L'analisi e il futuro

Che ne sarà della Fiat di Termoli? La prospettiva catastrofica di perdere 2mila lavoratori in pochi anni

Tra cassa integrazione, promesse mancate sulle nuove produzioni e incertezze sul Piano Industriale che continua a essere una chimera. Mentre alcuni motori prodotti a Termoli si spostano negli Usa e il ricorso agli ammortizzatori sociali si fa sempre più pesante, cresce la paura – giustificata da una serie di indizi – di perdere in 4 anni due terzi dell’attuale manodopera, innescando una crisi economica senza precedenti che ora richiama anche le Istituzioni al dovere di affrontare lo scenario. Una analisi sulla situazione della produzione nello stabilimento di Rivolta De Re

Che qualcosa possa presto cambiare in Fiat è una percezione diffusa all’interno delle linee produttive dello stabilimento di Termoli. Che questo cambiamento possa rappresentare una crisi irreversibile è un timore serpeggiante.

Se prima dell’arrivo della pandemia la situazione sembrava delineata verso un passaggio graduale all’ibrido con prospettive sull’elettrico, il Covid-19 prima e la fusione con Peugeuot-Citroen che ha portato alla nascita di Stellantis dopo, hanno portato un clima di grande incertezza nello stabilimento di Rivolta del Re. Perché il piano industriale tarda così tanto? Che ne sarà dei circa 2400 dipendenti attuali? È possibile che nell’arco di qualche anno la riduzione del personale sia molto più consistente di quanto previsto?

Difficile avere certezza oggi, proprio perché quel Piano industriale che i sindacati reclamano dal giorno stesso della nascita di Stellantis non è nemmeno all’orizzonte. Secondo i più ottimisti sarà svelato a fine 2021, secondo altri anche dopo. Ma di certo le notizie che trapelano sono preoccupanti.

A MELFI CHIUDE UNA LINEA PRODUTTIVA – A cominciare da quanto emerso solo la settimana scorsa a Melfi, altro stabilimento Fiat, per il quale il 15 giugno scorso c’è stato un vertice a Roma al Ministero dello Sviluppo Economico fra i rappresentanti dell’azienda, i sindacati e i ministri Giancarlo Giorgetti per il Mise e Andrea Orlando per il Dicastero del Lavoro. Dal vertice è emersa la notizia – apparentemente positiva – che a Melfi, a partire dal 2024, saranno prodotti 4 veicoli elettrici di nuova generazione (probabilmente Fiat, Lancia, Jeep e Alfa). Ma al tempo stesso è passata forse sottotraccia un’altra notizia non certamente rassicurante, vale a dire la chiusura di una linea produttiva (ne resterà operativa soltanto una) oltre a una rimodulazione dei turni di lavoro con conseguente riduzione di personale.

Così la Fiom di Melfi: “L’azienda tira dritto: razionalizzazione e risparmio di forza lavoro. Anche se questo deve significare una linea sola (ma più lunga), 20 turni (una settimana sì e una no), esuberi di personale (700 dichiarati al 2024 ma due conti sanno farseli tutti), maggiori carichi di lavoro (quando si lavora) e cassa integrazione (a volontà)”.

Non meno dura la Uilm: “Il piano è chiaro: si parte da Melfi, lo stabilimento più grande e produttivo, per avviare un processo di ridimensionamento totale: finalmente hanno il coraggio di annunciare ufficialmente che la linea verrà smontata”.

E ancora: “Nelle prossime settimane verrà annunciato un peggioramento delle condizioni lavorative, un cambiamento della turnazione e poi un aumento spropositato dei ritmi. Luglio segna un aumento di lavoro (si fa scorta) poi agosto e probabilmente settembre a casa per adeguare la linea, quando ritorneremo al lavoro assisteremo, come già si sta verificando ovunque, alla deportazione degli RCL (operai a ridotte capacità lavorative), ormai non servono più e rientreranno in quella bolla dei 700 esuberi dichiarati che saranno perennemente a casa”.

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A TERMOLI CASSA INTEGRAZIONE E RINVIO DELL’IBRIDO – A questo punto uno potrebbe domandarsi: che c’entra Termoli? Molto semplice. Quanto emerso a Melfi sembra ricalcare il clima che si respira a Termoli, dove la mancata chiarezza sul Piano industriale alimenta voci di tutti i tipi.

D’altra parte la segreteria territoriale della Uilm di Termoli, non più tardi di qualche giorno fa, aveva espresso concetti simili: “Abbiamo richiesto alla Segreteria Nazionale di porre attenzione particolare agli stabilimenti di meccanica a partire da quello di Termoli, soprattutto alla luce del rinvio della partenza del motore GSE a dopo l’estate e con l’aumento della cassa integrazione anche presso l’unità cambi. Per far fronte alla grande sfida dell’elettrico e salvaguardare soprattutto l’occupazione e la produzione, c’è bisogno di una strategia e di proposte chiare e condivise”.

Ma qual è la situazione attuale a Termoli? Le cronache degli ultimi mesi per quanto riguarda la principale fabbrica del Molise riportano due notizie fondamentali: un continuo ricorso alla cassa integrazione, soprattutto per i cambi ma ormai sempre più spesso anche per i motori, e il rinvio perenne dell’avvio della lavorazione al motore ibrido, visto che la realizzazione della nuova linea produttiva è finita da un pezzo.

La produzione del motore ibrido GSE era infatti prevista inizialmente per il secondo semestre 2020, ma l’arrivo della pandemia ha fatto slittare tutto. Successivamente si era pensato che la produzione potesse essere avviata prima dell’estate 2021, mentre adesso le voci che si rincorrono indicano in settembre il mese giusto. Ma il problema è che di certezze non ce ne sono.

Attualmente sono circa 30 gli operai che già dall’aprile scorso sono stati spostati sulla linea di produzione del motore ibrido DOHC 1500 a quattro cilindri. Operai che avrebbero dovuto affiancare un numero ben maggiore di lavoratori in vista della produzione a pieno regime, e che invece sono rimasti in 30. E attualmente stanno trascorrendo le giornate lavorando a ritmi molto blandi.

Il problema principale sembra rappresentato dalla forte contrazione del mercato dell’auto, dato che oggi gli effetti della pandemia si vedono anche sugli acquisti di nuove vetture. I motori che dovrebbero essere prodotti a Termoli fra qualche mese saranno montati su auto di grossa cilindrata come le Jeep Compass e le Jeep Renegade, oltre a macchine più grandi.

Al momento invece l’unica produzione che va avanti ma estremamente a rilento è quella del motore ibrido pensato per l’Alfa Tonale che viene assemblato con montaggio manuale in circa 40 o 50 pezzi a settimana.

L’INCERTEZZA SUL FUTURO – Ma quanto mercato e, soprattutto, quanto futuro hanno queste auto? Una domanda che toglie il sonno a quegli operai che non sanno cosa ne sarà del loro avvenire. Così come non si hanno certezze per quanto riguarda le risposte del mercato all’altra produzione ibrida che al momento Fiat ha predisposto in Polonia. Si tratta del motore M3 1000 a tre cilindri che viene prodotto a Tichy e montato su auto decisamente più piccole come la 500 e la Panda.

A Termoli oggigiorno la lavorazione più ‘regolare’ è quella dei motori che hanno avuto un mercato importante ma non si sa quanto futuro potranno avere dopo la fusione che ha portato a Stellantis. Si tratta del V6 e il T4 2000, montati sulle Alfa Stelvio e Giulia, oltre che sul Jeep Wrangler (il T4).

NUOVI STABILIMENTI NEGLI USA – Prima della pandemia Fca (che ora non esiste più) aveva annunciato la produzione di motori GMET Turbo a 4 cilindri nello stabilimento di Kokomo, nell’Indiana. Propulsori progettati proprio per la Jeep Wrangler, oltre che la Jeep Cherokee. Chiaro che l’intenzione di produrre negli Stati Uniti motori praticamente identici a quelli realizzati a Termoli non aggiunge certo speranze all’orizzonte grigio che pesa sulla fabbrica di Rivolta del Re.

E REPARTO CAMBI IN FORTISSIMA CRISI – Ma se la situazione dei motori è fosca, quella dei cambi è ancora più nebulosa. Il ricorso alla cassa integrazione è ormai prassi da tempo, e la pandemia sembra aver dato un’ulteriore accelerata a questo stato di cose. Il passaggio all’elettrico appare infatti come una sorta di sentenza senza appello per la produzione dei cambi a Termoli. Occorrerebbe una riconversione della linea produttiva, ma senza Piano industriale anche solo pensarlo è fantasia.

Ci sono centinaia di lavoratori che dopo la crisi innescata dal Covid-19 sono stati lasciati a casa, e salvo miracoli non verranno richiamati in fabbrica. Molti di loro ne sono probabilmente già consapevoli, visto che l’azienda sta ricorrendo sempre più spesso a quei lavoratori considerati polivalenti e capaci di potersi alternare fra l’area dei cambi e quella dei motori. Ma è una fetta di dipendenti estremamente ridotta.

Le voci di riduzione del personale e di accompagnamento verso la pensione si fanno sempre più forti fra i corridoi della fabbrica termolese. Le cifre riportate dalle stesse voci variano con estrema facilità, ma che il destino sia segnato per centinaia di dipendenti appare certo. A molti di loro sono già stati proposti scivoli pensionistici o addirittura contributi al licenziamento. Ma il peggio potrebbe non essere affatto arrivato.

L’INIZIO DELL’AGONIA? – In fabbrica si respira un clima di grande incertezza e al tempo stesso di cambiamento in arrivo. Coloro che temono di più la scure dei tagli sono probabilmente quegli operai sui 50 anni circa, per i quali la pensione non è proprio dietro l’angolo e la ricerca di una nuova occupazione, nel Molise dei disoccupati e di una crisi pesante, appare come una utopia. L’impressione, al momento affatto smentita dai fatti, è che si sia all’inizio di una lenta agonia per lo stabilimento di Termoli.

“Quello che si attendono i lavoratori – concludeva la Uilm di Termoli qualche giorno fa – e ci attendiamo come organizzazione sindacale, sono indicazioni concrete sul presente e sul futuro dello stabilimento termolese, oltre che un piano industriale proiettato sull’indotto che non vorremmo diventi “l’anello debole” della catena Stellantis. La Uilm come sempre farà la sua parte, affinché anche nella transizione verso l’elettrificazione Termoli resti un’eccellenza della meccanica grazie alla professionalità delle sue maestranze che negli anni hanno reso grande lo stabilimento”.

I TIMORI DI PERDERE DUE TERZI DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI – Ma più passa il tempo e più i timori si fanno concreti. Nessuno ne parla ufficialmente, nessuno mostra dati a supporto della ipotesi che nel giro di qualche anno Fiat Stellantis a Termoli possa perdere, in una graduale emorragia, un numero cospicuo di lavoratori. Quanti? Impossibile poterlo affermare con numeri e previsioni alla mano (non ci sono e, se ci sono, non sono di dominio pubblico), ma i tanti indizi in campo portano a orientarsi su cifre importanti. I più pessimisti, le cui voci sono state raccolte e analizzate alla luce di una serie di elementi non trascurabili, ipotizzano che da qui ai prossimi quattro anni la riduzione del personale sarà drastica, portando i livelli occupazionali dagli attuali 2.400 a meno di 1.000 posti di lavoro. In pratica significherebbe la catastrofe per il Molise e il BassoMolise, finora considerato “cuore produttivo” del territorio. Significherebbe un impoverimento senza precedenti e in un lasso di tempo ridotto, con migliaia di famiglie private della principale fonte di reddito e una economia in ginocchio. Non è azzardato considerare una prospettiva del genere come catastrofica per l’intera economia molisana già boccheggiante.

Di fronte a questa prospettiva appare quindi necessario che anche la politica regionale non si faccia trovare impreparata ancora una volta, ma anzi anticipi i tempi e chieda quanto prima certezze sul futuro dello stabilimento Fiat di Termoli per poter mettere in atto le soluzioni adeguate a una crisi senza precedenti.

 

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