Immunità e vaccini

Guariti dal Covid devono vaccinarsi lo stesso? “Sì ma non prima di tre mesi”. Medici scettici sul test anticorpale: “Serve a poco”

Chi ha superato la malattia non può vaccinarsi prima di tre mesi dall'ultimo test negativo, quelli che hanno contratto il virus da tra a sei mesi fa faranno invece una sola dose, due inoculazioni soltanto per i guariti da almeno sei mesi: ecco come funziona la vaccinazione tra coloro che hanno sconfitto il Sars CoV-2

Ora che le vaccinazioni viaggiano a ritmi più serrati, con sempre nuove fasce di età inserite nella campagna e migliaia di molisani già immunizzati, si ripropone il tema delle somministrazioni a quelli che gli anticorpi al virus lo hanno sviluppato in maniera ‘naturale’ contraendo il temuto Sars-CoV-2.

Secondo l’ultimo dato fornito dall’Asrem sono quasi 13.000 le persone guarite dall’inizio della pandemia. Ed è anche con loro che ci si può avvicinare sempre di più all’obiettivo della immunità di gregge.

Quanto tempo è passato dalla loro negativizzazione è, ad oggi, l’unico vero indicatore preso in considerazione dai medici che inoculano i vaccini. Ma come funziona nel loro caso? Dopo quanto tempo dalla loro guarigione possono prenotarsi per il vaccino?

Lo abbiamo chiesto al dottor Mino Dentizzi, medico di medicina generale a Campobasso, specialista in psichiatria e geriatria, in servizio al centro vaccinale di Selvapiana a Campobasso.

“Le disposizioni ministeriali stabiliscono che chi ha avuto il Covid meno di tre mesi fa non deve vaccinarsi, quelli che lo hanno avuto da tre a sei mesi fa possono prenotarsi e gli verrà somministrata una sola dose anziché due. Doppia somministrazione, invece, per chi è guarito dalla malattia da almeno sei mesi”.

Solo il tempo dell’avvenuta guarigione è considerato durante l’anamnesi, ossia l’intervista che i medici fanno al paziente prima di inoculargli il preparato anti Covid-19. “Non chiediamo alcun test anticorpale – riferisce il dottor Dentizzi – io lo trovo utile fino a un certo punto. Per noi il tempo di guarigione è sufficiente a decidere quando è il momento di vaccinare il soggetto che ha superato la malattia”.

Una scarsa standardizzazione del sierologico e anche un temuto effetto ‘ansia da prestazione’ rispetto al risultato che, come dice Dentizzi, “varia da persona a persona” fanno di questo test uno strumento non troppo apprezzato dai medici. Anche se inizialmente era stato accolto con più entusiasmo, oggi molti esperti lo stanno bocciando.

È nota, per esempio, la posizione dell’immunologa Antonella Viola che proprio a questo argomento ha dedicato un suo recente post sui social intitolato: Test sierologico dopo il vaccino? Ha senso?

“Io non credo sia una buona idea – leggiamo dalla sua pagina facebook -, a meno che il vostro medico non abbia delle buone ragioni per ritenere che il vaccino potrebbe non aver funzionato (pazienti in terapia immunosoppressiva, per esempio). Poiché non sappiamo quale sia il titolo protettivo e poiché col passare delle settimane gli anticorpi calano ma la memoria resta, meglio non spendere soldi e fidarsi del vaccino. Ma se proprio non resistete alla tentazione e volete sapere se avete più anticorpi di vostra cognata… almeno fate il TEST GIUSTO! Cercare gli anticorpi anti-N dopo il vaccino non ha senso, se proprio volete farlo assicuratevi che sia un test che misura gli anticorpi anti-spike! Mi scrivono molte persone angosciate solo perché hanno fatto il test sbagliato. Fidiamoci dei vaccini e basta paura!”

Più favorevole al test anticorpale dopo il vaccino o la guarigione dalla malattia il responsabile di Malattie infettive del Sacco di Milano Massimo Galli il quale ha evidenziato che “non si è ragionato sulle strategie alternative per coloro che non hanno una risposta immunitaria dopo il vaccino”.

 

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