Dai lupi all'ibis sacro

Il mondo nuovo e i nostri danni all’ambiente: “La natura si riprende sempre i suoi spazi ma è sbagliato umanizzare gli animali”

L’ornitologo ed esperto di zoologia Nicola Norante spiega perché molte specie sono in aumento e resta convito che “l’unica arma contro i cinghiali è l’abbattimento tutto l’anno”. Ma mette anche in guardia dalle modifiche all’ecosistema causate dall’azione umana

I cinghiali che scorrazzano a due passi dalle case, ma adesso anche i caprioli che saltellano poco lontano dal mare o i lupi che si avvicinano ai paesi. E poi specie che sembravano rare, come le cicogne o quelle non autoctone come l’ibis sacro. Gli ultimi mesi sono stati ricchi di avvistamenti di animali selvatici in Molise. Il che ha fatto dire a molti che “la natura si sta riprendendo i suoi spazi”. Nicola Norante, ornitologo ed esperto di zoologia, non la vede così. La sua esperienza frutto di mezzo secolo di studi e osservazioni sul campo gli permette di fare dei distinguo. “Mi hanno detto che ragiono come gli uccelli, lo prendo come un complimento” sorride lui a un certo punto della chiacchierata.

Dottor Norante, questa storia della natura che si riprende i suoi spazi è vera o è una diceria?

“Non sono molto convinto che il Covid abbia fatto sì che aumentassero le specie animali. La natura normalmente si riprende i suoi spazi, in tutti i sensi”.

Quindi nessun effetto Lockdown?

“Che ci sia un aumento di specie lo trovo molto relativo. Mettiamola così: per avere effetti sulla natura, il Lockdown dovrebbe essere molto più prolungato. Questo perché laddove l’uomo si impadronisce del territorio in poco tempo toglie tutto quello che la natura costruisce”.

Ha notato differenze rispetto al periodo precedente alla pandemia?

“La prima differenza la vedo in me stesso e in noi studiosi perché inevitabilmente la consuetudine sviluppa il senso della vista e dell’udito. L’impossibilità di stare sul campo ci ha fatto perdere un po’ di allenamento nel riconoscere gli animali. Consideriamo che riconoscere più di 600 specie, con tutte le sottospecie presenti, non è per niente facile. Ecco, in questo periodo l’occhio è stato meno pronto”.

E in natura?

“C’è sicuramente un aumento delle specie ma non relativo al Lockdown. Succede perché trovano più territorio e più possibilità di cibarsi”.

C’è una spiegazione per questo?

“Quando feci il concorso da igienista per la Asl nel 2002-2003 venne fuori dai documenti del Cnr che il Molise era la prima regione percentualmente in Italia per uso di anticrittogamici e veleni in agricoltura. Coi controlli aumentati e una sensibilità maggiore la tossicità di questi prodotti è stata ridotta. Ritengo quindi che si trovino più insetti, di conseguenza più nutrimento per gli uccelli e di conseguenza per i loro predatori”.

La specie che preoccupa maggiormente resta quella dei cinghiali. Come siamo arrivati a questa emergenza diventata cronica?

“Negli anni Settanta non ne avevamo. C’erano circa 100 cinghiali maremmani in Toscana, nient’altro. Così vari Paesi europei hanno deciso di ripopolare il territorio di cinghiali. È stato fatto un bando nazionale e a vincere è stata l’Ungheria che aveva dei bei cinghiali a poco prezzo. Attenzione però, parliamo sempre di specie autoctona. È cinghiale europeo, stesso ceppo del cinghiale maremmano e di quello sardo”.

Quindi dire che è colpa dei cacciatori è una sciocchezza bella e buona.

“È così. Quella secondo cui sono i cacciatori ad aver ripopolato di cinghiali il territorio è una bufala. Anzi, in questo modo sono state cambiate forzatamente le abitudini dei cacciatori che erano abituati a sparare a fagiani e anatre. Anche oggi in Molise i gruppi di cacciatori di cinghiali sono pochissimi e non ce la fanno ad abbatterli tutti”.

Si è sbagliato qualcosa all’epoca, considerando la situazione odierna?

“No, perché nessuno poteva prevederlo. Per fortuna negli anni Novanta, dato che si continuava a ripopolare la zona di cinghiali e al tempo stesso dovevamo pagare per i danni all’agricoltura, feci bloccare altri acquisti di cinghiali in Molise e optammo per altre specie come cervi e caprioli. Poi però per i cervi non se ne fece nulla”.

Che cosa si può fare per limitare la presenza di cinghiali?

“Potrei rispondere dicendo che l’unica possibilità è abbatterli, ma dovrei aggiungere che la riforma della legge nazionale che permetterebbe ai cacciatori di sparare tutto l’anno andrebbe fatta compatibilmente con il contesto naturale e le logiche di salvaguardia della specie. Non è un tema facile, che si possa riassumere in una sola parola. Però, francamente, oltre all’abbattimento non ci sono molte altre strade percorribili ormai”.

C’è speranza che l’aumento di lupi contrasti il proliferare di cinghiali?

“No. Il cinghiale mette in atto una protezione matriarcale pazzesca. Girano in gruppi di 30-40 femmine perché il maschio a 6-7 mesi se ne va o viene cacciato. I lupi qui da noi sono meno gregari di quelli nordici e girano in gruppetti di 2 o 3. Non ce la fanno ad attaccare i cinghiali. Predano più le pecore, perché per loro è più facile. Però anche i lupi sono in espansione, è un po’ l’effetto della biodiversità”.

Altri predatori di cinghiali non ci sono?

“L’unico sarebbe la lince che è presente sulle Alpi, soprattutto al confine con la Slovenia. C’era un progetto dell’ex direttore del Parco nazionale d’Abruzzo, Franco Tassi, per reintrodurre la lince. Però gli è stato bocciato”.

Dei lupi non c’è da temere invece, è così?

“Il lupo non attacca l’uomo, ma in qualche caso ci sono cani lupo che si uniscono al branco e quelli sì, possono essere pericolosi. Sono però molto rari, anche se ho visto dei video di un husky diventato maschio Alpha di un branco di lupi nel parco nazionale del Gran Sasso. Impressionante, comanda lui su tutto”.

Altra specie in aumento è quella dei caprioli, ci sono state diverse segnalazioni.

“Mi piace pensare siano i pronipoti di quelli del ripopolamento di 25 anni fa. Ma il prossimo problema saranno i cervi. Magari non da noi, più in Alto Molise”.

Ci sono pericoli?

“In alcuni Paesi gli avvistamenti sono comuni. Direi che il problema maggiore potrebbe essere sulle strade con possibili incidenti”.

Si può ipotizzare che sia un effetto del cambiamento climatico?

“Non direi. In generale significa che il cervo sta trovando l’ambiente giusto. L’ungulato è una ricchezza per il territorio”.

Di recente ci sono stati anche ritrovamenti di istrici morti sulle spiagge. Cosa potrebbe essere accaduto?

“Non sappiamo ancora bene cos’è successo perché le carcasse non sono state analizzate ancora. La prima ipotesi è un avvelenamento in agricoltura, potrebbero aver mangiato qualcosa con sostanze tossiche anche perché vengono ritrovati vicini ai corsi d’acqua. Nell’acqua loro cercano l’antidoto, è una specie molto sensibile”.

Il suo campo principale resta però l’ornitologia. A che punto è la stagione dei fratini?

“Purtroppo di circa 70 uova, è rimasto circa un quarto di fratini”.

Cos’è successo?

“Io ho il compito di monitorare i punti dove i fratini nidificano, perché i Comuni non possono fare come vogliono. Allora devo indicare dove possono intervenire coi mezzi meccanici e dove no. Dove vanno sistemate le gabbiette di Ambiente Basso Molise e altre cose del genere. Purtroppo anche le gabbiette hanno dei rischi perché spesso attirano il deficiente di turno che le prende a calci. In generale ci sono almeno tre fattori e due di questi sono umani”.

Quali sono?

“Il primo è un predatore naturale: il gabbiano. Su quello non possiamo farci nulla, è la natura. Però capita che i nidi vengano sfasciati dai cani portati sulla spiaggia senza guinzaglio. Oppure che il fratino appena nato finisca impigliato nei nostri rifiuti, come le reti per le cozze”.

Questo è solo un esempio dell’impatto umano sulla natura, visti anche gli avvistamenti recenti di specie non autoctone.

“Io dico sempre che tutto ciò che non riguarda l’ambiente autoctono messo da un’altra parte diventa alloctono. L’ecosistema ci mette secoli per trovare l’equilibrio e noi lo modifichiamo coi nostri comportamenti”.

Ad esempio l’ibis sacro avvistato nella zona dello stadio di Termoli è una specie non autoctona, giusto?

“Decisamente. Si tratta di un animale chiaramente scappato da qualche zoo che si è ambientato e riprodotto”.

Che danni procura all’ecosistema?

“Dà fastidio a gabbiani, sterne, tondi di mare, anatroccoli. Sfascia i nidi degli aironi, ruba il cibo alle altre specie. Il nostro airone mangia 3 rane e si sazia. L’ibis sacro ne mangia il doppio”.

Qual è la soluzione?

“In altri Paesi europei l’hanno sterminato. Senza stare troppo a discutere. Qui ci hanno provato e sono fioccate le proteste degli animalisti. Io avevo pensato di catturarlo e trasferirlo alla foce del Trigno facendo in modo che evitasse di volare prima del cambio di piumaggio. Ma non è stato possibile. L’Istituto nazionale della fauna selvatica è stato di parere contrario perchè si tratta di una specie sempre di impatto. Ma prima che so potesse stabilire cosa fare l’ibis era volato via”.

Lei è un amante degli animali ma non per questo si lascia trasportare dalle polemiche animaliste.

“L’errore che non dobbiamo fare è umanizzare gli animali. Loro hanno le loro regole e il loro modo di agire. Non dobbiamo pensare che agiscano come faremmo noi. Mi viene in mente la storia delle tartarughe del parco di Termoli”.

Anche quella una specie alloctona.

“Esatto. Abbiamo lavorato tanto per fare la separazione nel laghetto del parco, la divisione dei sessi in due vasche distinte, come per legge,  ma nulla impedisce a qualcuno, anche in buona fede, di gettare una tartaruga femmina dal lato dei maschi o viceversa”.

Ma quelle tartarughe da dove arrivano?

“Guatemala, Centro America. Venivano vendute nei negozi di animali”.

Quanto di più dannoso per l’ecosistema.

“Non è l’unico caso. Adesso abbiamo qui il gambero della Louisiana che sta soppiantando il nostro gambero di fiume e fa danni come il granchio blu”.

Verrebbe da dire: che male farà mai un gambero.

“Il gambero della Louisiana è facile alimento per l’airone. Il problema è che di sostanza non ne ha. Non ha proteine, solo betacarotene, un po’ di grassi. Così ora il nostro airone non trova più il gambero nostrano e non caccia più rane o pesci bensì il gambero della Louisiana che trova a portata di mano ma che non gli fornisce l’adeguato nutrimento e i suoi piccoli crescono rachitici. Un po’ per questo e un po’ per l’ibis sacro, gli aironi stanno diminuendo”.

In compenso si trovano le cicogne.

“La più rara è la cicogna nera. La coppia avvistata in Molise è solo la 16esima vista in Italia. La teniamo monitorata. Mentre abbiamo avvistato una trentina di cicogne bianche. È una specie dell’Europa dell’Est che era anche in Italia in passato e ora è tornata. Purtroppo ne abbiamo recuperata una investita”.

Addirittura colpita da un’auto?

“Sì ma perché era moribonda. L’abbiamo trovata vicino alla discarica di Guglionesi dove questi animali vanno a cibarsi. Infatti dagli esami svolti all’Istituto Zooprofilattico è emerso che aveva di tutto nello stomaco”.

Intende rifiuti?

“Sì, alluminio, plastica e soprattutto un malloppo di elastici aggrovigliati. Chissà per cosa l’ha scambiato”.

A proposito dell’impatto delle azioni umane sulla natura.

“Dovremmo riflettere su quanto siamo di ostacolo e cercare di essere meno impattanti”.

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