Second life

Filippo Impicciatore, il vino kosher e il lido che non si ferma mai. “Le sfide facili mai state il mio forte”. Il futuro? “Siamo in debito con i nostri figli”

Arriva dall'Abruzzo e in BassoMolise ha concentrato i suoi interessi professionali: ha rilevato la Cantina Vinicola Valbiferno, dove oggi produce vino kosher con il socio israeliano e, da poche settimane, lo stabilimento balneare Oasi Village di RioVivo, per il quale il 2 giugno si è celebrato l'open day. Filippo Impicciatore ha 58 anni, è stato fra i più giovani dirigenti d'azienda d'Italia, e racconta un lavoro che si muove tra passione, calcolo del rischio, margine di profitto e desiderio di "restituire qualcosa a una generazione alla quale abbiamo tolto moltissimo, soprattutto con il Covid".

Ha 58 anni, due figli di 26 e 22 verso i quali “mi sento in debito, la mia è la prima generazione che ha avuto più di quello che i giovani hanno e avranno mai”, un passaporto lungo come la lista della spesa di un ristorante stellato. E’ stato praticamente dappertutto e, confida, il posto che ha amato di più è stato il Kenia.

“Viaggiare è un modo prezioso per imparare l’umanità e acquisire le cose migliori da replicare nel posto in cui si vive. E’ anche quello che mi è mancato di più in questo anno e mezzo di pandemia”. Filippo Impicciatore arriva da Ortona, ma con il Molise ha una relazione complicata. “Vivo di fatto a Termoli, ma torno a dormire a casa mia. Fino a quando? Non so, mi sa che dovrò cedere e rassegnarmi all’idea di trasferirmi”.

I suoi interessi professionali sono concentrati in Bassomolise, tra Termoli e Guglionesi. Ha rilevato, 4 anni fa, la ex Cantina sociale di Sant’Isidoro, dove la società che divide con un israeliano produce vino kosher. Poco più di un mese fa inoltre ha preso in gestione il lido balneare Oasi Village, rilevandolo dalla storica proprietà di Giorgione. “Me lo ha proposto mia cugina, che vive qua e porta il mio stesso cognome. Non sembrava la cosa ideale da fare, in questo periodo in cui tutto è così precario, incerto, inafferrabile. Ma se c’è una cosa che nella vita non mi è mai venuta bene sono le scommesse facili. Le perdo tutte. Quelle difficili, invece, in genere vanno a  buon fine”.

Un imprenditore, per definizione, è uno che rischia. Che si sobbarca il rischio di impresa. Filippo Impicciatore, famiglia originaria delle Marche trasferita poi in Abruzzo, non è sicuramente spaventato dalla possibilità di fallire ma è determinato a costruire “qualcosa di buono da lasciare in eredità ai miei figli e a una generazione che, unica nella storia finora, ha avuto meno dei rispettivi padri”.

Soprattutto durante l’emergenza da Covid 19, racconta mentre gli ultimi ritocchi nel lido passato sotto la sua gestione vanno avanti tra il chiosco sulla spiaggia e la piscina rimessa a nuovo, “i ragazzi sono stati quelli che hanno sofferto di più a livello psicologico, e quelli che soffriranno maggiormente le conseguenze economiche di questa situazione. Non posso sentirmi indifferente a questa ingiustizia, che è stata causata dalle vecchie generazioni. Non posso e non voglio, né come padre né come imprenditore”.

Se c’è una cosa che Filippo Impicciatore è capace di insegnare ai giovani, è la passione per un lavoro fatto di sfide continue. E apparentemente perfino bizzarre, come la produzione di vino kosher nella dolce vallata bassomolisana dove la parola stessa (Kosher in ebreo significa “adatto”, “idoneo a essere consumato da un ebreo osservante) risuona come una incomprensibile originalità. E invece proprio quel vino, fatto con un procedimento particolarissimo e impegnativo, oltre che costoso, è un prodotto che ha ottenuto la più alta certificazione di idoneità dal maggiore rabbino del Talmud. “L’equivalente del nostro Papa” spiega con un sorriso.

La ragione di questo riconoscimento, ci racconta, dipende dal fatto che “è un vino che rispetta in maniera scrupolosissima le caratteristiche della religione ebraica, secondo la quale non possono essere usati prodotti di origine animale, come la caseina e la gelatina, e tutti i prodotti devono essere certificati kosher. Solo in questo modo il consumatore ha la piena garanzia di cosa c’è nel vino, e infatti quello che produciamo noi – che è vino sfuso, privo di etichetta – viene acquistato in tutto il mondo, da Israele agli Stati Uniti alla Germania, solo al 40% da ebrei ortodossi. Il restante del prodotto viene consumato da persone che non lo bevono per ragioni religiose ma perché vogliono una garanzia altissima sulla certificazione di ogni singolo elemento che lo compone”.

Enologo, Filippo Impicciatore è cresciuto a Piane d’Archi (Chieti), un territorio che con i vigneti e le cantine ha molto a che fare. A 24 anni è diventato dirigente di una distilleria cooperativa. “Sono stato il più giovane dirigente di azienda d’Italia, sarei potuto andare in pensione a 40 anni in virtù di una legge dell’epoca, ma ho rifiutato. E ho continuato a lavorare nel settore”.

In Molise è approdato quando la ex Cantina di Sant’Isidoro ha dichiarato fallimento. “Io e il mio socio, che è ebreo, abbiamo deciso di investire in questa realtà inedita per il territorio. E ora stiamo pensando di ampliare il progetto passando anche all’imbottigliamento”.

Per fare il vino kosher, tanto più un prodotto di quel livello, ogni singolo passaggio deve seguire regole rigide. A cominciare dalla pulizia delle vasche: “Ognuna deve essere riempita d’acqua e lasciata riposare per 24 ore. Un procedimento da ripetere per tre volte, solo dopo la vasca è purificata”. I grappoli non possono essere raccolti finché la pianta non ha raggiunto il quarto anno di vita, e ogni sette anni la vite deve essere lasciata a riposo. “Quando l’uva arriva in cantina e inizia la fermentazione, la vasca viene sigillata fino alla fine del processo riducendo a zero la possibilità di intervento dell’uomo. Il risultato è quello di un vino naturale, senza additivi”.  E, aggiunge, “soltanto gli ebrei possono lavorarlo e solo loro possono guardare”. Significa che lui, Filippo Impicciatore, non può assistere alle fasi di lavorazione. “No – conferma – il vino non deve essere contaminato nemmeno dallo sguardo. Rientra in una tradizione secolare”.

Basta spostarsi di qualche chilometro e lo scenario lavorativo cambia radicalmente. Al Lido Oasi Village tutto racconta una storia di novità e di rilancio. E sebbene la stagione estiva sia soltanto agli esordi, il nuovo gestore non fatica a immaginare come quello spazio enorme tra il parcheggio alberato e la riva dell’Adriatica possa trasformarsi in una spiaggia capace di funzionare senza sosta dal mattino alla notte, proponendo serate, eventi, servizi “per coppie, famiglie, giovani”, intrattenimento musicale fra frutta fresca e cocktail.

Filippo impicciatore

“Uno che fa il mio lavoro – dice – non deve avere paura di immaginare. Anzi, immaginare è fondamentale per delineare un progetto”. Spaventato dalla sua prima volta come titolare di un lido? “No – ride – cercherò di portare qui la mia esperienza di cliente”. E chiarisce il concetto: “Come cliente voglio il massimo, pretendo igiene, rispetto delle regole, prodotti di prima qualità, garanzia di riposo e divertimento. E come gestore intendo applicare la stessa filosofia a questa attività. I clienti devono essere pienamente soddisfatti, devono sentirsi a casa”. Nessuna smentita che alla base della libera impresa ci sia il profitto, ma “il margine di profitto si può assicurare lavorando sulla quantità dei servizi e ampliando il ventaglio delle offerte. Sarei ipocrita a dire che un imprenditore non deve guadagnare, e difatti non lo dico. Ma una impresa redditizia può essere anche una impresa sana. Questa è la sfida che mi piace perseguire”.

In testa il ricordo di una vacanza in Spagna con gli amici di sempre, quelli con i quali è cresciuto ed è diventato grande. “Siamo partiti in 5 con una Punto diesel, la tenda caricata insieme a scatole di pelati e latta d’olio, da bravi italiani. Abbiamo trascorso sette giorni in un posto in cui la vita non si fermava mai, la notte era come il giorno: tutto, dal supermercato al parrucchiere, era aperto 24 ore su 24. Ecco, sono sicuro che si possa replicare una sfida del genere anche qui, e se occorrerà tempo pazienza. L’importante è provarci”.

 

Lui ci ha provato per gioco da ragazzo, quando con i soliti amici “aprivamo locali e discoteche attorno al lago di Bomba, in estate. Posti sfortunati, vuoti, in perdita. Che con noi, con il nostro entusiasmo, diventavamo talmente gettonati che avevamo bisogno del buttafuori. E coi soldi guadagnati andavamo in vacanza e organizzavamo concerti e serate in paese: perché importante restituire sempre una parte di quello che si ottiene, questo alimenta la catena alla base della buona economia”.

 

Il segreto di Filippo Impicciatore forse sta proprio in questa passione che si porta dentro da sempre, e che condivide con i compagni di avventure e serate del giovedì. “Vuole davvero sapere dove prendo la carica? Dalle mia serata del giovedì, quella che faccio con altri sei amici, sempre gli stessi, da 25 anni. C’è un accordo prematrimoniale grazie al quale tutte le nostre mogli si sono impegnate a rispettarlo (ride, ndr). E non s’immagini cose strane, non facciamo niente di che. Beviamo una cosa, mangiamo una pizza, ci raccontiamo le nostre vite. Non ci perdiamo mai di vista, e condividiamo i sogni e gli obiettivi”.

Chissà, forse la ricetta è restare giovani nello spirito, e forse per questo Filippo Impacciatore ha un debole per i giovani. “Sono quelli che hanno pagato di più, hanno perso un anno buono della loro vita e sono loro che pagheranno un debito gigantesco, col rischio di non avere nemmeno la pensione. Credo sia un dovere della mia generazione impegnarsi al massimo, in questo momento, per lasciare qualcosa di buono a loro. Non è un favore, ma un obbligo morale”.

commenta