglia. Ho sempre lavorato, anche se dal 10 agosto sono disoccupato, ho una casa e vorrei che il mio amore potesse raggiungermi ma nessuno sa come”.

Sono milioni gli uomini e le donne che in questo momento di transizione pensano alla fuga. Oltre alla capitale anche lo scalo aeroportuale è sotto il controllo delle milizie talebane che vogliono evitare che i civili scappino sfruttando i mezzi che gli Stati Uniti caricano di soldati americani, ancora migliaia, per il ritorno a casa.

Ed è proprio in questi aerei che si nascondono i civili afghani disperati che rischiano la vita per fuggire dall’Emirato islamico. Col mondo occidentale che assiste a quelle scene di terrore in cui si vedono persone che si afferrano agli aerei dove possono o viaggiano nei vani carrello perdendo, per questo, la vita.

 

 

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