Second life

Nicolino del bar Gildo: “Chiusi 3 mesi, 30 giorni di ospedale, tanta paura ma sono qui. Ora sfido la vita”

La storica attività di via XXIV Maggio ha tenuto le serrande abbassate per 90 giorni. Il titolare, insieme alla nipote Marianna, racconta quei giorni

La sfida adesso? Riappropriarsi della sua vita prima del covid. E’ vero: un po’ l’obiettivo di tutti ma soprattutto di Nicolino Faragone che a Campobasso è il titolare del bar “Gildo”; storica attività commerciale del capoluogo con una storia lunga settant’anni, è anche uno dei tanti pazienti contagiato dal coronavirus e che in ospedale è stato ricoverato per 30 lunghi giorni. “Giorni difficili, soprattutto i primi quando sei incerto su tutto. Sono i giorni in cui ti fai mille domande e spesso resti anche senza risposte. Momenti in cui sei solo: tu e il covid. E il fatto che ti spaventa e ti demolisce, anche psicologicamente, è che il tuo avversario non lo conosci. Almeno non bene e sai che proprio per questo parti svantaggiato in una lotta spesso lunga e spesso dura ma l’l’importante è non mollare. Non indietreggiare di un centimetro e reagire sempre”.

bar gildo campobasso via XXIV maggio

Nicolino, 67 anni, una sorta di istituzione per il quartiere che si estende ai lati di via XXIV Maggio, racconta i suoi trenta giorni di ospedale tutti d’un fiato. Con lui c’è sua nipote Marianna che assieme allo zio gestisce il bar ed è proprio Marianna (anche lei poi contagiata dal covid) che ricorda: “Zio tossiva ma al di là della tosse non aveva altri sintomi che lasciassero immaginare il contagio. Invece una sera, oltre alla tosse cominciò ad avere fame d’aria. Non respirava e al mattino l’ambulanza lo portò al Cardarelli, positivo al covid è stato ricoverato nell’area grigia e poi nel reparto di Malattie infettive. Dall’ospedale chiamavano tutti i giorni per aggiornarci sulle condizioni di zio, sono stati davvero molto attenti e premurosi“. “Sì – interviene Nicolino – spesso sento lamentele sul Cardarelli ma sento, personalmente, di smentire certi giudizi perché ho trovato grande professionalità e attenzione nei confronti di chiunque”.

La sua battaglia personale contro il covid ha inevitabilmente riguardato anche il suo bar . Che è rimasto chiuso per tre lunghi mesi. Serrande abbassate, nessun caffe da asporto, niente di niente. Ha riaperto soltanto da qualche giorno ma dice subito: “La mia fortuna è che quest’attività ha una storia decennale alle spalle. Sembra una banalità ma invece è proprio questo che mi ha permesso e mi permette tuttora, di poter restare aperto nonostante la grave crisi economica causata dalla pandemia. C’è la storia importante ma anche la conduzione familiare che permette un primo abbattimento dei costi insomma una serie di circostanze fortunate che stanno permettendo il prosieguo dell’ attività. Ma quando leggo o mi raccontano di altri colleghi costretti a chiudere perché magari si erano avviati poco prima del covid o hanno fatto debiti durante l’emergenza, beh capisco che vuol dire. Le tasse sono rimaste, i ristori di cui si parla sono lenti e pochi. Io, per esempio, non ho preso neanche il secondo ristoro ma come me anche altri colleghi.  Tuttavia ho imparato, e a maggior ragione dopo l’esperienza vissuta col covid, a non mollare. Perché se c’è un problema inevitabilmente c’è una soluzione”.

“Non è facile, affatto – conferma Marianna mentre prepara caffè da asporto a quelli che entrano nel bar per dare  il bentornati ai titolari La crisi economica è l’altra faccia di questa medaglia che viaggia di pari passo con la crisi sanitaria. Ma il fatto che di questo, pare ormai siano tutti consapevoli (governo per primo) mi lascia ben sperare che una strategia di rinascita come già annunciato col recovery fund sarà organizzata senza possibilità che si sbagli. Perché adesso nessuno può permettersi alcun errore. Ne vale il futuro dei nostri figli”.

 

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