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Una lettera

La pistola di Caserta

Razzismo o realismo? Una cittadina campana ci scrive, Primonumero risponde

Salve,

vorrei segnalare alla Vostra redazione che l’incipit dell’articolo “Quella pistola trasformata per uccidere: il sequestro che preoccupa gli investigatori” è discriminatorio:

“Fossimo stati nella provincia di Caserta o in altre della Puglia, il ritrovamento di una pistola adattata a sparare e ad uccidere, addosso ad un giovane di soli 25 anni, probabilmente non avrebbe sorpreso gli investigatori né inquietato la comunità del posto, perché  (purtroppo) situazioni frequenti che in alcune zone appartengono ad una sorta di normalità acquisita”.

Sono nata nella provincia di Caserta, ho sempre lavorato onestamente e (incredibile!!) il ritrovamento di una pistola adatta a sparare su un giovane mi sorprenderebbe.

La “normalità acquisita” con un Vostro alquanto subdolo “purtroppo” appare alquanto discriminatoria e velatamente accusatoria di un territorio in cui persone oneste ogni giorno lavorano alacremente per loro stessi e per la comunità.

Caserta non ha bisogno della Vostra “pubblicità” negativa e non si comprende il perchè abbiate proposto quel discutibile paragone, sbattuto lì per mettere l’ennesima etichetta su noi Campani.

Personalmente, me ne guarderò bene dal venire in Molise e dal continuare a leggerVi.

Saluti


Signora carissima,

chi le scrive è la stessa persona che ha parlato di quella provincia di Caserta (ho scritto provincia) dove purtroppo (e senza alcuna intenzione ipocrita) la maggioranza delle persone che lavora alacremente e onestamente (proprio come lei), deve storicamente (non lo racconto io) fare i conti con una criminalità organizzata che in alcune zone del Paese più che in altre ha trovato mezzi, strumenti, anche casi fortuiti per radicare il suo potere. Che gente come lei e come noi molisani combatte, ma negarne l’esistenza significherebbe abbassare silenziosamente la testa rispetto ad un fenomeno che è ‘faccenda’ di tutti ma che la provincia di Caserta respira per fatti concreti più di altre .

Negarlo significherebbe ammettere che gli interventi della magistratura negli ultimi 4 anni che hanno portato ad un ridimensionamento del cartello dei Casalesi – in particolare delle famiglie Schiavone e Bidognetti – siano stati inventati dalla stessa Autorità Giudiziaria.

Significherebbe smentire che al ridimensionamento degli stessi si sarebbero affiancati i nuovi gruppi criminali dediti per lo più al traffico di droga, e negare che il cartello dei Casalesi sia tuttora attivo nell’intera provincia soprattutto nell’Aversano.

Significherebbe non riconoscere (per poi combattere) che a Marcianise, a Caserta e tramite altre diramazioni nei comuni vicini al capoluogo, è attivo il clan Belforte. E che a Marcianise agiscono anche altri gruppi: il clan Venditti, presente anche a Recale e San Prisco; e il Clan Bifone presente a Macerata Campania, Portico di Caserta, a Casapulla, Curti, Casagiove e San Prisco.

Significherebbe esorcizzare importunamente la presenza in Valle di Suessola del clan Massaro e negare che Mondragone e Sessa Aurunca siano controllate dal sodalizio Gagliardi-Fragnoli-Pagliuca, nato dalla costola del clan La Torre, legato alla fazione Bidognetti e dedito principalmente allo spaccio di droga e alle estorsioni.

Significherebbe sconfessare il quadro di relazioni consegnate dalla DIA al Ministero dell’Interno che spiegano come nei comuni di Falciano del Massico, Cellole, Carinola, Sessa Aurunca e Roccamonfina ci sia stato il declino del clan Esposito e siano invece emersi altri gruppi che si contendono il controllo della zona e che a Santa Maria Capua Vetere convivono i gruppi Del Gaudio e Fava.

Dunque, carissima signora, non ho mai osato discriminare né distinguere questo o quel cittadino in base alla sua terra d’origine. Anzi.

E’ tuttavia un fatto incontrovertibile quello che vede orgogliosamente la comunità della provincia di Caserta combattere tutti i giorni (e non da adesso) contro una criminalità organizzata che prova a rendere “normale” ciò che normale non è.

E quando scrivo di quella normalità per la quale lei si è sentita incomprensibilmente offesa, sappia che non mi riferisco al suo nè al mio concetto di “normalità” ma a quello di una organizzazione criminale a cui nè io nè lei apparteniamo e del quale, pertanto, non possiamo comprendere appieno dinamiche e sfaccettature che sono molteplici.

Caserta non ha bisogno di pubblicità negativa, né un articolo di cronaca che punta a sottolineare una normalità criminale (coadiuvata da fatti realmente accaduti e documentati) esistente e che andrebbe sradicata (in una regione o nell’altra) può essere interpretato con una tale facilità di giudizio. Perché la lotta al potere che soffoca l’esistenza del cittadino onesto è una lotta che accomuna tutti. Senza campanilismi di sorta che non aiutano Caserta nè il Molise. Siamo un grande paese chiamato a muoversi insieme verso la stessa direzione per estirpare (o provare a farlo) quello che spesso ci viene fatto credere sia “normale”.

Venga in Molise, ne parleremo.

La saluto cordialmente, Cristina Niro

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