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Questione cave: meno aperture, più riuso e riciclo dei materiali dismessi

di Angelo Sanzò – Presidente del Comitato Scientifico di Legambiente Molise

 

Qualche giorno addietro, come accade ormai con cadenza annuale fin dal 2008, Legambiente, la ben nota associazione ambientalista, ha reso noto il Rapporto Cave 2021. Fin da una prima sia pur sommaria lettura risulta evidente che il Molise, unitamente alle Regioni Abruzzo, Sardegna, Calabria, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, più la Provincia Autonoma di Bolzano, non possiede un vigente Piano Cave. La mancanza di piani specifici di programmazione concede, inevitabilmente, ampio spazio decisionale agli organi tecnici autorizzanti. Seppure la Direttiva europea 85/337 preveda che l’apertura di nuove cave possa avvenire solo in seguito ad una positiva procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, purtroppo tale obbligo, nel nostro Paese, vale solo per cave aventi una superficie superiore ai venti ettari.

Per quanto riguarda la Regione Molise, lo stesso Rapporto Cave riporta che sono 56 le cave attive autorizzate e/o non produttive che insistono sul nostro territorio, 17 (dati 2016) quelle dismesse e/o abbandonate .

Nell’intero Paese, sempre in riferimento allo stesso documento, si riscontra che attualmente le cave autorizzate sono 4.168, quelle dismesse o abbandonate 14.141. In particolare, i quantitativi annuali di sabbia e ghiaia estratti corrispondono a 29 milioni di metri cubi.

In vita degli enormi investimenti provenienti dal Recovery fund e in previsione dell’apertura del gran numero di cantieri in tutto il Paese, a partire dall’Alta Velocità ferroviaria e a tutti gli altri stimoli finanziari messi a disposizione in edilizia, il problema cave si mostra in tutti i vari aspetti che ne determinano la sua complessità e importanza. A cominciare dall’estrazione degli enormi volumi di materiali inerti, a quelli di pregio, fino al non sempre effettuato, corretto ripristino ambientale di quelle abbandonate, per esaurimento dei materiali e/o per le difficoltà connesse al continuare nell’opera di coltivazione, è evidente la difficoltà della congiuntura e del come affrontarla correttamente, nell’interesse comune e nella massima trasparenza e legalità.

Secondo Legambiente, tale multiforme problematica può trovare la giusta soluzione inserendo i vari aspetti che la caratterizzano all’interno del quanto mai moderno ed efficace concetto di economia circolare. È il caso, si sostiene, di porre fine, una volta per tutte o quanto meno, di ridurre al minimo le devastanti, continue azioni di estrazione di materiali, per loro natura, non rinnovabili, e al finora scarso riutilizzo delle enormi masse d’inerti, derivanti dalle inevitabili demolizioni, in occasione di nuove riedificazioni. Senza, per di più, contare l’ineludibile, conseguente impatto paesaggistico e il mancato recupero di suolo e/o il divenire, nel tempo e nello spazio, del recupero di aree, spesso, di particolare e insostituibile interesse, quale capitale naturale disponibile.

Infine, ma non secondario aspetto, toccato dal Rapporto Cave 2021 di Legambiente, è da tenere nella massima considerazione l’entità dei canoni, versati dagli operatori del settore agli enti pubblici, particolarmente bassi nel nostro Paese, rispetto alla media europea, in relazione ai ricavi provenienti dalle relative attività. A fronte, infatti, di 17,4 milioni di euro, annualmente versati dalle imprese del comparto alle regioni per l’escavazione di sabbia e ghiaia, si parla di 467 milioni di euro ricavati dalla vendita degli stessi materiali.

Per la nostra Regione, sempre secondo il detto Rapporto Cave, il margine di guadagno dei cavatori è enorme; i 151.000 euro ricavati dal canone relativo all’estrazione e la vendita di sabbia e ghiaia si contrappongono ad un volume d’affari di 2.416.000 euro.

Una eventuale adozione legale di un canone minimo nazionale per le concessioni di cava dell’ordine del 20%, del valore di mercato, porterebbe, allo stato attuale, nelle casse della nostra Regione un introito di 483.200 euro.

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