L'intervista

“La febbre che non passa mai, e sotto la doccia soffocavo”. Guarita dal covid: “Mi è andata bene, ma non chiamatela influenza”

L’esercito dei paucisintomatici, che sviluppa la malattia e si cura a casa tra difficoltà, paura, mancanza di coordinamento tra i soccorsi. Il racconto di una 38enne, mamma di due bambini.

Paucisintomatici: è in questa categoria che finisce gran parte dei malati Covid. Non proprio senza sintomi, ma neppure con segnali dell’infezione così importanti e preoccupanti da dover finire in ospedale. I paucisintomatici – a differenza degli asintomatici – sono quelli che si beccano il virus in una forma manifesta, più o meno evidente, anche se – per loro fortuna – non devono ricorrere all’ossigeno.

L’intervallo tra nessun sintomo della malattia (asintomatico) e una polmonite bilaterale per la quale si viene intubati (malattia grave da Covid 19) può essere enorme: ed è esattamente lì, in questa “zona grigia” non meglio precisata, che si inseriscono i paucisintomatici. Con tutte le sventure, che possono spaziare da una semplice spossatezza che scompare nel giro di qualche giorno a raffreddore, problemi gastrointestinali passeggeri, oppure a febbroni da cavallo che vanno avanti per giorni e giorni.

Come è accaduto a una giovane donna di Campobasso della quale abbiamo raccolto la testimonianza. Fabiola, 38 anni, mamma di due bambini, se l’è cavata alla grande e oggi è guarita nel corpo e nello spirito. La voce limpida e perfino squillante con la quale risponde al telefono racconta di un organismo che si è completamente rimesso in sesto.

“Ma se mi avessi chiamato un paio di settimane fa – esordisce – non l’avresti mai detto. Ti sarei sembrata in fin di vita, ed era esattamente così che mi sentivo”.

Raccontaci dall’inizio: questa storia di malattia ha una data x?

“Che qualcosa di nuovo stava accadendo è stato per me un serio sospetto domenica sera, 28 marzo: dopo una giornata assolutamente normale è arrivata la febbre a 38 e mezzo, annunciata da un intenso freddo e malessere diffuso. Mi ha improvvisamente aggredito una grande stanchezza ma soprattutto avevo una tale bocca amara da rendere immangiabile persino una caramella”.

Alterazione del gusto (ageusia) o perdita dell’olfatto (anosmia) sono alcuni dei più comuni campanelli d’allarme legati al Covid-19. Non a caso sono anche tra le opzioni da poter barrare nella scheda che si consegna ai medici prima del tampone molecolare (assieme a febbre, tosse eccetera). Hai subito pensato al Covid?

“Quella sera mi sono allarmata per questo strano sapore, ma al mattino successivo stavo meglio. Ignoravo che il virus Sars-CoV-2 ama manifestarsi nelle ore serali”.

Cosa hai fatto, a quel punto?

“In via precauzionale mi sono messa in quarantena subito assieme al resto della famiglia. Niente asilo per mio figlio e nonni allertati per evitare visite improvvise sperando che fosse stato un malessere passeggero. Del resto avevo fatto un tampone qualche settimana prima per un po’ di raffreddore ed ero negativa. Temevo, però, già in quel primo giorno di febbre, a cui ne sarebbero seguiti altri otto, che stavolta non sarei stata negativa. La cosa che un po’ mi rassicurava erano le precauzioni che ho sempre adottato dall’inizio di questa pandemia. E infatti ancora oggi, dopo aver ‘scannerizzato’ ogni minuto delle mie giornate nei dieci giorni precedenti a quel 28 marzo, non sono ancora riuscita a trovare la ‘falla nel sistema’”.

Davvero? Non sei riuscita a ricostruire la catena?

“La catena dei contatti sì, e infatti ho segnalato al Dipartimento di prevenzione dell’Asrem tutte le persone che avevo incontrato (anche quelle all’aperto e con la mascherina, non si sa mai!), ma dove e come posso aver contratto l’infezione resta per me un grande punto interrogativo. Non vado in casa di amici o conoscenti, pranzo raramente dai nonni, ho contatti da un anno e mezzo con pochi, e quasi sempre gli stessi, genitori degli altri bambini. E comunque sempre all’aperto. Avrò preso l’ultimo caffè in un bar la scorsa estate. Mascherina, distanziamento, tutto il kit per la disinfezione sempre in borsa, insomma, la cosa più ‘social’ che faccio ormai è la spesa al supermercato. Eppure il virus mi ha trovata lo stesso. E mi ha beccata anche in maniera “importante” come ha detto l’infettivologa Francesca Vignale che ha seguito l’andamento della mia malattia”.

Molti credono ancora che il Covid sia una specie di influenza…

“Ed è un fake assoluto, io posso testimoniarlo. L’impressione è stata quella di piombare nel giro di poche ore in un corpo che non era il mio, che rispondeva in un modo del tutto nuovo ai sintomi. Ce l’ho avuta l’influenza, ma non ho mai avuto la febbre alta per quasi dieci giorni, la spossatezza non è mai stata così invadente da impedirmi di stare seduta a tavola nel tentativo di mangiare qualcosa. L’influenza non mi ha mai fatto perdere quattro chili in dieci giorni, non mi ha lasciato il gusto alterato anche settimane dopo la guarigione, non mi ha mai fatto uscire di corsa da sotto la doccia perché il vapore caldo mi toglieva l’aria e mi sentivo soffocare”.

E che sensazioni ti ha lasciato?

“Tralasciando la paura di un ricovero e della morte, il senso di colpa per aver portato questo virus bastardo in casa mia dove dopo di me si sono ammalati mio marito e i miei bimbi di 2 e 4 anni, l’isolamento durato settimane dal resto del mondo, la rabbia per gli assembramenti in piazza dopo che l’Inter ha vinto uno scudetto, mi consola sapere che ho sviluppato degli anticorpi e che a breve potrò ‘contare’ con un test anticorpale finalmente disponibile all’ospedale Cardarelli di Campobasso”.

Già, anche perché sappiamo che l’immunità di gregge si raggiunge coi vaccinati ma anche con chi guarisce dalla malattia. E a proposito di guarigione, come funziona la terapia a casa?

“Sul punto i pareri sono discordanti: tra Usca e medici di base non c’è una grande armonia su come bisogna prendersi cura di chi è in isolamento domiciliare dopo un tampone positivo. Forse la colpa è anche dei protocolli ministeriali che sono cambiati tante volte: c’è chi prescrive il Brufen e chi è assolutamente contrario, chi per la tosse dice di prendere il cortisone chi no, neppure sugli integratori c’è unità di vedute. Per di più le equipe mediche ambulanti sono poche in Molise e hanno tantissimi casi da dover visitare. Per quanto riguarda la mia famiglia si sono limitati a due telefonate per accertarsi che stessimo bene e avessimo una saturazione buona”.

Perché è così importante la saturazione, Fabiola?

“Il livello di ossigeno nel sangue – che è l’operazione più importante da fare durante l’isolamento – si misura con un piccolo apparecchio da dito che si compra in farmacia per 40 euro circa. Tra 95 e 100 la saturazione è buona, sotto questo livello meglio chiamare il medico. Recentemente le linee guida di Aifa e Ministero della Salute hanno spostato da 94 al 92 per cento il valore soglia di sicurezza per un paziente Covid domiciliato. Ma se siete ansiosi come me a 92 (livello sotto il quale non sono mai scesa) avreste già avuto il crepacuore”.

Una esperienza che ti ha provato parecchio, e si sente. Ora la tua voce è meno squillante di prima…

“Sono i ricordi, ancora freschi e che ho deciso di condividere per aggiungere un pezzetto di conoscenza al puzzle di questo virus, ancora da ultimare. Alla fine di questa lunga e brutta esperienza posso solo dire di fare attenzione, sempre, perché seppure c’è un rallentamento della virulenza e della patogenicità, la variante inglese, quella predominante anche in Molise, si trasmette con maggiore facilità. E pure le infezioni paucisintomatiche possono far star male, ma davvero male”.

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